Intervista a Raimondo Di Maio sulla chiusura della libreria Pironti: “La libreria di Pironti era Piazza Dante”

di Davide Speranza

«La sua libreria, punto di riferimento come la sua figura, si trova in piazza Dante a Napoli ed è ora gestita dai nipoti». È quel che la Bompiani sul suo sito ufficiale scrive a proposito di Tullio Pironti (almeno fino al momento in cui chi scrive questa narrazione ha accuratamente controllato la pagina web dedicata). Suona come una beffa. È il segnale di come il sistema editoriale italiano non sia in alcun modo collegato. Tullio Pironti è morto da circa un anno e mezzo e da poche settimane la sua storica libreria in Piazza Dante è chiusa.

Difendersi dall’assalto di locali mangerecci nei luoghi di cultura non è solo l’impulso orgasmico della solita alzata di scudi post mortem (in questo caso post claustrum). La libreria di Tullio Pironti, che ha dominato il mondo editoriale e librario a Napoli per buona parte della seconda parte del Novecento e nei primi decenni del nuovo millennio chiude e pare non ci sia una vera e propria indignazione, solo l’ombra di un sussulto, come se ormai vivessimo in un’inesorabile sceneggiatura già scritta, dentro la quale il popolo dei lettori – e l’intera comunità culturale – gioca il ruolo di comparsa, una specie di infelice cameo, perso nella foresta selvaggia dell’ammucchiata commerciale.

Cristo cacciava i mercanti dal tempio, oggi quei mercanti continuerebbero a vendere e la folla darebbe loro ragione, anzi parlerebbero di falsa morale o, peggio, di moralismo. Quando la testa è vuota, si cerca di riempire lo stomaco. Le librerie sono il tempio di chi naviga tra libri e storie, conoscenza e passione. Eppure non c’è nessuno che regolamenta la caduta dei luoghi sacri della sapienza. Pironti, scomparso nel 2021, è stato un avanguardista in termini di pubblicazioni internazionali e scoperta di talenti in Italia. Una meravigliosa macchina fatta di istinto e visione. Fiutava qualità e affare, tematica e desiderio della gente. E poi colpiva. Eppure ora la sua libreria, il suo tempio è chiuso. Fortunatamente esistono ancora luoghi zeppi di libri, dove strani personaggi dietro un bancone ti accolgono e ti raccontano.

La scomparsa della Libreria Dante Alighieri ha destato un tiepido scalpore, mitigato da una targa commemorativa in memoria dell’84enne scopritore di Don DeLillo, Raymond Carver, Bret Easton Ellis. I più grandi narratori americani li aveva scoperti e pubblicati lui prima ancora dei vari Mondadori, Einaudi e compagnia bella. La sua libreria era luogo di incontro per esperti, letterati, studenti, famiglie. Eppure (eppure… eppure… eppure) tutto questo non è bastato. Abbiamo voluto capire cosa sia accaduto. Così in una fredda sera di inverno, con il favore delle quasi tenebre partenopee, ci siamo infilati nella piccola libreria Dante & Descartes di Raimondo Di Maio, incastrata tra i palazzi storici di via Mezzocannone. Un piccolo foyer abbraccia il curioso e il collezionista, la lucina in fondo al locale, libri in vetrina, tra gli scaffali, per terra, ai lati, sulla scrivania dietro la quale lavora Di Maio, eccellente rappresentante di quella schiera di editori-librai che ha fatto la storia di Napoli.

Amico di Tullio Pironti e lucido osservatore della realtà sociale e culturale napoletana, Di Maio ci porta dentro il racconto di un’epoca, quella in cui il pugile-editore-libraio distribuiva cazzotti alla grande editoria nazionale, vincendo spesso per knockout, e tenta di spiegare il problema della chiusura delle librerie. Ma ci dà anche l’appiglio per una luce. Qualcosa che non sia la levata di scudi momentanea di cui parlavamo pocanzi. Qualcosa che riesca a scalfire quegli “eppure” e restituisca, almeno a lungo termine, la figura di Tullio Pironti alla Storia futura. Ne esce una piccola lezione di editoria, umana, personale, talvolta deragliata verso aneddoti intimi, affabulatori e gonfi di tempo e personaggi incredibili. Di Maio si sveglia alle 6 del mattino per correggere le bozze dei volumi che poi pubblicherà, per il resto della giornata si trasforma in libraio, ora con noi diventa cantastorie. In realtà non ci sono compartimenti stagni. Questa è la magia di un editore-libraio, come lo era anche Tullio Pironti.

Raimondo, un’altra libreria chiusa, quella del suo collega e amico Pironti. Cosa sta succedendo?

