‘Sound Sbagliato’: la compagnia Nts’ tra le musiche di Vivaldi e il quartiere Sanità

di Davide Speranza

Sembrerà strano esordire con Vivaldi e le sue Quattro Stagioni in un contesto drammaturgico. Ma è indispensabile per entrare nel corpo suggestivo di “Sound Sbagliato”, il dramma prodotto in seno al Nuovo Teatro Sanità di Napoli (con la produzione di Le Scimmie).

Vivaldi concepì la sua opera più importante in forma di concerti solisti per violino, quattro componimenti (Primavera, Estate, Autunno, Inverno) che fungono da apertura all’opera Il Cimento dell’Armonia e Dell’Inventione. Quello che fa è disegnare con i suoni e le note uno spazio teatrale, definito, narrativo, ricco di azione e con soggetti in movimento. Gli esperti e i professionisti di settore la annoverano tra le fila della cosiddetta “musica descrittiva” o “musica a programma”, da cui deriva il poema sinfonico. C’è di più. Vivaldi non si limita a scrivere le note sul foglio, ma le accompagna con quattro sonetti (a dir la verità anonimi) dove prendono vita pastori, cani, contadini, uccelli, prati in fiore, tempeste e calure, ghiaccio e foglie dorate. È il tempo che passa, la realtà che parla e dialoga con il compositore, i musicisti e il pubblico.

Sound Sbagliato parte da qui, concepito sulla strada, in mezzo ai rumori umani, urbani, quelli che ti fanno sentire – non solo con le orecchie, ma sulla carne – la trasformazione di un’umanità in travaglio, il passaggio di anime sbagliate da un inferno all’altro sulla linea temporale dell’esistente contemporaneo. La storia è ambientata alla Sanità, tra i vicoli oscuri e senza futuro della metropoli, ma potrebbe essere geolocalizzata ovunque, in qualsiasi ambiente antropizzato che sia la periferia milanese, le borgate romane, o – come suggerisce il regista Carlo Geltrude – le banlieue parigine. Quattro ragazzi (interpretati da Vincenzo Antonucci, Ciro Burzo, Mariano Coletti e Salvatore Nicolella), giovani allo sbando riempiono il tedio della vita imbottendosi di droga, fantasticando su mirabolanti rapine con cui arricchirsi per dare una svolta ai propri destini.

La tragedia è dietro l’angolo, come anche il carcere, la totale assenza di fanciullezza, la disgregazione dell’adolescenza a favore di brutali orizzonti. L’idea trionfante sulla resa difficile dell’argomento – gli autori avrebbero potuto inciampare in cliché e banalità da cronaca locale – è l’aver scelto l’uso dei versi in rima e vernacolo accompagnati dalle Quattro Stagioni, rispettandone la ritmica e scandendo il passare dei mesi e degli anni grazie alle variazioni in musica dell’opera vivaldiana. Un concentrato di classica e rap, passato e presente, dove il testo teatrale e la messa in scena sembrano il tentativo di un’operetta musicale.

Composta in quadri – scene ritagliate su colori caravaggeschi e ambientazioni dai chiari riferimenti pasoliniani – la storyline del dramma si risolve in un atto unico, durante il quale gli attori recitano in versi, e in versi sembrano muoversi anche i loro corpi, dinamici, danzanti, dinoccolati, violenti. Le trovate registiche trovano spunto dal nonsense, dal montaggio cinematografico – come lo slow motion – ora assorbendo colori da commedia più leggeri, ora ridestando ombre e morte, come a ricalcare il tempo dei movimenti in cui si divide il concerto di Vivaldi: allegro, adagio, allegro non troppo, e così via.

Ne viene fuori un poemetto musicale che riversa sulla platea tutto il suo carico di quotidiano fallimento sociale, con una forza, una schiettezza e consapevole analisi che è ormai raro trovare in teatro. Ricorda nello script alcune scene dei capolavori di Pier Paolo Pasolini come Ragazzi di vita e Una vita violenta, anzi sembrano accavallarsi nei quadri di insieme, in particolare quando i quattro giovani protagonisti incontrano lo spacciatore di riferimento e ne nasce una inaspettata discussione filosofica sulle proprie vite spezzate, svuotate dal sangue tossico e prive di qualsiasi autonarrazione.

