La casa (chiusa) ai confini del mondo

Per una diabolica simmetria, libri ricchissimi come La casa delle conchiglie regalano al recensore ore di lettura colta e avvincente ma anche altrettanti grattacapi dovuti proprio alla generosità dei contenuti. Questo sontuoso affresco d’epoca ramifica da ogni parte con mille derive che vanificano la speranza di riportarne un’analisi completa o sufficientemente compendiaria. Qualunque aspetto si voglia trattare per primo, ce n’è un’altro che reclama la precedenza. Dunque, da dove affrontare il magmatico flusso narrativo del romanzo targato Hypnos edizioni, aderente al reale, ma aperto su dimensioni fantastiche, fitto di citazioni esoteriche e sbeffeggiato da un vena satirica che mette alla berlina qualunque dogmatismo?

La storia che ci racconta Ivo Torello, eclettico artista dai molti talenti, è uno spaccato di vita che precede il fin de siècle, ricostruito in un affresco corale dominato dalla figura volitiva di Dauphine Sabatière, la tenutaria della casa di tolleranza che fa sposare Lovecraft, Hogdson e il marchese De Sade in una fusione apparentemente impossibile. L’operazione di Torello, per quanto spregiudicata, si rivela coerente e credibile sia nel suo taglio da romanzo storico popolato di figure reali (vedi il pittore Courbet e l’astronomo Flammarion o i fratelli Goncourt), sia nell’abile incastro di personaggi d’invenzione, bizzarri, spesso grotteschi, quasi sempre preda delle proprie ossessioni personali che inseguono nel tumultuoso scenario della Francia imperiale.

Inaspettato e creativo quanto l’incontro di un ombrello e una macchina da cucire su di un tavolo operatorio, il racconto ci accompagna nella quotidianità della Maison con la voce di un Emile Zola deragliato da dosi massicce di erotismo e magia. Una scelta resa possibile dall’innesto di tematiche tipicamente weird in un contesto che avrebbe fatto rabbrividire Lovecraft molto più di un vis-à-vis con Cthulhu in persona.

Le massicce dosi di erotismo esplicito e liberatorio, l’ironia sottesa alla narrazione, la tensione che serpeggia nascondendosi tra le ombre, sono gli ingredienti di un’epopea in bilico fra due mondi in cui vedremo la celebre Maison d’appuntamenti diventare la roccaforte di uno scontro eterico giocato a suon di cerimoniali magici e copule altrettanto mirabolanti. Proprio con le scelte inconsuete della location e della particolare professione della protagonista, Torello ha modo di affondare colpi serrati contro l’ipocrisia borghese riesumata dai bavagli del politically correct, oltre ai cimiteriali pessimismi cosmici di Ligotti, e alla mummificazione critica del già citato Lovecraft, il cui feticcio intoccabile qui viene ridimensionato a innocuo teatro di burattini.

Tra pittori in cerca d’ispirazione, esoteristi da strapazzo al servizio di fascistoidi dottrine guerresche, alchimisti oscillanti tra genio e follia, tra le mille citazioni letterarie, i pseudobiblia di Von Junzt o il Re in giallo di Chambers, spiccano i ritratti delle vere eroine della storia, le prostitute di Madame Dauphine.
Se si pensa alle sfortunate donne dei romanzi d’appendice, vittime di una società maschilista e classista, qui ci si trova a fare i conti con un archetipo nuovo, emancipato e coraggioso, che persino nelle torbide nebbie dell’occultismo (riportato in voga in Francia da Eliphas Lévi), trova un sostegno concreto per i propri obiettivi. Dopo un prologo di formazione degno di Fanny Hill, la Villa de la Chârtre, con i suoi lussuosi ambienti e il pavimento tempestato di conchiglie che dà il titolo al romanzo, è pronta per fare da arena agli scontri, più ideologici che magici, che sono la spina dorsale della storia. L’erotismo quindi è il collante dell’intera narrazione, esposto con una franchezza esplicita che non cade mai nell’autocompiacimento ma che mostra sempre una valenza “politica”, di appropriazione del corpo quale luogo di libertà, laboratorio evolutivo, finestra di comunicazione col mondo. Le prostitute che affollano le pagine, perciò, da vittime di un sistema che le riduce a meri oggetti di piacere, sono descritte invece come consapevoli amministratrici di sé e del proprio status, del quale hanno un controllo inimmaginabile agli occhi dei loro temporanei affittuari. Monadi sovrane come la carismatica proprietaria della casa, queste donne riescono sorprendentemente a mantenere la propria integrità anche nelle circostanze più svilenti, prestandosi a un gioco di ruolo in cui le pulsioni dei clienti sono assecondate senza sudditanza, in un contesto sociale dove la condizione femminile e le differenze di censo imporrebbero tutt’altre regole.

L’immaginazione di Ivo Torello ci accompagna in un viaggio affascinante, chiuso da una pudica dissolvenza sulla maturità della sua Dauphine, così da lasciarla rimanere splendida e invitta nella memoria del lettore, come la galleria di opere d’arte erotica che chiude il volume con una sequenza di soggetti all’insegna della seduzione. Nella nostra attualità fatta di paraocchi e fili spinati mentali, un invito a liberarsi dai panni grigi e soffocanti dell’omologazione.

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