Di altri inferni – L’Abisso di fuoco dalla fantascienza al weird (terza parte)

Per la terza parte conclusiva di questa piccola rassegna dedicata al drammatico scenario infernale (per chi se le fosse perse, questa è la prima parte e questa la seconda), si parlerà di un corposo romanzo di un autore italiano, il torinese Daniele Nadir Calafiore. L’intarsio di storie che compone Lo stagno di fuoco (Sperling & Kupfer 2005) è in qualche misura la summa delle narrazioni che l’hanno preceduta incarnandone vari aspetti, mitici, tradizionali, avventurosi, etici in un amalgama originale, la cui trama nel solco del weird più eclettico unisce la formazione storica dell’autore, insieme all’interesse verso ogni aspetto singolare e insolito della cultura e dell’esistenza.

Le linee generali del libro si possono sintetizzare sommariamente in questa sequenza: Il Giorno del Giudizio scinde la popolazione terrestre assegnandola al proprio domicilio eterno. Tra i chiamati al Paradiso e i reclusi all’Inferno, rimane un gruppo di dimenticate figure senza collocazione, ai quali si accompagnano quattro enigmatici angeli nella Sacra di San Michele a Torino. La loro missione li porterà nel luogo più oscuro in cui mai uomo abbia messo piede. Nelle sue estreme profondità, tutti gli enigmi troveranno risposte sorprendenti o dolorose, in un viaggio guidato da uno scout molto speciale, Giuda Iscariota.

Cominciare un romanzo partendo da un gran finale – in questo caso una fine cosmica, la Fine del Mondo – denota una buona dose di fegato da parte dell’autore rasentante l’incoscienza. Giocarsi l’apertura con i fuochi d’artificio più squillanti, infatti, crea grandi attenzione e aspettative nei lettori, ma presuppone anche che scollinare le successive 700 pagine possa diventare un impresa davvero impegnativa. E lo è, come dimostra la quantità di sfondi, personaggi che compongono i tasselli di un’opera dal respiro epico, ma non per questo priva di ironia, in linea alle scelte editoriali della rivista “Strane Storie”, il magazine letterario co-fondato dallo stesso Nadir insieme agli scrittori Flavio Troisi e Federico D’Agata.

Tornando alla nostra storia, tutto comincia con un definitivo “The End” che chiude il consorzio umano in un colpo secco tramite applicazione di Apocalisse.
“Apocalisse”, dal greco apocàlypsis, “rivelazione”.

Come avviene? Ignorando qualunque anticipazione dei profeti, la scelta dell’Altissimo cade misteriosa e imprevista in un qualunque 27 giugno del 2016.
Lui esiste. Innegabilmente. E di questa presenza l’Umanità avrà piena certezza solo qualche momento prima di sbaraccare dal pianeta.
La Voce Divina si effonde ovunque per chiamare i mortali all’appello e la gente perde ogni ritegno, come raccontano i siparietti grotteschi de Il giudizio universale, il film di Vittorio De Sica del ’61.

Il Giudizio dunque si compie, con tanto di angeli, dannati inghiottiti da baratri oscuri e beati che si stemperano in luce purissima.
Chi c’è, c’è.
La Terra rimane lo scenario desolato di una resa dei conti. Fine della Storia, quella con la “S” maiuscola.
Ma nel grande nulla che dovrebbe dominare il campo, qualcosa sembra essere sfuggito alla divina contabilità. Alcuni individui vivi e/o resuscitati e alcuni angeli, si ritrovano insieme dimenticati, soli, allo sbaraglio in un mondo che ha perso ogni senso esistenziale.
L’unico argomento che può dare una ragion d’essere alle loro vite ha un carattere molto personale e si trova in basso, in un luogo denso e asfittico, stratificato da incubi e animato da secoli di peccati e di colpe. Una dimensione discontinua che obbedisce comunque a leggi fisiche e metaforiche. L’Inferno.

“Lo stagno di fuoco” si presenta tramite lo schema tradizionale della quest per sviluppare una straordinaria avventura, un romanzo storico, un calderone ribollente di idee e racconti, un viaggio nelle pulsioni del profondo, spesso anche un delirio, un percorso salvifico, ed altro ancora.

Daniele Nadir indossando i panni dello sciamano, tuffa il lettore nel luogo che per eccellenza è il terminal di ogni rimozione dell’inconscio. Un mondo al tempo stesso assurdo e coerente, affine più all’aldilà di Neal Gaiman che a quello di Dante, dove gli spazi si intersecano ed espandono in un continuo gioco di specchi.
Tramite le gesta di personaggi reali e possibili immerge il lettore in una spedizione nell’angoscia riportandolo fuori dopo uno spiazzante “tana salva tutti”.
Con sorpresa, con dolore. Con continuo senso di meraviglia.
Perché – inutile fingere – l’Inferno è maledettamente affascinante. Lo sa Joseph Gould, il vecchio, redivivo scrittore-barbone, già autore in vita della monumentale “Storia orale”, ora impegnato a stendere una cronaca infernale che – come lui stesso afferma, “è una storia di moltitudini”. Lo scoprirà il giovane Kelly, avventore del locale Juda’s, suo malgrado testimone del racconto epico di questa missione. Lo mostrerà l’Iscariota, la guida d’eccezione che riottosamente conduce uomini e angeli attraverso lo Stagno, durante la rivolta dei dannati.

Nello “Stagno di fuoco” trovano posto avventurose resurrezioni alla Farmer, omaggi a Kurt Vonnegut, Dario Fo e Franca Rame, rimandi al fumetto popolare (quel “Mister Fisk” forse nonno dell’onnipotente Kingpin di Daredevil), la rivisitazione di miti ed escatologie che si incastrano in una trama tanto vasta quanto logica e consequenziale. Il tutto impreziosito dai disegni e dai capoversi di Mattia Ottolini, artista di “ingegno rinascimentale” che meriterebbe da solo una recensione a parte. Grazie al suo apporto questo libro diventa una encyclopédie immaginaria di gesta, geografie infernali e complesse macchine dalla linea chiara e grottesca. Un impossibile incontro in cui Gustave Dorè e Kolo Moser, vanno a scuola di ironia da Elzie C. Segar (il papà di Popey).

Bizzarro? Per niente.
Come afferma l’oste del Juda’s nel capitolo XV: è la storia, l’importante. Che sia bella, Kelly, non che sia vera.

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