«Il nostro è un lavoro corale – spiega il regista Carlo Geltrude – Tutto parte dall’idea di Alessandro Palladino. Con quest’opera abbiamo partecipato al Premio Scenario 2019, arrivando in finale. Un progetto che nasce l’anno precedente. Abbiamo deciso di riprendere il testo con la compagnia del nostro teatro, i ragazzi in scena sono anche coloro che hanno inaugurato e aperto questo spazio alla Sanità, oltre a gestirlo. Insomma un percorso interno. Questo è il prodotto del lavoro fatto sui giovani, dai giovani. La scrittura parte da noi, la regia, l’interpretazione. Abbiamo alzato l’asticella e ci siamo cimentati in una scrittura in rima».

L’idea sarebbe stata quella di mettere su un’orchestra, ma le tempistiche realizzative risultavano troppo lunghe. «Ci siamo proiettati verso l’operetta – continua il regista – Mettendoci lo slang, uno slang tutto nostro, ovviamente. Il fatto è che se anche venisse uno straniero ne apprezzerebbe la musicalità, perché questo abbiamo fatto: trasformare il napoletano in musica. Da qui l’uso del rap. Siamo una compagnia di giovani e la nostra è una scrittura giovane. Parliamo di quello che ci circonda ma che potrebbe avvenire benissimo in qualsiasi parte del mondo, anche grazie alla resa scenica e soprattutto ai costumi eccentrici di Rachele Nuzzo. Volevamo che questi protagonisti fossero di Afragola, ma anche di Berlino. Volevamo rappresentare l’ozio. Abbiamo voluto costruire un dialogo con le nuove generazioni, riportare i giovani a teatro con contenuti veri, dando un messaggio di base importante. Per anni abbiamo lavorato nel sociale. Il nostro direttore, Mario Gelardi, parte da quello. I ragazzi della compagnia del Nts’ hanno fatto il loro percorso artistico in questo luogo. Per noi è un lavoro stimolante, ci mette a confronto con noi stessi. Prima dell’argomento “droga”, il vero tema è quello dei ragazzi. Cosa fanno, come si divertono. Quindi arriviamo ai temi della tossicodipendenza, la dispersione scolastica, la microciminalità. In questo momento storico alla Sanità viviamo di luce nuova, il quartiere è cambiato, ci sono tante opportunità, ma i problemi restano. Il nostro è un modo per denunciare, facendo teatro. Non siamo poliziotti, non siamo giudici. Raccontiamo una storia, il potere del teatro è l’arma scelta. Dico sempre che noi siamo cresciuti per strada ma sul marciapiede opposto. Raccontiamo storie di persone che consociamo, storie reali, però non vogliamo precluderci l’idea di denunciare facendo show. Alla prova generale, sono venuti a trovarci i ragazzi de La scuola del fare. Ci hanno trasferito messaggi belli e anche critiche. Gli era arrivato tutto. Per me abbiamo vinto».

Il testo è firmato da un altro giovane del gruppo, Ciro Burzo, lo scrittore in rime: «È vero che la Sanità è un quartiere quasi di élite. Ma quando eravamo ragazzi non c’era questa opportunità – ricorda – Era facile perdersi. Nella stesura drammaturgica ci siamo guardati intorno. Abbiamo iniziato a capire ad esempio la differenza tra me e un altro ragazzo nel compiere 18 anni. Una delle cose che mettiamo in scena è quando Alfredo raggiunge la maggiore età, il suo obiettivo è il carcere dei grandi, in quel mondo cresci prima, diventi adulto. Questi sono ragazzi senza aiuto. Vivono assieme, giocano assieme, sperimentano cose sbagliate insieme senza guida. Ho concepito la scrittura tutta in rima. È la mia peculiarità. Esprimermi in rima è per me più semplice e ci sono leggi precise. Se inizio una rima, devo concluderla e ho parole definite, non posso usare qualsiasi termine. Il testo iniziale durava 15 minuti e così lo abbiamo dilatato. Il lavoro complesso è stato incastrare tutto sulla musica.  Vivaldi lo abbiamo amato e odiato. E la scelta è caduta su questo enorme compositore perché ci serviva un passaggio temporale, che poi è una trovata fortissima. È stata dura. Per ultimare il lavoro abbiamo impiegato tre settimane. Scrivevamo dalle sette della sera alle sei del mattino».

La compagnia Nts’ sta lavorando per portare lo spettacolo in giro per l’Italia. Non è facile, dopo tre anni di pandemia e gravi acciacchi al sistema teatrale nazionale. Ma questi autori/attori hanno lavorato tanto, hanno pensato a un nuovo modo di raccontare e di andare verso il pubblico. La rivoluzione che salva dalla crisi intellettuale e sociale comincia così: partendo dai suoni della vita che, nel bene e nel male, ci parla e ci suggerisce il trascorrere degli anni. Sta a noi capire come riempirli.

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