Intervista a Franz Cerami: “Il mio lavoro è entrare in empatia con i luoghi”

di Davide Speranza

«Il mio lavoro è entrare in empatia con i luoghi. Per Maratea è stato così». Da poco Franz Cerami (artista internazionale ed eletto tre volte ambasciatore del Design Italiano nel mondo dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) ha ultimato uno dei suoi progetti sui volti del territorio, dal titolo Ritratto di Maratea, realizzato in occasione dell’audizione di Maratea città finalista per il titolo di Capitale Italiana della Cultura nell’anno 2026. Commissionata dal Comune, l’installazione è stata presentata a Roma al Ministero della Cultura. Adesso arriva il momento difficile dell’attesa, una comunità intera attende e spera, il tempo della città e dei suoi abitanti si dilata e si sfrangia. Con loro anche Cerami – ormai sempre più proiettato nell’arte del ritratto, attraverso le nuove tecnologie digitali del video e del mapping (pur partendo dalla pittura) – che ha filmato volti, spiagge, palazzi storici, boschi, scogli, assemblandoli, montandoli, sovrapponendoli e dipingendoli a mano. Decine di marateoti, catturati dall’obiettivo dell’artista napoletano, hanno raccontato la storia della propria terra, in assenza di parole, mostrando occhi, rughe, labbra, guance, vestiti, sorrisi distratti e spalle. Il corpo che parla è un corpo fatto della terra che lo ha partorito. Su questa linea si poggia la filosofia creativa di Franz Cerami. L’opera è stata prodotta dalla Service 2 Service e vede come assistente Flavio Urbinati, colonna sonora originale di Claudio del Proposto, assistenti allo shooting  Danilo Cernicchiaro e Giuseppe Maimone, riprese con il drone di Dimitri Sobolev.

Cerami, come si è sviluppata questa collaborazione?

Sono stato chiamato dal comune di Maratea e dal professore Stefano Rolando, per lavorare sul racconto della città attraverso una mia installazione. Sono stato lì per giorni, ho osservato Maratea, ho sentito quella terra, che, diversamente da come si immagina, è un luogo molto legato alla parte interna, alla montagna. Ho provato a capirne i colori. La cosa interessante è l’Appennino lucano. Quando arrivi, ti accorgi che gli alberi arrivano fino a mare, hai questo verde scuro, questo mare verdissimo, questa roccia di un marrone freddo. Il primo passo è stato individuare le persone per i ritratti. Ho attraversato il territorio in lungo e in largo, usando una telecamera che di solito inserisco sul cruscotto grazie a uno strumento che ho inventato, fatto di ventose e ammortizzatori. In questo modo faccio uso della “camera car”. I miei due assistenti hanno individuato molte persone, diverse per età, cultura, professione. I volti mi intrigavano. Poi sono arrivate le riprese con il drone. Quindi mi sono chiuso nello studio a elaborare i ritratti, a tagliarli, a selezionarli. Volevo fare in modo che i volti rispecchiassero il territorio. Ci trovi le onde del corpo, nelle rocce, nei rilievi scoscesi. Maratea è legata al Cristo. Ho provato a lavorare su questa icona, non è facile, l’ho trasformata in icona alata che attraversa tutta Maratea e arriva a mare quasi volando. Quindi abbiamo proiettato l’installazione dei ritratti in alcuni punti particolarmente belli e significativi. Il primo edificio che mi piaceva era un casolare abbandonato, c’erano alberi intorno e, in alto, Maratea. Col drone abbiamo poi realizzato la ripresa spettacolare che scopre la città. Un momento mozzafiato. Siamo ritornati nel centro storico, si è creata una vasca di colori, e alla fine a Napoli ho rimontato tutti questi pezzi. Una cosa interessante è stato l’inserimento di un audio particolare sul quale ha lavorato Claudio Del Proposto. Era l’audio di alcune signore che battevano i “libbani”, ovvero dei grandi fili d’erba che sono stati usati fin dall’antichità come corde. Intrecciandoli, costruivano oggetti. Quindi ho ripreso l’audio di queste donne che battono con forza sui libbani per ammorbidirli e questo rumore lo abbiamo inserito nella colonna sonora.

Come si integra Maratea nel tuo processo creativo?

Maratea è bella, e la sua bellezza sta in quel mare strabiliante, ma anche nel fatto che per arrivarci attraversi mondi diversi, sentieri e strade. Maratea non è chiusa in un unico luogo. Per me è il posto dai mille sentieri, ricco di storia e colori. Mi hanno colpito gli sguardi molto forti degli abitanti. Mi sono innamorato del volto di un signore di 80 anni, che guarda indietro e poi si gira e guarda me. Ma anche il sorriso finale di una ragazza, che sembra proiettarsi al futuro con fiducia. Loro due sono il simbolo di questa città.

Maratea capitale della cultura 2026. Se accadesse davvero?

Sarebbe una bella capitale, una città del Sud che da sempre accoglie tutta l’Italia. Penso sia una giusta scelta, perché per la sua natura, come città di mare, è in grado di accogliere culture diverse.

Ormai hai imboccato la direzione della ritrattistica. Cosa ti spinge verso questo settore?

Ho lavorato a Napoli, in Brasile, a Corigliano-Rossano sul tema delle identità. E poi negli aeroporti di Milano. Come a Maratea, quello che ho provato a fare è stato sentire, entrare in relazione. A Maratea c’era un baretto con un signore che mi raccontava molte storie, giocavamo, scherzavamo, aveva cornetti molto buoni in una bacheca di legno con sportelli in vetro. Mi ha spiegato che il pasticciere di questi dolci era napoletano e lavorava nella bottega accanto, così sono andato a trovare anche lui. Più avanti ho incontrato il macellaio, con il suo sorriso felice. Ecco, Maratea mi dà l’idea di una piccola comunità felice, forse di una comunità antica, e l’ho scoperta piano piano, come faccio normalmente, giocando con le persone, facendo domande, cercando di cogliere momenti più particolari. Il ritratto è fatto di momenti. D’altronde la parola ritratto viene dal latino retrahĕre, tirare fuori, che per me è tirar fuori l’anima.

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