Torino 35, Brian De Palma e James Franco ovvero il cinema come replicante

Risultati immagini per de palmaPur non tralasciando la visione di opere realizzate quest’anno (che, come di consueto, abbondano nel vasto programma del Torino Film Festival), abbiamo scelto di dedicare questi primi giorni di proiezioni all’ombra della Mole ad alcune opere della retrospettiva completa dedicata a Brian De Palma, sulle quali ci permetteremo alcune riflessioni. Innanzitutto, c’è da fare un plauso alle svariate persone che lavorano per rendere questa kermesse così affascinante e per la capacità di reperire opere in pellicola in buono o ottimo stato di conservazione (ben dodici film sono infatti in 35mm.), offrendo così sia agli spettatori che agli addetti ai lavori la possibilità di godere di un’esperienza che, con la crescente penuria di materiale del genere, si fa sempre più rara e rischia ormai di diventare irripetibile. Spostandoci poi dal piano della materialità del supporto a quello più specificamente artistico delle opere proiettate, è possibile ragionare sulla capacità del cinema di resistere al tempo quando capita di imbattersi in film profondamente innovativi e in taluni casi addirittura anticipatori di fatti, gusti e tendenze o, al contrario, constatare quanto un certo immaginario o alcune scelte estetiche si rivelino datate e frangibili. C’è tuttavia da aggiungere che, come qualsiasi altra cosa, anche un film ha il diritto di invecchiare e il fatto che una determinata opera non ci parli più come una volta non dovrebbe portare necessariamente ad una sua sottovalutazione. In certi casi può invece succedere che, in modi inattesi e sorprendenti, il passato ed il presente della settima arte dialoghino in maniera proficua passandosi la fiaccola.

Immagine correlataInserendo nel nostro ragionamento i lavori di Brian De Palma, è importante sottolineare come nel cinema dell’autore de Il fantasma del palcoscenico Redacted (tanto per citare due titoli di una filmografia che vanta almeno una dozzina di capolavori) sia stato fin dagli esordi talmente ricco da riuscire a dialogare sia con il cinema del suo tempo, attraverso citazioni, omaggi, aggiornamenti di temi, sia con quello a lui posteriore. Per buona parte della critica, negli anni ’70 e ’80 De Palma è stato soprattutto un discepolo di Alfred Hitchcock ed è indubbio che egli deve la sua fama ed il suo successo alle opere che dialogano proficuamente con il giallo ed il thriller del maestro inglese. Tuttavia, nei suoi primi film è un altro il modello cui il regista di Newark pare ispirarsi: Jean-Luc Godard. Grande ammiratore della Nouvelle Vague, infatti, nel suo terzo film, Ciao America (Greetings), De Palma mette in campo diverse pratiche proprie del regista di Fino all’ultimo respiro: le infrazioni delle regole di montaggio, la tecnica dello straniamento (con l’attore che parla alla macchina da presa), l’utilizzo di didascalie, la citazione colta, gli intermezzi in cui si inseriscono ragionamenti sui mass-media e la mercificazione consumistica della cultura. In realtà, come il collega e coetaneo Martin Scorsese, sin dalle sue primissime esperienze registiche De Palma dimostra la straordinaria capacità di rimasticare il cinema ed i film che ammira: infatti, nel suo cortometraggio Woton’s wake, girato nel 1962, qualsiasi spettatore minimamente cinefilo può riconoscere passaggi che richiamano King Kong, il classico di Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack, e Il settimo sigillo di Ingmar Bergman, omaggiato (se non addirittura plagiato) con la famosa sequenza della partita a scacchi.

Risultati immagini per sister de palmaDopo aver saggiato varie strade, nel 1972 De Palma realizza il film che segna il suo ingresso all’interno del genere che lo renderà poi famoso: con il thriller parapsicologico Sisters egli realizza un’opera che unisce mirabilmente il classico plot del giallo con una straordinaria riflessione teorica sul tema del voyeurismo. Il film ruota attorno ad una coppia di gemelle siamesi, Danielle e Dominique, che sono state separate in seguito all’intervento chirurgico di un medico innamorato di Danielle. Il distacco da Dominique, morta in seguito all’intervento, ha provocato in Danielle una follia che porta la donna a commettere omicidi quando assume la personalità della sorella defunta. L’assassinio di un uomo di colore, conosciuto durante una trasmissione televisiva, avviene sotto gli occhi della giornalista Grace Collier che, dalla finestra del suo appartamento, vede l’uomo cadere sotto i colpi di Danielle. Come si può evincere dalla trama, Sisters è un’opera di chiara ascendenza hitchcockiana: c’è il voyeur che assiste all’omicidio dalla sua casa (La finestra sul cortile), lo sdoppiamento di personalità con un personaggio che presta letteralmente la voce ad un altro e uccide assumendo le sue sembianze (Psyco), un personaggio che sembra il protagonista del film ma che viene poco dopo eliminato (come la Janet Leigh sempre di Psyco), la donna ipnotizzata (Notorius), la figura dello psicanalista (Io ti salverò). Tuttavia, dietro il gioco fin troppo scoperto della citazione, De Palma inserisce una straordinaria riflessione sul doppio e sullo sguardo, sulle dinamiche che intercorrono tra attore e spettatore, tra osservatore e protagonista di una scena o di un evento. Il tema del doppio viene rappresentato non solo attraverso il personaggio della protagonista-omicida ma anche nello sdoppiamento di personalità cui va incontro la sua antagonista, la giornalista Grace Collier. Ancora più centrale è il discorso sullo sguardo, evocato sin dalla prima scena quando, durante un programma TV, il giovane executive viene messo di fronte (letteralmente) ad un buco della serratura in cui gli viene chiesto di spiare una donna cieca (che poi scopriremo non essere tale) mentre si spoglia, e che diventa ancora più radicale con la scelta estetica dello split screen (lo schermo diviso in due) in cui allo spettatore si para davanti una scena osservata da due punti di vista differenti, quello dell’uomo assassinato e del testimone, rendendo in maniera magistralmente plastica la colpa dello spettatore, la complicità di chi guarda.

Risultati immagini per the disaster artistCasualmente, l’utilizzo dello split screen proprio ieri si è parato nuovamente dinanzi agli spettatori del Torino Film Festival, sebbene usato in maniera totalmente diversa, in The disastred artist del prolifico ed eclettico James Franco, che uscirà nelle sale italiane a gennaio. Il film, presentato nella sezione “After Hours”, racconta la storia del misterioso regista e produttore Tommy Wiseau (interpretato dallo stesso regista) che nel 2003 scrisse, produsse, interpretò e diresse The Room. Costato più di 6 milioni di dollari, il film ne incasso appena 1800 nelle prime settimane di proiezione e venne poi considerato “uno dei peggiori film di sempre” salvo poi diventare, come spesso accade, un film di culto nei circuiti statunitensi delle proiezioni di mezzanotte. The disastred artist, che racconta la vicenda di questo Ed Wood moderno e della sua amicizia con l’attore Greg Sestero, è un’opera eccentrica e molto divertente dove sui titoli di coda il regista accosta, attraverso appunto il metodo dello split screen, le scene che lo spettatore ha appena visto, rifatte dalla troupe di Franco, con quelle originali tratte dal vero film The Room. L’effetto è veramente sorprendente.

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