Dei dominanti e dominati

di Davide Speranza

 

Dei dominanti e dominati, del fallimento della politica, dei Draghi di fuoco, scenari orwelliani e cavalli di Troia, dei prodotti consumati. In un articolo di Gaetano Azzariti, si legge: “Non più una classe dirigente ma solo dominante. Draghi è il frutto del vuoto della politica, non la sua causa”. Non potevano esserci parole più esatte.

Voglio iniziare con l’etimologia del termine “governo”. La parola, manco a dirlo, è una costola del latino gubernare che significa “reggere il timone” e, andando ancora più in là nel tempo, dal greco antico κυβερνάω cioè “dirigere una nave”. Dirigere. Andar per mari e oceani indica conoscenza delle mappe, delle rotte, delle tempeste. Esperienza, bussola e fatica.

Quel che conta, oggi in Italia (ma anche nel resto del mondo) è una nuova dominanza. La dirigenza è svaporata. La società fatta di eccellenza e virtuosità conoscitiva non esiste. E non esiste perché il potere per il potere non vuole crescita, né evoluzione etica, neanche distruzione di massa. Il potere per il potere desidera una sola cosa: dominio. Non c’è nave, non c’è acqua. La nave è nell’etere, l’acqua è un ammasso di corpi dalle menti fiaccate.

Dominare una società che galleggia sul pelo dell’acqua e non si immerge nel profondo è più facile. Inculcare nelle teste una perenne crisi. Le crisi chi le ripara, se non la finanza? Ora potete sbattere sul grugno qualsiasi curriculum afferente a signor salvator della Patria, Draghi. A me non importa nulla. Osservo. Nessun complottismo, non del genere che i più credono. E l’unica conclusione – quale miseria – è che in questa fase della storia non è possibile dare voce al popolo. Si urla al “populista”, “complottista”, “terrorista”: usiamo termini di cui non conosciamo origine e creatore. Che risate. Ci siamo mai chiesti se lo Stato sia l’unica forma di governo di un popolo? A chi demandiamo le nostre richieste e accuse? Cos’è lo Stato?

Non è vero che siamo in elezioni democratiche. La guida di una comunità si dovrebbe misurare sulla distanza delle idee e delle pianificazioni. Davvero è così? Il fallimento del Movimento 5 Stelle, come quello della Sinistra, del berlusconismo/salvinismo sta tutto in un fatto antropologico, nella deformazione mentale e culturale che ha ormai deviato il destino dei popoli, e (restando in casa nostra) del Belpaese. Il fallimento della forma “partito” è innegabile; la sua struttura è obsoleta, vecchia, non allegata ad alcun futuro possibile che abbia un minimo di crescita per i giovani (almeno nei contorni in cui sguazza oggi). Discorso a parte merita Renzi, a tal proposito.

Anni fa, da una fonte interna, appresi quanto questa persona mi disse: “Renzi è un folle, sperona tutti, va avanti come un treno, per questo vincerà. È un folle”. Lo diceva da sostenitore, ammirato, gli brillavano gli occhi. Io, invece, ne avevo già timore. Uno che si presenta come il “rottamatore”, si fa portavoce di banche e ramificazioni della grande imprenditoria, dando il colpo di grazia a quel po’ di Sinistra sopravvissuta, non è un rinnovatore. Si chiama “Cavallo di Troia”. Nessun colore politico. Nessuna ideologia. I politici stessi sono scavalcati. Né destra, né sinistra. L’alta finanza controlla. L’impresa comanda, dà lavoro. Il lavoratore obbedisce. Punto. È vero da sempre. Ma, adesso, tutto è più sfacciato, fuori dal controllo comunitario, coperto da spray dorato in stile barocco.

Basta dare in pasto alla massa l’ultimo ritrovato della tecnologia mobile, inventare la moda dell’omologato borghese totalizzante, la piattaforma che lega tutti a tutto, dare respiro quel tanto per farsi il viaggetto new age. Si chiama “comprare”. Comprano prodotti. I prodotti siamo noi, il target sono loro stessi. Siamo oltre Pasolini. Non si tratta di essere dei consumatori, ma dei comprati. Ogni giorno. Prodotti acquistati e da scambiare.

