Scrittori da pandemia

Ai tempi di coronavirus, una volta esauriti lievito e aperitivi virtuali, molti saranno presi dalla smania di scrivere il proprio personale racconto della pandemia. Il risultato tuttavia sarà, nove volte su dieci, frutto di una richiesta d’attenzioni in andropausa, oppure il pretesto per raccontare un’altra insipida storia d’amore adolescenziale. In ogni caso, si tratterà di prodotti di cui non avevano bisogno né l’editoria né i parenti degli aspiranti scrittori, già flagellati dal peggiore sconvolgimento della modernità dopo la seconda guerra mondiale.
Quindi, per evitare il proliferare di stroncature murgiane, ecco gli elementi da tenere a bada nelle vostre narrazioni per evitare di scrivere un romanzo trash:

Descrizioni

Lo so, ti annoiano. Il Signore degli anelli ti piace, ma tutte quelle lunghe e puntuali descrizioni di foreste, battaglie e festeggiamenti ti risultano un po’ indigeste. Che fare? Prendi un Maalox. Non importa se ti piacciono o no, le descrizioni servono per portare il lettore nel mondo che tu hai creato, e per dargli vita. Non basta solo dire che nella stanza in cui entra il protagonista ci sono un sofà e una finestra. Vedi il resoconto della colazione di Bloom nell’Ulisse: in poche pagine, tra un rognone e un piatto di fegatini, sei trasportato all’interno della civiltà dublinese di Joyce, e non ne uscirai per tutto il tempo in cui sarai con la testa sul libro. La descrizione è anche un modo per mostrare qualcosa al lettore senza dirlo. L’ambiente dove vive il protagonista, il modo in cui tratta gli oggetti e si confronta con lo spazio circostante dice molto di più di qualche laconico “era preoccupato” o “era sempre stato un tipo permaloso”. Per questo è importante conoscere bene ciò che si sta descrivendo.

Scrivi di ciò che conosci

Anche l’evento più surreale, se raccontato nel modo giusto, risulta credibile. Lo sa bene Kafka. Lo scrittore per eccellenza del realismo magico trasformò il suo protagonista più famoso in uno scarafaggio, ma questo non rende La Metamorfosi un libro trash, perché il tutto è calato in un ambiente perfettamente coerente con il progetto e le intenzioni dell’autore. Dostoevskij nelle pagine del processo ai fratelli Karamazov rende ogni parola di testimoni e imputati pienamente credibile agli occhi del lettore. La grande forza dello scrittore è proprio far percepire come autentiche deposizioni totalmente contrastanti. Quindi, se ti chiami Maria e vieni da Cinisello Balsamo non raccontare la storia di Karen e Chad nell’Indiana, a meno che tu non abbia una reale conoscenza di quel mondo. O, almeno, assicurati di avere una conoscenza indiretta ma almeno ben documentata.

Corollario. Non bastano un corsetto e un portacipria per rendere credibile l’ambientazione settecentesca: ambientare una storia in un’epoca diversa da quella contemporanea all’autore presuppone uno studio approfondito.  L’epoca deve essere tangibile, oltre che attraverso vestiti o acconciature, principalmente nello spirito dei protagonisti. Ad esempio, un uomo vissuto nel Medioevo europeo si confronterà continuamente con l’idea di dio: che lo odi o ne sia seguace non potrà prescindere dal rapporto con questa entità. Dare ai personaggi valori non coerenti con l’ambientazione storica scelta darebbe al tutto un retrogusto di falsità. Dante, alla fine del V Canto infernale, arriva addirittura a svenire quando apprende che un testo della letteratura cavalleresca, da lui un tempo tanto apprezzata, è stato il “Galeotto” che ha innescato la relazione adulterina tra Paolo e Francesca. Ciò che sconvolge Dante è il definitivo allontanamento dei due cognati dall’amorevole sguardo di dio. Quello che l’autore ha usato come espediente narrativo per saltare da un cerchio all’altro dice sui valori chiave del suo tempo più di quanto egli stesso non creda.
Questo corollario vale anche per storie ambientate a pochi anni di distanza da quello in cui l’autore scrive. Un protagonista che vive proiettato più avanti nel tempo rispetto ai suoi contemporanei, anche se di poco, ne paga sempre le conseguenze. L’esempio più lampante al tempo della Ferrante fever è quello di Lila Cerullo. Lila nel corso della narrazione viene spesso bollata come “strega” o “cattiva” da nemici e alleati, questo perché la sua genialità si manifesta principalmente nella capacità di vedere più avanti rispetto agli altri, di saper afferrare i mutamenti del tempo e farli propri. Una preveggenza che impaurisce ed è continuamente frustrata dagli abitanti del rione. Anche se l’estetica di Lila varia in maniera coerente con l’ambiente circostante, il suo modo di vivere è totalmente in disaccordo con esso, causando quello stridore che contraddistingue il personaggio, e che, mal sopportato da chi viene in contatto con lei, le causa quel senso di profondo disagio noto come “smarginatura”.

Punti esclamativi

L’abbondanza di punti esclamativi, interrogativi e sospensivi è il tratto distintivo di ogni libro trash che si rispetti. Il sesto punto esclamativo all’interno di uno stesso paragrafo avrà l’effetto di una camicia troppo stretta su di un uomo eccessivamente palestrato: volgare e non necessario. L’eccesso di segni d’interpunzione rientra in generale nel più ampio ambito degli elementi superflui.

Elementi superflui

Se nel primo atto c’è una pistola, questa deve sparare entro la fine del terzo. La legge di Čechov insegna che ogni elemento del dramma deve avere un ruolo ascendente: ridurre a mero complemento d’arredo i fattori di tensione svela l’incapacità dell’autore di riuscire a gestire il crescendo drammatico. Oltre all’incapacità ci sono due motivi che portano all’abbondanza di situazioni inutili alla narrazione: coprire una scarsa vitalità dei personaggi e appagare un autore eccessivamente ego-riferito., cioè un autore che preferisce sottoporre al lettore elementi utili a conoscere le sue opinioni, a scapito della psicologia dei protagonisti.

Economicità della narrazione

Quando necessario, togli il superfluo. Se Manzoni avesse lasciato interamente il resoconto della vita e della relazione tra Gertrude ed Egidio probabilmente la Monaca di Monza sarebbe priva della forza espressiva che la rende uno dei personaggi più iconici della letteratura italiana. Con quel “E la sventurata rispose” al posto di decine di pagine ben più esplicite, Manzoni avrebbe privato la monaca dell’allure che la contraddistingue. Inoltre, con quattro esplicative parole ha risparmiato decine di pagine creando una storia nella storia.

Di getto sì, ma non troppo

La leggenda della spontaneità del genio e del lavoro artistico è, appunto, solo una leggenda. Anche se una storia può essere scritta e pensata in un lasso di tempo molto breve la resa del prodotto finale è spesso lunga e tortuosa, fatta di cancellature e ripensamenti anche importanti. Lo sa bene Martin Eden, marinaio e scrittore che ha in sé il germe spontaneo del talento ma che per farlo germogliare si sottopone a una dura disciplina.

Se arrivato a questo punto ti sei reso conto di non conoscere la metà delle opere, degli autori e dei personaggi citati, allora posa il portatile, o più romanticamente la penna, e posticipa il tuo racconto sul Covid19. Se poi vorrai ancora parlare della pandemia avrai davvero qualcosa di interessante da dire. “Gli alberi ti ringrazieranno”, cit.

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