È stato uno sfratto esecutivo per morosità. Va detto che Tullio è morto il 15 settembre 2021. Perdere una libreria in una città che ne ha perse tante continua a far riflettere. La libreria di Pironti era Piazza Dante, il centro di smistamento del sapere, di là passava il mondo grazie a lui. Dante Alighieri e Tullio Pironti, c’era questa alternanza di titoli. Naturalmente Tullio era un po’ tutto. Lui poi ha passato tante difficoltà nella sua vita. Un libraio non è mai ricco. Venendo a mancare, in questi mesi sono cresciuti i problemi. Organizzava una campagna scolastica seconda solo a Guida, gli mandavo tutti i ragazzi della zona. È stato un editore incredibile per Napoli. Ma come sempre succede, il Nord, quando non gli servi, ti scarica e dimentica. I diritti dei suoi libri sono stati venduti a Einaudi, Mondadori, Bompiani. Oggi tutti hanno scordato questa cosa. Insomma stiamo parlando di una figura con un profilo professionale molto alto. Così il mio è un appello, legato a questa vicenda. Come per uno scrittore, un editore è vivo se i suoi libri circolano e si riconoscono, altrimenti finisce la sua storia. Nel caso di Tullio si dovrebbe fare tanto. Con un caro amico, Franco Di Mauro, altro editore napoletano, ci siamo chiesti cosa potessimo fare. Ci è venuto in mente allora di ricostruire il catalogo di Pironti, a spese nostre. Ha tantissimi amici intellettuali. Abbiamo chiamato a raccolta i suoi conoscenti, amici, quelli che possiedono i suoi libri. Attraverso un database cercheremo di mettere a punto questo catalogo articolato e complesso.

Ricorda gli inizi di Pironti?

Be’ sì. Dapprima pubblicò libri molto politici, legati ad Autonomia, penso a Petra Krause. Poi fa uno dei suoi incontri memorabili, il filosofo Horst Künkler, e con Ferruccio Masini e un gruppo di grandi pensatori – con loro c’erano Biagio De Giovanni, Massimo Cacciari – realizzarono la rivista Metaforein, libri notevolissimi in cui pubblicarono opere come “La traccia dell’altro” di Emmanuel Levinas, oppure Heidegger. Parliamo di volumi preziosi, in Italia non se ne aveva neanche idea. Non è l’unica svolta. Mettendo a fuoco la figura di Tullio si capiscono molte cose, come l’interesse per gli ispanisti, con le cattedre di Augusto Guarino. Pubblica una serie di libri che riguardano la letteratura spagnola, legati all’università L’Orientale. Marco Ottaiano era uno di quei professori che collaboravano con Pironti. Quando è morto Tullio, i giornali italiani, che ne hanno fatto sempre l’apologia in vita, lo hanno dimenticato. Invece Marco pubblicò un grande articolo su El País. Ottaiano aveva progettato anche un documentario con lui, ma non hanno fatto in tempo. Poi c’è un altro grande incontro, quello con José Vicente Quirante Rives, grande avvocato e filosofo, editore, organizzatore culturale che fonda una famosa cada editrice, la Partenope, con cui pubblica libri di autori napoletani, autori come Montesano, Rea, Striano. E i siciliani, come Vincenzo Consolo. Con Tullio pubblica due libri, “Viaggio napoletano in Spagna” e “Elogio del caffè al bar (scritto a Napoli dove il caffè è culto)”, un grande elogio del caffè napoletano, una pietra miliare sul gusto di prendere il caffè a Napoli, in quali bar e come. Ecco, tutto questo deve essere vivo, deve rimanere vivo nell’avventurosa storia dell’editoria italiana.

L’incontro con Francesco Durante fu cruciale?

Erano gli anni Ottanta. E c’era questo intellettuale napoletano, mezzo caprese, una personalità enorme che abbiamo avuto in Italia, un grande giornalista. Gli faceva da traduttore e consigliere. Era docente di Letteratura italoamericana all’università di Salerno e al Suor Orsola Benincasa. Aveva una importante preparazione filologica, allievo di Gianfranco Folena. E così nacquero le pubblicazioni degli americani. Pochi giorni fa, tra l’altro, è uscita la nuova edizione di “Rumore Bianco” da Einaudi. Un libro che ha fatto storia. Nell’85 esce la prima traduzione e Tullio ha un successo da matti. Poi lo prenderà Einaudi e lo pubblica tale e quale, stessa traduzione, stessi errori ortografici. Einaudi era già in salsa berlusconiana, aveva il vizio di fotografare i libri così come sono. Racconto un caso. Mondadori in quegli anni di fine Ottanta, pubblica “Gesù, fate luce” di Domenico Rea, voluto da Oreste Del Buono, e fotografa la versione del 1950. Questo ci dà l’idea di come si faccia editoria in questo paese, senza neanche ricomporre un testo. Credo fosse questo il modo di fare in quegli anni: ‘prendere’ da Tullio e fare tale e quale. Ancora una volta si dimentica che prima di Garzanti e Minimum fax, Tullio aveva pubblicato Carver.

