Di altri inferni – L’Abisso di fuoco dalla fantascienza al weird – Prima parte

“la nostra nozione di base nel comune concetto dell’inferno include la profondità, qualcosa di inferiore, di intrinseco, appartenente allo sfondo, qualche cosa di essenziale e di radicalmente uno, così che possiamo supporre che quando pensiamo all’uomo che entra all’inferno, lo pensiamo nell’atto di stabilire un contatto con il più intrinseco, unificato, definitivo e profondo livello della realtà del mondo.”
Karl Rahner – Theology of Death – 1965

 

L’insondabile mistero della morte e il tentativo di comprenderla segnano l’esistenza dell’uomo, che cerca di protendersi oltre le sue soglie tramite le congetture e le illuminazioni della scienza e dalla religione. La necessità di ricucire lo strappo della dipartita ha dato forma a una simbologia ritrovabile in culture ed epoche diverse, laddove la pratica del seppellimento offre la materia prima per costruire una comune rappresentazione dell’Aldilà. Il “regno dei morti” si presenta dunque come un topos universale e una sorta di prosecuzione del mondo vivente, del quale può imitare la struttura sociale o meno (vedi i vari regni ctonii o i Naraka buddisti), ma presentando comunque un identico posizionamento geografico, il basso.

Quando non sia concepito come alloggio immateriale, privo di una sede e di una configurazione definite, nella concezione mitica e religiosa degli antichi l’Aldilà non è scindibile dall’ultima destinazione del corpo, di cui prosegue il tragitto nel profondo e nell’oscurità. La relazione con la terra e le sue cavità è alla base di numerose religioni pre-cristiane, dando luogo da un capo all’altro del mondo alla creazione di apparati metafisici come lo She’ol ebraico, o il Mictlàn degli Atzechi, o ancora l’Averno dei Greci e dei Romani, in questo caso, un’area considerata abbastanza tangibile da confinare anche fisicamente con il nostro mondo.

Questi contenitori di ombre operano un livellamento delle personalità dei propri ospiti ridotti a pallide tracce di quelle originarie, sottoponendole comunque all’esame delle azioni compiute in vita. Verrebbe a bilanciarsi così uno dei bisogni umani più inappagati, cioè il desiderio di giustizia vanificato dalle contraddizioni e dai limiti del mondo terreno. Esempio chiarissimo ne è la “pesatura delle anime” degli antichi egizi, processo attraverso cui le il dio Thot e altre divinità misurano il Ka (anima) del defunto per valutarne le luci e ombre e decidere la sua sorte post-mortem.

Il modello oltremondano del Cristianesimo è tripartito in un complesso che oppone la spiritualità del Paradiso (simboleggiato nell’antichità da cieli, isole dei beati, giardini), il polo di passaggio del Purgatorio, e l’Inferno, luogo di detenzione e punizione nonché indispensabile leva di contrasto della sua controparte celeste.
I tratti infernali costituiti con un set di elementi altamente drammatici e persuasivi, sono la stratificazione sincretica di motivi attinti da culture diverse. L’antica valle della gȇ-Hinnom, area a sud di Gerusalemme tristemente nota come teatro degli infanticidi sacrificali dei Canaaniti e poi divenuta “terra dei fuochi” per i suoi immensi roghi di rifiuti, è la radice del mito ebraico della Gehenna, i cui dannati sono avvolti dalle fiamme perpetue. L’immagine convenzionale delle schiere diaboliche, ibridi dalle corna caprine e i tratti animali proviene dall’iconografia degli Etruschi, mentre l’affermarsi delle religioni monoteiste riplasma le obsolete divinità pagane (come ad esempio Ba’-al-Zebul) nelle nuove vesti di demoni, le cui fila verranno censite e organizzate dai trattati dei teologi medioevali in fantasiosi ordinamenti.
Nel corso dei secoli, l’Inferno si presterà a ergere cattedrali interpretative sempre più ardite, così da definirne l’organizzazione interna, le gerarchie, gli ambienti, fino a mapparne anche gli spazi con minuziose ricostruzioni cartografiche, come quelle sottese alla rappresentazione dantesca della Divina Commedia.

Con la sua forte carica di suggestioni e orrori infiniti l’Inferno è dunque anche un luogo letterario cresciuto nel racconto mitico, dal cui àmbito tracima in varie forme al mainstream e la narrativa di genere. Il viaggio di un vivente nel mondo dei morti è un tema che ricorre nelle epopee dell’antichità, dove pratiche rituali rendono visionario il viaggiatore mettendolo a confronto con il passato. L’incontro che produce catarsi e un processo evolutivo (vedi Enea nei Campi Elisi), in altri casi stigmatizza lo sconfinamento, sovversivo dell’ordine naturale e quindi destinato a fallire, come racconta il mito di Orfeo ed Euridice.

Nella letteratura a cavallo tra Ottocento e Novecento la descrizione dell’Inferno si sposta su un piano del tutto figurato, intendendolo come metafora della condizione umana di cui riflette le debolezze e la caducità.

Per grandi linee, lo ritrova nell’Ulisse di Joyce, che lo assimila agli aspetti più laidi e miserabili del io profondo, in Dostoevskij e Georges Bernanos Inferno è assenza e aridità di sentimenti. Il vuoto esistenziale e la mancanza di senso della realtà permeano l’opera di Sartre, Camus, Beckett e Ionesco, in Dürrenmatt è una proiezione autodistruttiva, mentre nel il nichilismo esasperato di Emil Cioran gli inferi sono assimilati al nulla che prevale sul mondo materiale.

Ma se spogliato del proprio folklore sulfureo nella lettura della modernità l’Inferno si smussa con la perdita di ogni esteriorità, nell’ambito del fantastico ritroviamo l’esasperazione dei suoi aspetti più pittoreschi originali, dando linfa a generi che fondano sulle idee, il senso del meraviglioso e la speculazione intellettuale il proprio specifico.

Nella seconda parte di questo pezzo, avremo modo in seguito di cogliere i differenti aspetti di questo processo, partendo dalla fantascienza sanguigna e immaginifica di Philip Josè Farmer, per passare ai coraggiosi lavori degli italiani Daniele Nadir e Luca Zaffini e costeggiare anche le incursioni nel cinema e nel fumetto.

In ogni circostanza gli accenti, le prospettive e la modalità narrativa cambiano, tranne un solo avviso che è la costante di ogni viaggio nelle profondità: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate”.

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