Intervista a Narvalo, la band del ‘Fabbro scelto da Gesù’: “La nostra esperienza come fuga orientata”

Il Fabbro scelto da Gesù, autoprodotto nel 2017, è l’ultimo album di Narvalo, band napoletana formata da Alessio Ferraioli (guitar, vocais), Antonio “Giorgio” Frascogna (bass guitar) e Antonio Solombrino (drums). Quattro tracce a componimento di un concept che salpa dalle suggestioni letterarie affidate a una copertina che rievoca segni e figure antiche, desertiche, a tratti esotiche, e scompare verso un largo in cui un’aurora polare drappeggia un misterioso racconto con le sue gelide e profonde sonorità. Le dissonanze, i feedback e le distorsioni che caratterizzano parzialmente la musica di Narvalo disintegrano le sue melodie per aprire, come da stessa ammissione del collettivo, nuovi varchi a diverse possibilità armoniche. Un passepartout che annoda molte chiavi interpretative dentro un progetto musicale che pare seguire i linguaggi del noise, sia pur con qualche tentativo di rielaborazione delle sue convenzioni rock. Una rotta sottotraccia che immerge il Narvalo in una “sublinea” ancora più intimista, di cui la stessa band non nega l’ispirazione allo shoegaze. Un’oscillazione del tutto coerente alle “scale” previste dalla time line della sperimentazione. Tutti i brani che compongono Il Fabbro scelto da Gesù sono stati scritti, eseguiti, registrati e missati da Narvalo, con mastering avvenuto presso Vipchoyo Studios, Napoli. Ascoltando il brano di Narvalo, ne è nata una piccola conversazione.

Perché per il gruppo è stato scelto questo nome? Narvalo ha una ragione particolare?

All’inizio il nostro gruppo si chiamava TV Hitler. Avevamo inizialmente pensato a questo nome per citare l’abitudine di una persona, piuttosto stravagante, di nostra conoscenza che, per ragioni sconosciute, era solito scrivere spesso questa strana espressione. Dopo esserci presentati così, temendo le reazioni davanti a un nome che avrebbe potuto dare adito a fraintendimenti, abbiamo scelto questo nome, Narvalo, che è il titolo di uno dei nostri primi brani, tra quelli che ancora oggi sentiamo più nostri.

Fabbro scelto da Gesù. Il titolo del vostro ultimo album ha dei riferimenti precisi a una figura che nell’immaginario religioso e letterario è stato sempre ammantato di un certo mistero?

Quando scegliamo il titolo di un disco tendiamo un po’ a giocarci. I rumori metallici, gli strofinii, molte delle microsonorità presenti nelle tracce di questo album richiamano le azioni sul ferro e col ferro, sul legno e su ogni manipolazione che associ questi due antichi materiali. Oscillare tra significati precisi e richiami allusivi è un modo per uscire dai soliti cliché, affrontando qualcosa che sia più specifico, ma al tempo stesso estremizzato. Quasi come se la nomenclatura letteraria, associata a melodie diverse e nascoste, volesse suggerirne di nuove, tutte da scoprire. Noi stessi ci facciamo guidare e, al tempo stesso, cerchiamo di seguire lunghe fasi di sperimentazione durante le registrazioni. Tutto questo ha pure una funzione di contestazione, di opposizione ai linguaggi predefiniti.

Volendo “giocare”, si possono azzardare e tirare in ballo molti paragoni. Probabilmente fuori strada. Del resto i paragoni sono spesso fastidiosi. Ma se si provasse a citare nomi come Mogwai, Sigur rós, Squarepusher, Jónsi, sarebbero tutti così lontani dalla vostra sperimentazione?

Non così lontani. Affatto. Narvalo guarda anche ad alcuni dei musicisti e delle band citati. Nel Fabbro scelto da Gesù ci sono elementi ispirati alla musica shoegaze, in particolare al gruppo giapponese Boris. Il nostro album segue le regole di un concept orchestrale in forma noise. Un crescendo di esplosioni e ritorni al luogo interiore. In questo album si fondono le sperimentazioni dei generi citati e i registri classicheggianti.

Come preparate il vostro lavoro? A cosa si ispira la vostra sperimentazione?

Principalmente lo studio. Siamo suggestionati dal suono. La prova stessa ci suggerisce strade che ci sembrano più convincenti.

Il narvalo è un animale che a lungo è riuscito a sfuggire alla caccia perché abitava luoghi inaccessibili. Voi a cosa sfuggite?

La nostra esperienza, per certi versi, è una fuga. Dalle tendenze, dalle imposizioni commerciali. Al tempo stesso, però, è anche la possibilità di riconoscersi, di comprendere l’identità del gruppo. Una “fuga” funzionale, orientata. Forse una maniera di arrivare alle cose, invece di sfuggirne.

E la vostra “fuga” è dovuta a qualcosa di cui avete paura?

Solo dal rischio di essere contaminati. Di non cadere in trappole tese da percorsi che non sono i nostri. Anche se in fondo esiste una forma di contaminazione alla quale non possiamo sottrarci. Quella stessa ricerca dell’identità, che si rivela inevitabile, esercita su Narvalo delle azioni alle quali dare ascolto.

Oggi chi è il Fabbro di Gesù?

Sarebbe preferibile porla in un altro modo. Credo che ognuno abbia il suo fabbro. Le scelte di massa, per esempio. Quelle che vengono fatte senza comprenderne fino in fondo le conseguenze, quelle decisioni prese senza coscienza. Queste potrebbero essere parte consistente del fabbro di Gesù che ognuno si porta dentro.

Non è possibile guardare alla musica con le misure assolute della sua definizione. Anche l’idea più precisa, soprattutto nella sperimentazione, richiama qualcosa di cui non è stato possibile tenere conto. Pure il principio conosce i suoi impedimenti, in una vastità di generi che rischiano più di avere vita breve che lunga. Narvalo, forse, porta se stesso in giro per i suoi abissi, sapendo che pure dove può arrivare soltanto lui possono dimorare altre creature. Più che la sua collocazione, della sperimentazione conta soprattutto la sua autenticità. Chissà che a Narvalo non stia a cuore proprio questo.

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