A Napoli, durante la pandemia, per le librerie i numeri non sono solo numeri

di Davide Speranza 

Quando si bada ai numeri – che certo sono lo specchio matematico (e spesso filtrato) di una realtà – è un conto. Quando hai a che fare con la gente in carne e ossa, allora è tutt’altra cosa. Vedi che quei numeri sono importanti, sebbene non ci parlino, non ci trasferiscano nulla di immediatamente quotidiano. Non ci danno la tangibilità del problema caso per caso.

E allora potremmo continuare a snocciolare dati tratti dall’AIE (Associazione Italiana Editori) e far rimbalzare la notizia di un’editoria in ginocchio ma che adesso pare in ripresa: nel 2019, il mercato editoriale era tornato a percentuali altissime, ai livelli del 2011, con un +3%; quote di mercato al 73% per i canali fisici (librerie e grande distribuzione) e 27% per l’online. Con l’incubo del Covid, a settembre 2020, i titoli pubblicati nel settore cartaceo hanno registrato un -13%, mentre in crescita sono gli ebook con una specularità del +13%. Tra marzo e aprile il disastro, con la vendita in libreria scesa al -70.3%.

Secondo un report della stessa AIE, fermo a maggio 2020, “spariscono 8 milioni di copie vendute nei primi 4 mesi dell’anno con una perdita di fatturato pari a circa 134 milioni di euro nel solo settore della varia (fiction e non fiction) venduta nei canali trade. Intanto volano gli store online che adesso coprono quasi il 50% del mercato, ma resistono le librerie capaci di fidelizzare la clientela”. Ma come vive questa apocalissi, sanitaria e sociale, chi i libri li vende? Parliamo dei librai, quelli indipendenti, i singoli avventurieri della carta che affrontano da anni le isterie di un mercato – editoriale – sempre variabile peggio del meteo a marzo, e di un bacino d’utenza – i lettori – che si conferma il peggiore d’Europa.

A Napoli, insistono e resistono diversi librai. Alcuni sono anche editori, dividendo il tempo tra vendita e progettazione. In seguito al secondo lockdown imposto alla Regione Campania, che da gialla è passata a zona rossa, siamo scesi in strada, l’ultimo giorno prima della chiusura, e li abbiamo incontrati. Ognuno ha una sua storia, ognuno un suo posizionamento specifico, ma con la stessa luce negli occhi di chi prova – martello e chiodi in mano, scaltrezza imprenditoriale votata alla cultura – a costruire fisicamente ed eticamente una comunità che legge.

«Stiamo affrontando tutto con grande difficoltà». A parlare è Tullio Pironti, uno che ha preso a pugni la vita, letteralmente (tra le tante cose, è stato un pugile), per poi diventare editore e libraio capace di pubblicare in Italia autori come Raymond Carver, Don DeLillo, Joe Marrazzo e Fernanda Pivano. La sua libreria si trova in Piazza Dante, all’ombra della statua di chi secoli fa aveva capito la pallida tempra degli italiani, già prima che esistessero come Nazione. Dante se ne sta là sopra, con il braccio sinistro proteso in avanti e quel gesto della mano che napoletanamente parlando potrebbe tradursi (invece che in un serioso cenno d’assenso) in un “e questo è”.

Tullio Pironti esce dalla sua tana, sciarpa rossa lunga, la mascherina, lo sguardo ironico. Di anni ne ha 83, rischia ogni giorno – in questi giorni di Covid – pur di stare in mezzo ai suoi lettori.  «I libri avevano già problemi prima della pandemia – continua – Adesso tutto si complica. La gente è distratta, difficilmente si fermano per comprare. Nelle settimane in cui siamo stati aperti, la risposta non è stata molto positiva. Io ero ottimista, pensavo che dopo la chiusura si sarebbero riversati in libreria, ma non è stato così. Abbiamo perso almeno il 50%. Poi noi siamo una libreria indipendente. Sono figlio di librai, faccio l’editore da quarant’anni. Ho avuto grandi successi in Italia, in particolare per i libri di denuncia. Ora non c’è più niente da denunciare. È già stato detto tutto. Ho pubblicato grandi scrittori, come il premio Nobel, Nagib Mahfuz. Di questo sono felice e fiero. Le difficoltà di prima erano affrontate con entusiasmo. Il punto è che adesso c’è paura. I tempi sono cambiati, la gente legge di meno. Le librerie indipendenti sono destinate non a chiudere, ma a sopravvivere, che è una cosa diversa».

