Eros e Pathos 2. Il Poliamore – secondo capitolo

[Il primo capitolo di questa riflessione, è disponibile cliccando qui]

di Eliana Petrizzi

Mi trovo spesso a discutere con amici ed amiche di un argomento che viene a scardinare secoli di convinzioni inveterate sulla monogamia. Il poliamore – neologismo che esprime il concetto di “amori molteplici” – ammette la possibilità che una persona intrattenga più relazioni (sentimentali e/o sessuali) contemporaneamente, purché – attenzione –  nel pieno consenso di tutti i partner coinvolti, in opposizione al postulato della monogamia, intesa come norma sociale necessaria. Il tradimento è sempre il segno di una disfunzione della coppia? Ci sono uomini e donne che riescono a vivere talvolta per una vita intera due relazioni sentimentali in contemporanea, con due tipi di persone del tutto differenti: una è dolce e remissiva, l’altra è mutevole e passionale; una asseconda, l’altra contraddice; l’una dà sicurezza, l’altra eccita col brivido di un tornado. Scegliere non è possibile tra due estremi così inconciliabili, perché alla fine si ha bisogno di entrambi per essere felici. Non è semplice, ovvio, e se anche solo uno dei tre non sa, non è neppure corretto.

Ci è stato insegnato che solo una tra tutte le possibili forme di relazione – il rapporto eterosessuale monogamico a vita – è quella giusta. Se usciamo da questo modello, facilmente verremo definiti moralmente discutibili, psicologicamente difettosi, nonché contro natura; un’artiglieria linguistica che mira di fatto a patologizzare il vasto ventaglio delle nostre capacità performative, sia in amore che nel sesso. Di fatto, l’ideale della monogamia a vita rappresenta un concetto relativamente nuovo nella storia dell’umanità, che ci rende unici rispetto agli altri primati (ad esclusione di urubù, lupi, gibboni, aquile di mare, albatri, piccioni, tortore, pappagalli inseparabili e cigni).

Interpretare un’avventura come segno di malessere all’interno di una relazione primaria è a ben vedere piuttosto limitante, perché costringe il partner tradito a chiedersi cosa c’è in lui/lei che non va, mentre a chi tradisce si farà sempre notare di stare infliggendo un comportamento scorretto al partner primario. Sarebbe però il caso di chiedersi come mai il tasso di tradimento nelle coppie sia molto più alto di quello di fedeltà. Ma soprattutto come mai, dietro le quinte, ci sia sempre una specie di comprensione bonaria verso i tradimenti, quasi a riconoscerne la naturalità a dispetto della monogamia, percepita alla lunga come faticosa ed innaturale. Certo, per entrare nell’universo disorientante degli amori plurali ci vogliono requisiti non comuni: per esempio una profonda sicurezza di sé, massimo rispetto per l’altro e per tutti i suoi desideri che non comprendono noi. Bisognerebbe essere incapaci di gelosia, di territorialità, di proiezioni, di pretese di esclusività e di controllo, e pure di continue richieste di rinunce come prove a garanzia del sentimento. Di fatto, i legami e i desideri degli individui mutano con l’età e le circostanze, e i rapporti a lungo termine più soddisfacenti sono sempre quelli abbastanza flessibili da poter essere continuamente ridefiniti nel corso degli anni. Forse, allora, legittimare apertamente e reciprocamente certe aperture, non solo ravviverebbe le relazioni primarie, ma consentirebbe di creare una rete di affinità affettive molto più generosa ed illuminante di quanto non si sospetti.

Dimenticavo di aggiungere che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e bisogna vedere alla fine quanti sanno veramente nuotare.

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