“Per amor vostro”, intervista esclusiva a Giuseppe M. Gaudino

Dopo la partecipazione in Concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, il 17 settembre si è tenuta la prima di Per amor vostro, il nuovo bellissimo lungometraggio di Giuseppe M. Gaudino, secondo film di finzione di uno dei più originali cineasti italiani che, dopo una serie di documentari, torna alla fiction a diciotto anni di distanza da Giro di lune tra terra e mare, altro film sorprendente che, sempre a Venezia, nel 1997 fu una delle rivelazioni del Concorso. Forte della Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile vinta da un’ottima Valeria Golino il film, che si è avvalso di un asset produttivo ampio ed eterogeneo, è distribuito dalle benemerite Officine Ubu. Abbiamo incontrato il regista e gli abbiamo posto qualche domanda sul suo nuovo film.

Vorrei partire parlando della gestazione del film che, da quanto so, ha richiesto uno sforzo produttivo notevole coinvolgendo, oltre alla tua Gaundri, altre sei case di produzione. L’impressione è quella di un film che tante persone hanno fortemente voluto ma che non ha avuto una genesi molto facile. Insomma, come nasce Per amor vostro?

La genesi del film risale al 2008. Dopo avere avuto l’OK del Ministero, abbiamo incontrato alcune disavventure con un paio di partner produttivi. Il film si è arenato ed ha anche rischiato di non vedere mai la luce. Poi nel 2014 abbiamo avuto aiuti da parte di Eskimo e di Figli del Bronx [due delle case che producono il film, ndr]. Poi, c’è stato l’entusiasmo di Valeria Golino per la sceneggiatura che ha segnato l’ingresso della Buena Onda di Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri. Una parte dell’investimento è stato coperto anche dal Premio “Films du Monde”, ricevuto dal Ministero della Cultura francese, unico film italiano ad ottenere quest’anno questo riconoscimento. L’esiguo budget iniziale è stato così aumentato. Insomma, come dice il personaggio di Anna, che combatte una battaglia “contro tutto e contro tutti”, permettimi di dire che è stato così anche per il nostro film.

Il soggetto del film, che porta la tua firma, contiene una molteplicità di temi e di livelli, è un racconto molto complesso e stratificato nel quale si mescolano realtà, sogno e immaginazione. Come è nato nella tua mente e a quali modelli, se ci sono, hai guardato?

L’idea iniziale è stata quella di raccontare un sentimento, l’ignavia. Ma come puoi capire, se vai da un produttore e gli dici: “Salve, vorrei fare un film sull’ignavia” non hai molte speranze di ottenere un finanziamento. Così, abbiamo costruito una storia attorno a questo sentimento, la storia di un personaggio che vive una vita “senza infamia e senza lode” ma che sente forte dentro di sé questo desiderio di riscatto. Dici bene quando dici che si tratta di un film molto stratificato. Però aggiungo che oltre alla miscela di realtà, sogno e immaginazione, abbiamo cercato di lavorare su più livelli anche per quanto concerne l’apparato visivo e quello sonoro. Le varie scene di questo film non esisterebbero senza le musiche degli Epsilon Indi e al loro lavoro di commistione di musica popolare con alcune sonorità elettroniche. Il sincretismo visivo e sonoro che siamo riusciti ad ottenere ci ha permesso di rendere il film quello che volevamo che fosse: il racconto di un sentimento piuttosto che di un’azione.

Il film ha dei bellissimi personaggi di contorno, a partire dai membri della famiglia di Anna o anche il personaggio di Ciro Amoroso, interpretato dal bravo Salvatore Cantalupo. Tuttavia Anna, che è in scena per la totalità del film, ne rappresenta il cuore pulsante. Come avete lavorato sul personaggio con Valeria Golino?

Valeria ha fatto un lavoro molto generoso durato circa otto-nove mesi, e ha vissuto la storia di Anna con grande forza iniettando nel personaggio qualcosa di personale, di intimo e profondo. Come hai forse notato, nel film ci sono molte frasi retoriche, cioè quelle espressioni che ritornano spesso nella vita di tutti i giorni ma che nel film vengono pronunciate dagli attori con grande sincerità. Nella nostra vita di tutti i giorni, la frase più banale diventa significativa se vedi sincerità negli occhi di chi la pronuncia. Quello che ho chiesto a tutti gli attori e che ho ottenuto grazie alla loro bravura e al loro spirito di sacrificio, è stato di far venire fuori la loro fragilità, senza programmarla: una fragilità programmata, infatti, sarebbe una contraddizione in termini. Non svelavo mai agli attori cosa avveniva alla fine di una sequenza per dare loro maggiore libertà nella costruzione di personaggi che fossero il più possibile credibili. Credo di essere riuscito nel mio intento e devo moltissimo a ciascuno di loro. 

