Conversazione con Domenico Corrado su Eduardo De Filippo

Domenico Corrado è un regista e attore teatrale, che ha iniziato la sua carriera frequentando la Bottega Teatrale di Firenze, diretta da Vittorio Gassman. Ha collaborato con Eduardo De Filippo, Giorgio Strelher, Mario Scaccia, Ugo Gregoretti e molti altri registi teatrali e cinematografici. Nel 1991 ha fondato una produzione chiamata Elledi 91, oggi Tappeto Volante, con la quale inizia una serie di particolari percorsi artistici, rappresentando opere classiche in aree di notevole impatto archeologico e naturalistico. Di grande successo L’inferno di Dante nelle grotte di Pertosa oltre a una serie di rappresentazioni ispirate ai testi della letteratura classica. Nel 1998 ha realizzato un’opera editoriale con la quale ha pubblicato le commedie di Eduardo a fumetti.

Quanto di Eduardo si porta dentro chi lo ha conosciuto e amato, anche soltanto attraverso i suoi testi? C’è qualcosa di ancestrale.

“Eduardo al sud, in particolare a Napoli, viene percepito come un mito, come un elemento della spiritualità. In Piemonte, per esempio, tra lui e Pirandello forse sceglierebbero Pirandello, perché ha vinto il Nobel, o perché, visti i registri linguistici, cambierebbe il livello di percezione. Ma è solo una differenza di tipo percettivo.”

E se ci fosse qualcosa di travisato da parte di chi non lo ha saputo comprendere fino in fondo?

“Eduardo per fortuna è compreso quasi da tutti. Lui era fondamentalmente borghese, anche se il suo teatro, estremamente “fotografico”, ha immortalato con grande ironia la classe borghese. Eduardo non era un uomo del popolo, ma questo non gli ha impedito di comprenderlo fino in fondo. Nel suo teatro c’è tanto la critica aspra e ironica alla borghesia, alla quale lui in qualche modo apparteneva, quanto la descrizione, la comprensione dell’anima popolare, dentro la grande fotografia che era la sua scena, sempre capace di fermare i momenti, di paralizzare il tempo.”

Anche perché, forse, lui stesso vi entrava e ne usciva contemporaneamente.

“Ha condotto un’esistenza faticosa e dolorosa. Molti hanno sempre sottolineato dei suoi presunti comportamenti chiusi e diffidenti. Ma, pensandoci bene, Eduardo ha conosciuto tutto il Novecento, attraversandolo e vivendolo quasi per intero. Un tale volume di esperienze gli ha consentito di osservare tutti i cambiamenti di un secolo così complesso e drammatico. Ed è per questo che ha voluto essere guardingo nei confronti di chiunque potesse strumentalizzare la sua figura. La sua era una forma di difesa, perché il teatro è un ambiente dove non è difficile, e lui era ancora più a rischio, incappare in qualcuno che voglia servirsi di un personaggio così importante. Era accorto, non diffidente, ma se intuiva che il suo interlocutore era in buona fede, allora sapeva pure concedersi. Lo ripeto, non va trascurato un aspetto importante. Eduardo ha sofferto. Secondo me la scomparsa prematura della figlia ha rappresentato uno spartiacque nella sua vita. A un certo punto non ho neanche più tollerato la celebrità.”

Anche Pasolini considerava il successo l’altra faccia della persecuzione.

“Ed è così, è vero. Il successo in certi momenti diventa una forma persecutoria, capace di angosciare chi si porta dietro un bagaglio faticoso e doloroso. Tuttavia sarebbe un errore limitare tutto a un apparente atteggiamento di diffidenza. Un’altra dimostrazione è fornita dal fatto che Eduardo ha affidato alla sua vita i gradi di confidenza concessa agli altri, a seconda della durata delle persone nella sua esistenza. Chi lo conosceva sin da giovane poteva consentirsi rapporti più confidenziali, perché faceva parte della sua vita sin dalle sue fasi sperimentali. Per Eduardo era importante controllare gli ingressi presso la sua persona.”

Quanto deve essere valso averlo incontrato, che portata deve avere il ricordo di chi lo ha visto da vicino almeno una volta.

“Io mi porto dentro un ricordo di Eduardo di profonda emozione. Avevo 18 anni, quando mi presentai al San Ferdinando per chiedere di assistere alle prove di Ditegli sempre sì, dove Eduardo non recitava, ma curava la regia. Mi fu accordata l’opportunità di fare l’assistente alla regia, seduto alcune file distanti da lui che, anche per sei o sette ore consecutive, nonostante l’età, dirigeva le prove della sua compagnia. Ricordo l’attenzione, il rigore, il silenzio. Per me era qualcosa di indescrivibile trovarmi lì.”

Per chi ha conosciuto e amato Eduardo, il suo ricordo è pieno di malinconia. Per chi lo ha amato senza conoscerlo, non c’è ricordo, ma un grande rimpianto per non averlo potuto incontrare. In entrambi i casi, forse, c’è la malinconia di Flaubert, “un ricordo inconsapevole”.

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