A Lello Guida il premio ‘Annibale Ruccello’

A Lello Guida è andato il premio Annibale Ruccello. Il riconoscimento gli è stato riservato da una decisione della giuria composta da studiosi dell’Università Federico II e del Master in Drammaturgia e Cinematografia dell’ateneo federiciano. Lello Guida è stato premiato per la sezione drammaturgia del premio, consegnato allo scrittore napoletano proprio a Castellammare di Stabia, città natale di Ruccello, col quale Guida ha condotto parte della sua produzione letteraria, scrivendo insieme al compianto Annibale L’osteria del melograno, L’ereditiera e L’asino d’oro. Il drammaturgo di Binariomorto, in scena al Porta Catena di Salerno in luglio e a Napoli al Teatro Nuovo in dicembre, per la regia di Franco Alfano ed Elena Scardino, oltre che coautore di alcune opere di Ruccello, è uno tra i più preziosi custodi della memoria storica e personale del drammaturgo e attore stabiese.

Nel premio e negli altri riconoscimenti che vengono organizzati in memoria di Ruccello c’è anche Lello Guida. In fondo, è come se gli fosse stato riconosciuto qualcosa che già gli appartiene. E che gli è appartenuto da quando ha iniziato a lavorare con uno tra i più profondi e dirompenti uomini di teatro dal dopoguerra a oggi.

Lello Guida in un’intervista all’interno di un documentario dedicato a Ruccello rivela quanto egli avverta inestimabile il ricordo di vita dei numerosi momenti trascorsi con, prima di tutto, un suo grande amico, col quale ha diviso non soltanto i percorsi artistici, ma pure lunghi momenti di intimità affettiva: “il fare tardi la sera, mangiare e bere insieme, parlare e fumare insieme”. Oltre la fatica dello scarico delle luci e del materiale di scena, affanno caro a chiunque percepisca il teatro come trasferimento simulatorio della vita.

La drammaturgia di Lello Guida contribuisce a comporre il panorama in perpetua afflizione di quello che potrebbe essere avventurosamente definito come il metropolitanesimo napoletano. Facile, per molti, da accodare a una fondazione di genere di Raffaele Viviani, ma che, con uno sguardo più attento, affonda le sue radici in un tormento letterario molto più antico. Nelle apparizioni di figure ispirate al sogno che rifugge il reale perché sente di esserne parte drammatica e condannata, sedimentano il furore e la passione, il silenzio e la dolcezza, l’ambiguità e la disperazione di un microcosmo perpetrato suo malgrado in una polifonia di voci che pronunciano la parola unica delle inquietudini umane. Stillate in una pena dolorosa, sono sopravvissute col sorriso amaro e le angosce dissimulate dietro quel nascondiglio di tribolazioni che è la maschera naturale assegnata a ognuna di quelle figure.

La scrittura di Lello Guida, come ovviamente quella di Ruccello, ha estratto gli spettri che infestano quell’interno asfissiato da patimenti e dai travagli, per rappresentarli in quella chiave apparentemente semplice ed essenziale, ma che è in realtà la nitidezza di quanto proprio Ruccello definiva lacerazione della solitudine. Tutto, come una volta ha dichiarato Guida parlando di Ruccello, secondo una regia che inverte il verso dell’osservato teatrale. “Così come l’attore spia la platea prima dello spettacolo, così Annibale Ruccello ha voluto portare in scena le sue opere, (le loro opere ndr). Con l’intento di indurre lo spettatore a uno sguardo dal buco della serratura”.

Un’umanità derelitta popola luoghi di passaggio in cui l’occhio umano avvista senza intervenire, talvolta giudicando e approssimando una valutazione secondo se stesso e in utilizzo sommario del giudizio, in assoluta inosservanza del valore della sensibilità. Spiare perché in fondo essere quello che si preferisce spiare è un peso che pochi possono sostenere. È l’addebito dell’esistenza comprensibile solo a chi gli è toccata. E il teatro scritto da Lello Guida, come singolo autore e come coautore di Ruccello, guarda a questo rapporto del noi e del loro coi clamori e i disparte di quell’uomo marginato sulla soglia dello spiato.

Che il valore del patrimonio letterario di Lello Guida non passi soltanto per il riconoscimento di un premio, ma per la devozione che si deve al teatro che, come tale, resta il luogo per eccellenza da cui contemplare per restare contemplati. E dalla platea, per una volta, si levò un inchino.

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