Eros e Pathos 6, amore e tremore

[Le puntate precedenti si possono leggere cliccando qui]

di Eliana Petrizzi

Quando un percorso si chiude ha poco senso guardarsi indietro. Anche con qualcuno accanto, il cammino in fondo si fa sempre da soli, in se stessi attraverso l’altro. Ripensando con attenzione agli inizi della via, non sarà difficile ricordare che le indicazioni sbagliate erano esatte da principio. Ma noi, sempre abili a confondere la luna col lampione, abbiamo voluto proseguire, sbagliando sempre meglio. Dopo ogni fallimento, viene facile parlare male del nostro o della nostra ex. Ma quando sparliamo di chi un tempo abbiamo amato, non parliamo male che di noi. Chi ci mettiamo accanto è la vera cartina di tornasole per capire chi siamo veramente, non ciò che crediamo di essere. È successa la stessa cosa a me con le mie scelte. Ho quasi sempre chiuso le mie relazioni sentimentali per sopraggiunti limiti di inadeguatezza dei miei partner e, visto in seguito con quale genere di persone si sono poi quasi tutti risistemati, non ho potuto che confermare la mia idea, consolandomi se non altro di averli colti in un momento di vivacità e di floridezza, prima del grande sbadiglio in cui sono precipitati. Stando insieme, paragonavo me stessa a una grande viaggiatrice, e quegli uomini a continenti piene di cose da visitare. Ma vedendo in seguito com’è andata a finire, ho capito di essere una turista della domenica in gita all’Italia in miniatura.

Certo sfogarsi aiuta a liberare tossine. Ma abbiamo scelto noi quella persona, e se siamo andati a piantare banani nella tundra, dobbiamo riconoscere di essere gli unici responsabili. Avremmo dovuto chiederci cosa ci è accaduto in un tempo antico, quando si è formata per la prima volta e per sempre la nostra idea dell’amore. Avremmo fatto bene a incolpare noi stessi della pigrizia con cui abbiamo scelto persone con cui fosse facile primeggiare, o comodo essere sottomessi. Nostra è la colpa di transfert, fantasie fusionali e desideri inappagabili, per realizzare i quali abbiamo utilizzato l’altro a mo’ di schermo. Allo stesso modo, specie se si è stati traditi, non ha alcun senso pensare di tenere legato a noi il traditore con sensi di colpa, ingiurie, recriminazioni, rinfacci, o peggio ancora con le nostre patetiche perdite di decoro e dignità. Bisognava svegliarsi prima. Soprattutto, bisognava prestare più attenzione a cosa significa veramente fare l’amore. Penso spesso a questa espressione, riferita all’atto con cui il mistero di amarsi prende corpo e si fa carne unita. Si pensa sempre poco, però, al fatto che fare l’amore vuol dire soprattutto operare una costruzione che consenta alla natura volubile del sentimento, se non di durare in eterno, almeno di stare in piedi a lungo.

Sì, l’amore chiede azioni concrete, sacrificio, scelte, pazienza, volontà e grazia. E questo piace a pochi perché l’amore, a quote medie, è fatto soprattutto di confini territoriali e di piccole amputazioni. Le incomprensioni richiedono rammendi dispendiosi, l’orgoglio non dimentica. Di fatto, l’amore fa con le coppie un po’ come il sole con baie e calette in vacanza. A favore di luce la sabbia è bianca, l’acqua è turchese e ogni immagine sembra perfetta per una cartolina. Ma appena l’ora cambia, la sabbia è grigia, e grigia è pure l’acqua, ai Tropici come al lido dietro casa. È solo l’amore in fondo che si ama; poi si va a cercare qualcuno in cui riporlo, e talvolta lo si incontra calzante a pennello. Altre volte, invece, la nostra collezione è ricca solo di abbagli. Finite infatuazioni e passioni giovanili, amare è fatica di ogni giorno, è portare pesi fermandosi sempre un passo prima del precipizio. A ogni incomprensione reciproca, dissipiamo giorni interi a dare di noi solo la faccia brutta e le mani spente. Io donna e tu uomo siamo razze diverse dentro la stessa specie, e il più delle volte non ci capiamo.

La mia vita e la tua sono fatte di sensibilità differenti e di strade già battute. Poi ci siamo incontrati, scegliendoci tra molti altri. Esisto io ed esisti tu, ma esiste pure il noi, che deve arricchirci oltre l’uno che anche insieme ciascuno continua a essere. Per stare insieme, a volte persino l’amore non basta. Ci vogliono piuttosto intelligenza e umanità, rispetto e delicatezza, distanza e delicatezza. Per amare, bisogna anche avere imparato a stare bene da soli. Molti confondono la mano con il guanto, facendosi una fredda compagnia nel cratere della vita. Ci si accontenta così di amori sgangherati e di sterili alleanze. Per debolezza e per speranza, avete creduto normale lo squallore cui l’abitudine vi aveva costretti. Guardandovi allo specchio, avete notato una pelle stanca intorno agli occhi. Sono gli anni? No: è la distrazione di chi vi è stato accanto a farvi vecchi prima del tempo. Proviamo sempre dispiacere e rabbia per quei partner che, per ragioni antiche, passano la vita in una bolla di gelo. Se colpiti non sanguinano, se uccidono non vedono il cadavere. Sono quelli che negli incubi ti camminano davanti, dandoti le spalle. Stai annegando o qualcuno vuole ucciderti e tu chiami proprio loro, pregandoli di voltarsi e di tornare indietro. Ma non si voltano, sordi e lievi come i morti. Si crede di aiutarli con la pazienza e la dolcezza, questi compagni infelicitanti. Ma bisogna pure arrendersi al fatto che la loro natura vince sul bene a cui è indifferente, e sull’amore a cui non è vocata. Noi restiamo a guardarli, mentre se ne vanno altrove come viaggiatori smarriti, chiedendosi se esiste veramente un posto dove andare, se è proprio quello il luogo in cui vogliono stare o da cui vogliono partire; se le cose fatte e le persone amate sono parte della vita, e non un tremore d’aria che si leva lontano da strade vuote.

@RIPRODUZIONE RISERVATA – Ne è consentita esclusivamente una riproduzione parziale con citazione della fonte, Milena Edizioni o www.rivistamilena.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!