Venezia 73: Paolo Sorrentino e il suo “Giovane Papa”, e l’ottimo “Frantz” di François Ozon

A Venezia è il giorno di Paolo Sorrentino, che torna al Lido a quindici anni di distanza dalla sua prima e unica partecipazione dove, nel 2001, presentò nella sezione “Cinema del presente” (oggi soppressa) L’uomo in più, il suo bellissimo lungometraggio d’esordio. The Young Pope, il lavoro con cui il pluripremiato autore partenopeo approda alla Mostra, è una serie TV in dieci puntate (della quale sono stati proposti solo i primi due episodi) che andrà in onda in Italia a partire dal 21 ottobre su Sky Atlantic. Nel descrivere la sua nuova fatica, Sorrentino ha parlato di un progetto che mette al centro “i segni evidenti dell’esistenza di Dio. I segni evidenti dell’assenza di Dio. Come si cerca la fede e come si perde la fede. La grandezza della Santità, così grande da ritenerla insopportabile”.

Immagine correlataCome si può capire, non è possibile in questa sede dare un giudizio generale su un’opera della quale si è visto sostanzialmente un quinto (sarebbe come voler giudicare un lungometraggio di 120 minuti avendone guardati solo 25). Tuttavia, l’impressione generale è che si tratti di un Sorrentino dalla regia più controllata, specialmente nel secondo episodio. Infatti, se nella prima parte l’autore de La Grande Bellezza si esibisce nei soliti movimenti di macchina sinuosi e ricercati, man mano che la storia procede egli si ricorda di stare girando una serie televisiva (che richiede tempi precisi, stringatezza nella narrazione, presentazione dei personaggi, sviluppo del plot) e inizia a raccontare la storia e la complessa psicologia del protagonista del titolo, interpretato da un convincente Jude Law, le cui azioni, in attesa di vedere il seguito, restano al momento imperscrutabili e contraddittorie.

È probabile che, inevitabilmente, il lavoro su commissione abbia costretto Sorrentino a moderare la sua smisurata e spesso incontrollabile verve registica a favore di un maggiore e migliore controllo della materia. Solo talvolta, complice la presenza del conterraneo Silvio Orlando nel ruolo di un Segretario di Stato più preoccupato delle sorti del Napoli Calcio che del buon andamento della complessa macchina vaticana, il regista dà libero sfogo alla sua vena grottesca e caricaturale (ad avviso di chi scrive, poco nelle sue corde) mettendo in bocca ai suoi personaggi discorsi improbabili e facendo loro compiere azioni poco credibili. Il risultato generale appare comunque nel complesso più che apprezzabile, e il nostro auspicio è che Sorrentino, il cui talento registico è innegabile, possa far tesoro di questa esperienza per ripulire la sua poetica dagli orpelli spesso eccessivi in cui spesso indugia inutilmente la sua messinscena.

Nella giornata di oggi, inoltre, è stato presentato in Concorso (dopo l’anteprima stampa di ieri) l’ottimo Frantz del regista francese François Ozon, che ha realizzato forse la sua opera migliore, insieme a Dans la maison (2012). Si tratta del remake di The Broken Lullaby (in italiano L’uomo che ho ucciso) di Ernst Lubitsch, l’unico dramma diretto dal maestro tedesco celebre per le sue commedie, che trasse il film da un’opera teatrale di Maurice Rostand, figlio di Edmond. La vicenda ruota attorno ad un musicista francese arruolato nel corso della Grande Guerra che, perseguitato dal rimorso per avere ucciso a sangue freddo un soldato tedesco, decide di fare la conoscenza della famiglia del defunto per ottenere il suo perdono. Lì incontra Anna, la giovane promessa sposa di Frantz, e tra i due nasce un rapporto molto intenso, che deve però confrontarsi con segreti, verità che fanno male, bugie che si rivelano a fin di bene. E la bellezza e la forza del film di Ozon sta proprio nella sua capacità di suscitare domande complesse, mettendo in discussione i valori di verità e menzogna e suggerendo il fatto che non necessariamente la prima è superiore o più morale della seconda. Il film è impreziosito dallo splendido bianconero di Pascal Marti, che si alterna talvolta con il colore, in precisi e studiati momenti, e dalla toccante interpretazione di Paula Beer, che va ad aggiungersi ad altre ottime performance femminili viste sinora al Concorso, come quella di Emma Stone in La La Land, di Amy Adams in Arrival, e Alicia Vikander in The Light between Oceans.

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