Mi ha molto colpito, tra le tante cose, il fatto che nel film c’è una grande molteplicità di linguaggi, una sorta di vero e proprio plurilinguismo: il dialetto, l’italiano “pulito” della soap-opera, la lingua dei segni, i cartelli con i quali Anna comunica le battute agli attori della soap. Ci avevi pensato?

Certo, assolutamente. Il LIS, la lingua dei segni, non è semplicemente un vezzo ma significa creare una vera e propria disciplina del linguaggio. È ciò che ho detto agli attori mentre prendevano lezioni nelle varie città per imparare questa lingua. Aggiungerei a quelli che hai citato tu anche il linguaggio delle canzoni che crea dei livelli ulteriori. Basta pensare al rapporto di Anna con il figlio sordomuto e alla loro comunicazione che avviene non solo attraverso il lis ma anche con la musica, come nella scena per me struggente e dolcissima con la musica del Quartetto Cetra quando il figlio ne fa la parodia. Il film è anche un viaggio, un modo per affondare dentro le radici del linguaggio in modo da ritrovare e restituire la verità dei sentimenti.

Il film è anche una descrizione di Napoli, vista come una città magmatica in cui c’è un mondo sotterraneo altrettanto forte di quello superficiale, una città di forti contrasti. Come vedi questa città e qual è il tuo rapporto con essa?

Dico forse una banalità e forse ripeto una cosa che dicono già in molti, ma non posso che ripetere che il mio rapporto con Napoli è di odio-amore. Io sono andato via alla fine degli anni ’70 perché purtroppo a Napoli mancavano determinati strumenti di lavoro e di studio che potevo trovare in altre città. Nel mio film, parlando di Napoli, io ho voluto raccontare quello che fa il suo male. Napoli è un luogo sublime ma anche infernale, capace di risorgere dalle sue ceneri come una fenice. Pensa alla distruzione operata con l’Italsider di Bagnoli che dava posti di lavoro ma ha anche lasciato lì un mostro, un terribile relitto. E pensa invece all’adozione, che avviene ancora oggi nel 2015, delle cosiddette anime “pezzentelle”, un rito ancestrale in cui si vedono delle persone che tuttora si prendono cura di sconosciuti, di morti senza nome. È una cosa veramente incredibile! Per questo, Napoli era la cornice perfetta per la storia che volevo raccontare, e Per amor vostro non poteva essere girato in nessuna altra città.

Nel film viene rappresentato il mondo della televisione, nel personaggio di Adriano Giannini, che poi si mostra diverso da quel che sembra. Era un modo, da parte tua, di criticare in maniera obliqua quel mondo?

No, nessun tentativo né volontà di critica. In realtà, io vedo solo la televisione come la nuova fabbrica dei sogni, ed in questo senso le soap-opera sono lo spettacolo perfetto che mostrano una vita idealizzata, una vita come la si vorrebbe. Inserire la soap-opera nel mio film serviva a creare un aggancio ed un contrasto con la vita complicata, dal punto di vista sia pratico che interiore, vissuta dalla protagonista. E non è un caso che sia lei a suggerire quelle battute, a pronunciare delle frasi che invece nella sua vita privata non può né pronunciare né udire. Diciamo che tutto il film, come la protagonista, è un po’ borderline, cioè vi sono delle scene volutamente ambigue in cui non sai se le cose stiano accadendo veramente alla protagonista o siano soltanto immaginate. Il mio tentativo era quello di creare un intarsio in cui i personaggi possono incarnare se stessi o essere semplicemente la rappresentazione di un fatto emotivo. In questo senso, il mondo della televisione diventa anche il modo di nutrire, di alimentare quell’immaginario.

Tu fai un cinema molto personale, probabilmente unico nel panorama attuale (e non solo) del cinema italiano. Tuttavia, Per amor vostro mi ha fatto pensare, per il personaggio di Anna, a Federico Fellini e al suo Giulietta degli spiriti e, almeno in un paio di scene tra Adriano Giannini e la Golino, a Le notti di Cabiria. Il tuo cinema guarda all’immaginario di Fellini?

Ti ringrazio per il paragone lusinghiero con un regista che reputo un Maestro. Tuttavia, credo che la messa in scena di un immaginario che per certi versi rimanda a quello felliniano è più casuale che voluto. Spetta certo a voi critici, ed in questo senso il vostro lavoro è utile e prezioso, trovare richiami, allusioni tra film e film. Per quanto mi riguarda, tuttavia, io aspirerei maggiormente ad un rigore rosselliniano e pasoliniano.

Sei contento dell’esito veneziano del film o speravi in qualcosa in più del premio all’interpretazione femminile?

Sono molto felice per il premio meritatissimo ottenuto da Valeria che in questo film ha dato davvero l’anima. Quanto ai premi principali, sapevamo d lottare contro grandi avversari come Aleksandr Sokurov, Jerzy Skolimowski e Atom Egoyan che, tra quelli in Concorso, sono i registi che amo di più. Adesso guardo solo all’uscita in sala sperando che il film possa piacere a quante più persone possibile.

 

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