Venezia 76, giorno 6: “Martin Eden” di Pietro Marcello tra individualismo e Storia

Martin Eden, quinto lungometraggio di Pietro Marcello, è il secondo dei tre film italiani presenti in Concorso qui a Venezia ed è stato presentato questa mattina alla stampa con buona accoglienza (il film è in arrivo nelle sale italiane dove verrà distribuito a partire dal 4 settembre). Marcello, coadiuvato in sede di sceneggiatura dal sempre bravo Maurizio Braucci, adatta molto liberamente il famoso romanzo pubblicato da Jack London nel 1909, trasportando la vicenda dalla California di Oakland alla Napoli popolare degli anni che precedono lo scoppio della prima guerra mondiale.

Nella riscrittura per il cinema a opera di Marcello e Braucci, Martin Eden diventa la storia di un marinaio napoletano di umili origini che s’innamora, ricambiato, della ricca e istruita Elena Orsini, incontrata dopo avere soccorso il fratello di lei, vittima di un’aggressione. Martin vorrebbe elevarsi al rango della ragazza, e spera di riuscire a scalare i gradini della scala sociale attraverso la letteratura. Comincia, quindi, a studiare da autodidatta appassionandosi alle poesie di Charles Baudelaire e alle teorie del filosofo liberale Herbert Spencer che lo portano a interrogarsi su temi come individualismo e libertà, socialismo e darwinismo sociale, fino all’incontro con l’anziano intellettuale Russ Brissenden che lo avvicinerà al socialismo. Nel ruolo di Brissenden troviamo Carlo Cecchi, interprete di un ruolo che sembra portare addosso lo stigma del Renato Caccioppoli di Morte di un matematico napoletano di Mario Martone.

Povertà e ricchezza, borghesia e popolo, individualismo e collettività, istruzione e ignoranza, socialismo e liberalismo. E’ un film di grandi dicotomie Martin Eden, attraversato da idee, concetti e visioni del mondo che confliggono in un’epoca attraversata da profondi e radicali mutamenti, risultato delle varie teorie politiche elaborate nel XIX secolo. Ed è dunque anche un’opera estremamente ambiziosa dove la Storia fa da sfondo ai temi morali e sociali che costituiscono l’ossatura del romanzo di partenza. Martin è un parvenu, l’individuo responsabile unico del proprio successo in un momento storico in cui l’istruzione diventa strumento di ascesa sociale ma può anche finire per incarnare l’immagine dell’artista sopraffatto dalla solitudine e dilaniato dal tormento esistenziale, anticipatore della perdita di sé raccontata in tanta letteratura novecentesca.

Marcello si muove con buona scioltezza nell’orizzonte ampio messo in campo dalla narrazione e, nella ricostruzione storica, preferisce farsi aiutare da numerose immagini d’archivio (molte delle quali davvero splendide) nelle quali, oltre a personaggi come l’anarchico Errico Malatesta, vediamo scorrere volti e luoghi direttamente collegati con la realtà popolare. In questo senso, Martin Eden è un’opera che ambisce a porsi come grande affresco storico-sociale sebbene, da questo punto di vista, alle intenzioni non sempre fanno seguito i risultati. Martin Eden si pone come eroe e cantore di un individualismo che, pur aprendosi verso il prossimo, non crede alla possibilità di una rivolta sociale e a un rovesciamento del sistema preferendo aderire filosoficamente all’idea di una “legge naturale” che sovrasta la “legge morale” che, a suo avviso, invano ambisce a sostituirvisi.

Ed è proprio in questa contrapposizione tra l’individualismo sociale di Martin, impregnato di venature anarchiche, e quello egoistico del liberalismo il centro e il maggiore punto di forza del film di Marcello, che invece funziona un po’ meno dal punto di vista della struttura narrativa e del rapporto del protagonista con gli altri personaggi. Infatti, se molto riuscita appare l’immersione nella realtà popolare (ad esempio, nella bellissima descrizione del rapporto del futuro scrittore con la vedova Maria, interpretata da un’ottima Carmen Pommella), non priva di stridori appare la descrizione del rapporto tra Eden e la famiglia Orsini, in cui l’ostilità dei coniugi Orsini verso il ragazzo non trova sempre una caratterizzazione efficace e risolta. Allo stesso modo, gli sviluppi finali dell’esistenza dello scrittore ormai affermato ci vengono presentati al termine di alcune brusche ellissi dando l’impressione di una certa frettolosità e di un montaggio che aveva forse bisogno di qualche ulteriore limatura.

Per quanto concerne, infine, l’interpretazione di Luca Marinelli, l’attore romano offre una performance che spazia tra vari registri che lo fanno somigliare, nella prima parte, a un Massimo Troisi più intraprendente, per concludersi poi in un istrionismo à la Sergio Castellitto che, in qualche momento, gli fanno rischiare qualche scivolamento nell’overacting: insomma, una prova coraggiosa ed energica che, pur con qualche sbavatura, confermano l’attore romano come uno dei talenti migliori della sua generazione. Difficile dire se Martin Eden abbia qualche possibilità di ottenere il Leone d’oro: certo è il fatto che, pur con qualche limite, resta un’opera affascinante e appassionata che potrebbe costituire il veicolo per la definitiva consacrazione presso il grande pubblico di un autore prezioso e raffinato.

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