Ci fu anche una vicinanza con la Pivano?

Un bellissimo rapporto d’amicizia con Nanda. Pironti le aveva chiesto di lavorare con lui. Ma erano progetti complicati per le economie meridionali. Questo non impedì loro di fare alcune cose. Più che altro un’ulteriore svolta fu con Goffredo Fofi. Goffredo ha vissuto a Napoli per molti anni, ai tempi di Lotta Continua. Lo frequentavo spesso, lo chiamavo zio Goffredo. Con Pironti iniziò a fare la rivista “Dove sta zazà”. All’epoca le riviste rappresentavano un momento intellettuale molto forte. Fofi poi è stato straordinario nel far crescere i giovani studiosi italiani. Oggi lo statuto delle riviste si è inchinato ai tempi dei social. La rivista era un laboratorio di dichiarazione di intenti. Da qualche tempo ho ripreso “Sud”, con gli amici napoletani e con Francesco Forlani. Ricordo che avevamo autori come Pino Montesano, Erri De Luca, Silvio Perrella, Milan Kundera. Ma non vendeva. I tempi sono cambiati. Tornando a Goffredo e Tullio, pubblicarono “Totò” con Franca Faldini. Venne l’incontro con Joe Marrazzo e la pubblicazione de “Il camorrista”. Prima di Gomorra, l’editore Pironti ci dava indicazioni sulla camorra storica, e infatti fa uscire anche un altro libro, “’O malommo” di Mino Jouakim (ndr. un bell’articolo uscì su l’Unità del 13 aprile 1980).

Pironti insomma capisce e forse anticipa il mercato e l’interesse del pubblico prima di altri?

Aveva un istinto come pochi. Anche sui nuovi linguaggi. Non è un caso che dopo essere stato pubblicato per Interlinea, Peppe Lanzetta fa il secondo romanzo con Tullio. Pironti capisce bene che Lanzetta è la novità, il primo scrittore italiano che parla di periferie in un certo modo. Peppe conosceva bene questo corrotto Bronx, questo difficile Bronx, questo invivibile Bronx. Tullio intuisce tutto. Manco a dirlo, in seguito il libro passerà a Feltrinelli.

Ci furono mai scivoloni, scelte infelici che Pironti commise?

Un solo titolo: “Peccati geniali. Ritratto di Domenico Rea”, un libro molto strano. Mi è dispiaciuto personalmente. Ricordo quando Erbani fece uscire una pagina su Repubblica. Domenica Rea era un uomo assetato di vita. L’autore, Jouakim Mino, aveva realizzato diverse interviste a intellettuali, facendogli dire delle cose, registrandole. Poi ha pubblicato quelle chiacchierate cercando il caso, l’effetto commerciale. Domenico Rea era un uomo pieno di vitalità, una gran brava persona. Usare queste registrazioni e mettere alla berlina un uomo come lui fu una cosa terribile. Voleva essere un libro verità e invece si risolse in un libro scandalistico. Una cosa che disapprovai e lo dissi a Tullio. Non si tratta così un autore, se ne parla per quello che scrive, non per quello che è stato in vita, altrimenti dovremmo mettere alla berlina anche Platone e Socrate. Altra scivolata fu il caso del giapponese Juro Kara e del suo “L’adorazione- Il giapponese cannibale per amore”. Uscì nell’84 ed era un momento di grande successo per la casa editrice Pironti. Tullio era sulle pagine di quei giornali nazionali che poi lo hanno dimenticato. Ma quel libro fu una cantonata. Succede. A qualsiasi editore. Anche ai più grandi.

In seguito, ci saranno le pubblicazioni di Dumas, del premio Nobel Nagib Mahfuz. Napoli aveva finalmente un grande editore. Come guardavate a questo fenomeno?

