Giuseppe Acconcia e il suo “Taccuino arabo”

di Mariangela Laviano

 

Taccuino arabo. Frammenti di viaggio tra Europa e Medio Oriente è il titolo del nuovo libro di Giuseppe Acconcia. Edito da Bordeaux Edizioni, questo libricino di 179 pagine è stato dedicato a due illustri personalità italiane, Massimo Campanini (1954-2020), accademico, studioso e storico della filosofia nonché massimo conoscitore del pensiero islamico moderno e contemporaneo e Gian Paolo Calchi Novati (1935-2017), storico e accademico, tra i maggiori esperti di colonialismo e decolonizzazione in Africa e Medio Oriente.

Suddiviso in sei paragrafi e una Playlist che vorrebbe fare da sottofondo musicale, Taccuino arabo racconta in maniera spezzettata i tanti viaggi fisici ed esistenziali che l’autore annota arrivando in Spagna, in Francia, in Turchia, in Nord Africa e in Iran, viaggi che inseguono una insaziabile aspirazione rappresentata dalla “voglia di scrivere, viaggiare e capire” (p. 109). Questa “voglia”, come lui stesso la definisce, si fa sempre più incalzante quando si è alla ricerca di comprendere l’Altro per capire Se stessi.

Acconcia è “uno che cerca” proprio come Siddhartha, il protagonista del romanzo di Herman Hesse, il quale non fermandosi alla “conoscenza” che gli era stata data dal padre e dalla predicazione brahmana, passa di esperienza in esperienza, di paese in paese, di conoscenza in conoscenza per liberarsi da quel sentimento, la scontentezza, che lo tormentava e che non gli concedeva pace.

Allo stesso modo Acconcia, permeato dal medesimo sentimento d’insoddisfazione, soprattutto durante il periodo universitario in una Milano troppo artificiosa, consapevolmente scontento per le scelte fatte, guarda al mondo medio orientale come possibile “strada” da percorrere per soddisfare questo suo vuoto. La scrittura gli permette di appuntare ogni minimo dettaglio dei luoghi e delle persone con cui viene a contatto ma soprattutto di prendere nota delle vicende che hanno segnato la storia nazionale e internazionale e del suo incontro con la religione islamica.

La narrazione di questa pluralità di fatti, vite e questioni ci appare nuda e cruda, in cui i filtri non servono ma ciò che serve è la disponibilità a “sporcarsi le mani” per raccontare la Vita nella sua diversità da una prospettiva di osservatore esterno, libero da condizionamenti senza temere di mostrare, attraverso un racconto introspettivo, il volto dell’Europa e del Medio Oriente.

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