La sudditanza che i giornali italiani stanno mostrando nei confronti di Draghi è grottesca, come grottesca fu la caccia alle streghe quando Conte venne indicato premier (non votato, il Presidente del Consiglio in Italia non si vota). Viviamo in un Paese dove tutto resta così come deve restare. Dove la classe anziana continua imperterrita a mangiare e coltiva i propri discepoli da asfaltare, dove c’è mancanza di spazio per giovani, sfruttamenti, mancanza di progetti politici locali e nazionali, dove il divario tra cultura e Paese reale è vastità oceanica (nel mezzo la culla delle mafie), dove il tuo datore di lavoro ti taglia lo stipendio. Questo invece si chiama Nazifascismo. Nuovo regime pseudo-democratico. E nella mischia, la guerra dei poveri e degli sciacalli.

Decenni fa, lo scenario era il medesimo. La differenza era la prospettiva. Fino agli anni Novanta, un cristo qualunque aveva un punto, mani e attrezzi. Oggi, c’è il foglio di carta pari alla carta vetrata, i responsabili delle risorse umane usciti da un romanzo di Orwell, assenza della polis, assenza di una classe dirigente, assenza di una rivoluzione, apocalittiche scene da pandemia. Viviamo tra assenze e crisi.

Voglio fare un esempio concreto. Quello di un piccolo imprenditore/commerciante. Settimane fa, in un tragico sfogo sulla crisi economica e la possibilità di fallimento della sua realtà, mi disse candidamente “Lo Stato non ci tutela. A questo punto sai che ti dico? Che potrei fare come altri, mi metto in mano a quelli là, che almeno ti fanno andare avanti”. Non c’è bisogno di specificare, in terra campana, cosa significhi “quelli là”. L’orrore è che non rimasi sconcertato, indignato sì, ma non sorpreso. La realtà è che siamo ormai così tanto presi dai nostri singoli problemi e ragionamenti a compartimenti stagni, che abbiamo dimenticato di guardare al panorama, alla visione totale, al senso di risoluzione comunitaria, al complesso di cose, fatti, accadimenti legati in un unico mosaico. Draghi, Biden, Macron e gli altri leader e capi di Stato (appunto), cosa e chi rappresentano? Quali sono i meccanismi preordinati da decenni per cui “bisogna fare quel che bisogna fare”? Alla fine ci si renderà conto che non è necessario gridare scioccamente al complotto e ai massimi sistemi.

Qualora ci fossero, questi sarebbero fatti di donne e uomini, carne che respira e muore come noi. Quando votiamo dovremmo chiederci sempre: “Chi dirige la nave?” e “Sto votando un capitano o un padrone? Un simbolo, un ideale o un nome?”. Si dirà: “Basta fare il proprio dovere, ognuno la propria parte”. Ma qual è questo dovere? La parte, di chi? Siamo sicuri non si stia concimando, tutti, il proprio orticello, e basta qualche rosa tra le ortiche? Che tutti, come in una sorta di folle psicoterapia sociale, preferiamo dirci belle parole per acquietare gli animi, ma al contempo lo sappiamo bene, sappiamo che non abbiamo scelta, che gli scheletri ticchettano i denti nell’armadio, cerchiamo una disperata salvezza in qualcosa, ma resta in noi un cuore di schiavo?

Siamo quel piccolo godurioso compiacimento inventato da un lieve brillio alcolico da spritz. Niente contro gli spritzatori, ma è deludente vedere un popolo che ha rinunciato a essere popolo e rischia di diventare una massa di dominati. Ha rinunciato a essere davvero felice, pieno, sicuro, con la presenza nell’oggi e nel domani, senza strane dimenticanze del passato. A bilancio, dunque, si augura a tutti gli italiani un buon governo, qualsiasi esso sia.

Immagine di copertina: Eugène Delacroix, La libertà che guida il popolo

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