C’è chi ha iniziato a trasferire il commercio dei libri su piattaforme digitali, oltre che organizzarsi per le consegne a domicilio e formare reti con altri colleghi. Ad esempio i librai de Librido, un piccolo mondo incantato, incastrato nella traversa di via Nilo, in pieno centro storico. «Prima la vendita online non esisteva, siamo piccole librerie. Ci sono grandi gruppi come Amazon che hanno tutto – spiega Roberto Valentini, fondatore dell’avamposto libresco – Ora come ora, ci troviamo in difficoltà perché i clienti non vengono e ci stiamo preparando per i volumi di asporto, rivolti in particolare agli affezionati. Non sappiamo dopo cosa succederà. Come sempre c’è tanta confusione. Nella prima chiusura, le librerie furono le prime ad aprire in tutta Italia, come un contentino. Ma a Napoli quella riapertura avvenne dopo due settimane. Anche lì ci organizzammo con spedizioni. Poi ci siamo riuniti con altre realtà partorendo un consorzio che abbiamo chiamato LIRE. Ha anche una sua pagina Facebook. Insieme a noi, ci sono “Dante & Descartes”, “Tamu” e “Perditempo”. Un consorzio per resistere umanamente più che economicamente. Siamo riusciti anche a far partire diverse iniziative tra cui una passeggiata letteraria. Siamo un negozio di quartiere come si suol dire, le consegne le facciamo a mano. Le spedizioni le stiamo organizzando con Bookdealer e Libri da Asporto. La verità è che Natale lo immaginiamo perso. Non c’è negozio che non consideri quel periodo come il 40% dell’incasso annuale. Cerchiamo di portare a casa la pellaccia».

La giornata è lunga, ma quella è. L’indomani ci sarà la chiusura, le interviste non potranno essere concesse così facilmente. La luce inizia a sbattere storta sui palazzi, il tempo è sempre meno. Corriamo a parlare con quello che senza mezzi termini può essere definito un libraio-editore militante, Raimondo Di Maio: insieme al figlio, porta avanti le librerie Dante & Descartes di Piazza del Gesù Nuovo e Via Mezzocannone. Lo troviamo alle prese con alcuni clienti, sullo sfondo eserciti di libri. La sua non è solo una battaglia contro l’attuale momento di crisi da Covid, ma una guerra per la cultura comunitaria e contro la cultura consumistica.

«Paradossalmente siamo usciti con un libro di Benjamin, Napoli porosa, quando cera il primo lockdown, una grande successo che ci ha costretti, per così dire, a fare i contrabbandieri per portare in giro i libri a Napoli, nel centro storico – racconta Di Maio – Abbiamo fatto una distribuzione da contrabbandieri, ma la cultura non si contrabbanda, la cultura è un passaggio obbligato. Poi abbiamo avuto il Premio Nobel Louise Glück. Quindi per noi il 2020 così terribile e apocalittico ha avuto un risvolto di successo. Il periodo però è brutto. Non si riesce a far pagare le tasse a chi davvero guadagna, cioè Amazon. Non si capisce perché mentre tutte le librerie, anche le grandi, soffrono per questa crisi, quel signore (Jeff Bezos, ndr.) arriva in Italia – con lockdown e librerie chiuse – e riesce a vendere libri dappertutto e guadagnare molto di più di prima senza pagare le tasse. Io non ho più personale. Avevo sei persone a lavorare, tre librerie tra Port’Alba, Piazza del Gesù e Mezzocannone. Ho dovuto ridimensionare tutto e le spese. La cultura paga per molte cose, ma la parte economicista non funziona. Ci sono questi grandi capitalisti e grandi società che devono far fruttare i soldi e avere i dividendi. Spesso si pubblicano libri di consumo, non culturali. La cultura è un’altra cosa: trasforma. I libri di consumo finiscono, vanno via. Ora il flusso è molto basso. Eppure resistiamo. Tanto che abbiamo proposto il libro di Domenico Rea, Pensieri della notte un volumetto di 33 anni fa, parla di Napoli, e due grandi intellettuali, Fruttero e Lucentini, mentre la totalità dell’intellighenzia italiana non ne parlò…ecco Fruttero e Lucentini parlarono di miracolo su La Stampa di Torino. Fabrizia Ramondino scrisse una pagina straordinaria su Paese Sera. Questi libri ci aiutano un po’. L’editore soccorre il libraio. Ma non ci fermiamo. Abbiamo in cantiere di pubblicare altri come Michele Sovente e Chandra Candiani. Si spera di continuare a lavorare e andare avanti, uscire da questo incubo apocalittico. Sulla pandemia si sa molto poco e si parla troppo».

C’è il tempo anche per la libreria Colonnese di via San Pietro a Majella. Ci accoglie un giovane collaboratore, Antonio Ferrieri. «L’unico aiuto che abbiamo avuto è la legge 267, il contributo alle biblioteche per acquisto libri – dice – Ci hanno dato una mano nei mesi successivi all’estate. Ma vige un terrore generale che limita le persone. Già prima avevamo subito una trasformazione al centro storico di Napoli. È diventata una zona turistica. Dalle statistiche, la Campania è la regione che legge di meno in tutta Italia. Ora il Covid ha bloccato ulteriormente il flusso turistico. L’unica speranza è spostare il commercio sul web. Non tutti lavorano, qualcuno sta in cassa integrazione. La situazione non è facile. Ma siamo fiduciosi. Siamo operativi con la casa editrice, ma il cuore pulsante della società è la libreria e con la nuova gestione abbiamo conseguito una ripresa economica importante».

In questo ennesimo stop regionale, le librerie non chiuderanno. Il Covid imperversa. Napoli è una città in movimento. C’è una resistenza che va oltre quella immunitaria, ed è la resistenza al vuoto, al malcostume, a chi considera sapere, libri e conoscenza beni da sacrificare per primi (un po’ come è stato fatto per teatri e cinema). I libri costruiscono le menti e le menti costruiscono la società. Le società costruiscono lo stare al mondo. Questo, i piccoli librai indipendenti sembrano averlo scritto sulla pelle.

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