Intervista su Eduardo De Filippo a Giulio Baffi: “Adesso Eduardo è tanto presente”

Giulio Baffi è il presidente dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro. Premio Nike alla Carriera, Premio “Roberto Mazzucco, Lente d’Oro” nel 2013, ha collaborato con prestigiose riviste. Docente di Discipline dello Spettacolo all’Accademia delle Belle Arti e alla Federico II di Napoli, autore di saggi su Eduardo e Viviani, critico teatrale presso la redazione di Repubblica, Giulio Baffi è il direttore artistico del Festival Benevento Città Spettacolo. Ex direttore dello storico teatro San Ferdinando di Napoli, luogo simbolo di Eduardo De Filippo, Giulio Baffi, per tanti anni al fianco del drammaturgo napoletano, rappresenta, oltre che uno tra i più autorevoli critici teatrali, un’autentica memoria vivente della figura di Eduardo De Filippo.

Quanto, in questo momento, Eduardo è vicino o lontano dalla città di Napoli?

“Adesso è assai presente nel teatro “territorio”. Eduardo ha fatto sì che i confini della Napoli teatrale potessero estendersi, a tal punto da aprire il territorio teatrale a direzioni non più delimitate. Essendo un uomo dotato dell’ipersensibilità, ha saputo nutrire il suo sentimento verso il teatro a mo’ di spinta verso l’esterno, dilatando la Napoli teatrale oltre ogni confine, riuscendo a darle definitivo ingresso nel teatro universale. Il suo teatro è stato tradotto in tutto il mondo, anche attraverso traduzioni e interpretazioni coraggiose, a dispetto di alcune esasperazioni che proprio nella Napoli teatrale avevano rappresentato un Eduardo lontano dal suo teatro. Eduardo non è stato l’eccesso. Tutto il contrario. La sua scrittura e la sua recitazione individuano la “norma poetica”, senza lavorare sull’eccezione, ma restituendola, scovandola, attraverso la tipizzazione del fatto teatrale. Quando Eduardo se n’è andato mi sono subito interrogato sul rapporto che sarebbe nato, dopo la sua scomparsa, tra la sua figura di scrittore attore e quella di uomo. Ho temuto che Napoli potesse metabolizzare lentamente la sua scomparsa, rischiando di dimenticarlo. Invece il passaggio al mito è stato rapido, perché in fondo Napoli è una città che trasforma i suoi meriti in feticcio e senza accettare critiche, imponendosi secondo le proprie regole. In qualche modo la città ha sciolto molto presto il mio dubbio, soprattutto grazie all’opera proprio di Eduardo, alla sua eredità, e grazie anche al figlio Luca, capace di tutelare con grande saggezza la figura del padre. Luca De Filippo ha sottratto Eduardo alla stupidità e lo ha offerto all’intelligenza, senza prevenzioni anche nei confronti della sperimentazione, perché l’intenzione sperimentale autentica è votata al rigore e al rispetto della fonte originaria.”

A questo proposito, qualcuno ha sostenuto che Eduardo avesse sempre scritto soggetti cuciti su misura, adatti soltanto alla sua attorialità. È davvero così?

“Una volta Eduardo mi disse, “Cominciai a scrivere i miei personaggi avanzando la loro età di una quindicina di anni in più. A quarantacinque anni questo mi consentiva di interpretare protagonisti con un’età compresa tra la mia e la sessantina, riuscendo sempre a rendere al pubblico un divario meno percepibile, di conseguenza apparendo sempre consono all’età del personaggio che interpretavo. Così facendo, il pubblico non mi ha mai visto modificato”. Poi aggiunse, “Chi l’avrebbe mai detto di potere andare in scena a settantanove anni”. Ecco, questi sono i personaggi di Eduardo. Non hanno anagrafe, come il suo teatro. Sik-Sik, per esempio, è una non-età. Eduardo ha fermato il tempo all’interno di un’intera drammaturgia.”

Quella che, dopo la resistenza del testo, potremmo definire la resistenza della maschera?

“Esatto. Lui ha interpretato una campionario di personaggi che non avevano bisogno del tempo. E ci è riuscito attraverso lo strumento più importante del teatro. La bugia. Come ogni grande drammaturgo, e come ogni grande attore, ha dimostrato che in teatro quello che conta è la capacità di tradurre la verità allo spettatore attraverso la bugia. Eduardo sosteneva che in teatro la grande rappresentazione è la grande bugia, che serve a mostrare la verità. Diversamente, e questo è accaduto a chi lo ha rappresentato male, tutto diventa parodia, imitazione sbiadita, somiglianza approssimativa, invece che rappresentazione autentica.”

Eduardo ha sempre manifestato una notevole diffidenza verso la televisione e alcuni strumenti di comunicazione di massa. Forse aveva intuito l’aggressione alle sensibilità che i mass media avrebbero comportato. Come si sarebbe posto rispetto ai nuovi linguaggi, rispetto al boom internauta? Oggi una sensibilità eduardiana sarebbe ancora possibile?

“Era molto diffidente con la televisione, è vero. Per due ragioni, perché aveva un rapporto troppo forte col teatro e perché aveva intuito l’aspetto ambiguo della televisione. A ben riflettervi è vero. La televisione non ha una funzione chiara e netta, perché è come se mutasse spesso di funzione, ora per diffondere, adesso per raccontare la verità poi per filtrarla, spesso alterandola. L’elemento indefinito della televisione faceva scattare la diffidenza di Eduardo, che però, e qui sta la sua ennesima intuizione, non ha disdegnato di utilizzarla. Come? Adattandovi dentro il teatro, chiedendole di adattarsi al teatro. Eduardo ha capito che la televisione gli avrebbe consentito di verbalizzare il suo testamento. Il teatro se lo rappresenti, resta nel ricordo di chi vi ha assistito, ma non è disponibile una seconda volta e per chi non l’ha visto. Con la televisione Eduardo ha potuto e ha voluto registrare le sue commedie, inserendovi anche elementi tipicamente teatrali, per far sì che l’elemento scenico più puro non sfuggisse allo spettatore, anche davanti al televisore.”

Probabilmente Eduardo avrebbe cercato nuove strade anche con i linguaggi di nuova generazione?

“Avrebbe sperimentato, avrebbe colto l’opportunità di lasciare un segno anche attraverso nuovi mezzi. Sì, avrebbe sperimentato. Eduardo, prestando la voce al Prospero della Tempesta di Shakespeare, tradotta da lui stesso in napoletano, ha detto “Li incanteseme mieje songhe fernute”, sottolineando il fragore interiore di una rara forma di sensibilità, struggente.”

Quando si parla di Eduardo, e parlarne è difficile, aiuta non poco farlo con Giulio Baffi. La Rivista Milena lo ringrazia sentitamente per questa intervista.

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