Con ammirazione e affetto, interesse direi. Era capace di portare a termine operazioni editoriali uniche. Come il suo “Libri e cazzotti”, adesso rifatto da Bompiani. E come non ricordare “Malacqua”. Vengo dall’Einaudi, lavoravo come agente quando Calvino aveva curato questo grande libro. Nicola Pugliese decise poi di ripubblicarlo. Un romanzo enorme, molto particolare, un capolavoro che solo grazie alla tenacia di Tullio vide nuova luce. Anche lì era il suo intuito che gli permetteva di fare scoperte come quella di Luigi Incoronato e del suo “Scala a San Potito”, scrittore grandissimo che si suicidò. Fare l’editore è dare vita ai libri e quindi allo scrittore. Tullio ci riuscì molto bene. Avrebbe fatto anche Striano ma gli fu soffiato da Avagliano. Alla base di Tullio c’era la famiglia storica di librai, che lavorarono con uno dei più grandi editori Luigi Chiurazzi. Una grande famiglia che poi si divarica. Abbiamo la famiglia di Tullio e poi quella di Lucio e Raffaele Pironti. In qualche maniera, nonostante da ragazzo facesse pugilato per sport e avesse anche provato a entrare in quel mondo, nel sangue aveva i libri.

Dopo questa cavalcata nella Storia, cosa significa essere librai indipendenti a Napoli?

Voglio ricordare una cosa bella. Il Tullio organizzatore culturale: si inventò questa montagna di libri negli anni ‘88/’89 in Piazza Dante. Gli editori che non avevano venduto portarono i loro volumi che poi venivano regalati ai passanti. Tullio era il grande imperatore. Erano anni quelli in cui operavano editori come Gaetano Colonnese, Mario Guida. In pochi metri avevamo questi importanti editori napoletani, editori librai, una formula francese, europea, la libreria editrice, che poi significa anche miseria. Un libraio indipendente nel caso nostro fa tutto. Poi iniziò una crisi forte, nel settore della distribuzione e della gestione del mondo editoriale. C’è al Sud una incapacità editoriale e industriale, un Sud che non ha industria e quindi non ha manco una industria culturale. La perdita di una libreria è la perdita di un pronto soccorso. La libreria è un luogo di sanità pubblica, un presidio civile. Ogni volta che chiude una libreria avanza la barbarie, perdiamo qualità. Uno studio scientifico dell’università di Cambridge dimostra come nelle strade in cui si trovano librerie e teatri la vita è migliore. Dovremmo dirlo agli scimpanzé che ci governano, fanno leggi e leggine ma non hanno mai visto una biblioteca in vita loro. Quando noi da ragazzi ci organizzavamo, ci si diceva “ci vediamo fuori da Guida”. Adesso ci sono solo bar anonimi e uguali, insignificanti. C’è una invasione da locali in una zona storicamente di librai. Certo, l’economia funziona a domanda e offerta, ma va regolarizzata. Perdere tante librerie è sintomatico di qualcosa.

Da qui la scelta di fare il catalogo Tullio Pironti?

È un segnale forte. Un arricchimento per la città. Un catalogo cartaceo, la carta ci salverà dall’oblio. La carta è aperta a tutti. La carta dà indipendenza vera. Il computer ci porta a esser legati, dipendenti da qualcuno che detiene un linguaggio. Altra iniziativa sarà quella della redazione di schede dei volumi di Tullio. Una scheda di qualità. Una scheda verità. Inoltre, sebbene non ci sia più lui, noi amici, lettori e studiosi ci scattiamo una foto con i suoi libri per realizzare una galleria. Letterati, intellettuali italiani, dall’estero, dalla Spagna, stanno già rispondendo. Un modo per tener presente i morti, che quando li chiami vengono a noi, sono presenti.

Se adesso, mentre stiamo parlando, dovesse entrare da quella porta Tullio Pironti, cosa vi direste?

C’è una vicenda che devo ricordare. Mi è successo di stampare Louise Gluck, Premio Nobel nel 2020. Le prime due telefonate furono di Franco Di Mauro e poi di Tullio Pironti. Mi telefonò perché voleva due copie della Gluck, gli mandai mio figlio in bicicletta. Mi chiamarono tutti gli autori italiani che conoscevo, ma per il resto ci fu uno strano silenzio napoletano. Ecco la stranezza di questa città. Tullio invece mi chiamò, un gesto di affetto. «Uè! Hê fatt ‘o botto! Come faccio ad avere un paio di copie?». Tullio era così. Mi manca il suo affetto, soprattutto quello degli ultimi anni. Lo conoscevo da ragazzino, era un prisma che illuminava quella piazza. Voleva sempre che lo andassi a trovare. Quando ci rivedremo ne riparleremo in una repubblica delle Lettere. Allora, se dovesse entrare qui dentro adesso, gli direi di tornare a fare quello che ha sempre fatto. Una interpretazione magnifica del mondo-libro, meno soldi e più passione e sostanza. Lui mi inviterebbe a un suo match.

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