“Venere in pelliccia” di Roman Polanski: il massacro deve continuare

“Dio lo ha punito e lo ha messo nelle mani di una donna”
Leopold von Sacher-Masoch, Venere in pelliccia

 

Il regista teatrale Thomas ha appena terminato le audizioni per il ruolo di Wanda Dunajew, la protagonista femminile dello spettacolo Venere in pellicciapièce da lui anche scritta, tratta da un romanzo erotico di Leopold von Sacher-Masoch. Thomas è molto preoccupato perché, sebbene abbia provinato svariate candidate, non ha ancora trovato il volto giusto. Proprio quando sta per andar via, irrompe nel teatro una splendida donna bionda, vestita di cuoio e borchie, fradicia di pioggia, il cui nome è proprio Vanda, giunta in ritardo a causa del maltempo. Vanda, che sembra dapprincipio una donna lasciva, ignorante e sboccata, riesce a vincere la riluttanza del regista e, sebbene fuori tempo massimo, ottiene la possibilità di effettuare comunque il provino. Dopo poche battute Thomas capisce che la donna è la protagonista perfetta di cui era disperatamente alla ricerca. I due continuano a provare per tutto il giorno dando vita ad un intrigante, ambiguo e piccante gioco di ruoli e rispecchiamenti…

Venere in pelliccia, a tutt’oggi l’ultimo, straordinario film di Roman Polanski, realizzato dal fondamentale cineasta polacco (ormai naturalizzato francese) al giro di boa dei suoi ottant’anni, nel 2013, è un vero e proprio inno alla riscrittura, al recupero, al riciclo di materiale altrui. In principio c’è uno dei capolavori del maestro italiano Tiziano VecellioVenere allo specchio (opera pittorica visibile alla National Gallery of Art di Washington), che raffigura la dea dell’amore che reca in mano una frusta. Poi c’è il testo dell’austriaco Leopold von Sacher-Masoch (in cui si cita il quadro), che narra del singolare contratto schiavo-padrone siglato tra Severin e Vanda, e delle punizioni che quest’ultima avrà il diritto di infliggere all’uomo, consenziente, per mezzo della frusta (dalla seconda parte del cognome dello scrittore nasce il termine “masochismo”). In seguito c’è l’adattamento teatrale dell’americano David Ives che prende spunto dal romanzo e mette in scena un regista alla disperata ricerca di un volto e di un corpo capaci di incarnare la protagonista del romanzo di Sacher-Masoch. Infine, c’è il film di Polanski che utilizza magistralmente il suo medium, il cinema, impadronendosi della materia e trasformando una storia di perversione erotica in un nuovo gioco al massacro, come già nel suo film precedente, Carnage, realizzato nel 2011.

Venus à la fourrure, primo film del regista interamente parlato in francese, mescola con sagacia, intelligenza e rigorosissima precisione di scrittura il mito greco, la religione, la psicanalisi freudiana, la lotta tra i sessi e le parafilie. Infatti, mettendo in scena un piccolo campionario di perversione erotica, nel quale il feticismo trova spazio accanto al masochismo, Polanski riesce a trasfigurare i limiti di un romanzo lascivo e a utilizzare la materia pruriginosa per compiere una riflessione sulla megalomania (punita) dell’artista e le sue ossessioni, sul debordante desiderio del creatore di fagocitare tutti i suoi personaggi in uno sforzo totalitario fatalmente destinato allo scacco. Cercando di plasmare la Vanda-attrice per farla diventare la Vanda-personaggio, l’autore finisce infatti vittima del suo stesso gioco fino a farsi trasformare egli stesso nel carattere che vorrebbe forgiare sulla pelle della sua antagonista. Attraverso una progressiva tensione, lo scambio sulla scena tra Vanda e Thomas darà vita all’accumulo, alla moltiplicazione e alla sovrapposizione di identità e ruoli, tali da determinare il singolare destino cui l’uomo andrà incontro.

Scandito da dialoghi infallibili (alcune battute sarebbero da mandare a memoria come quando Thomas esclama: “La vita fa di noi quello che siamo in un momento imprevedibile”), sostenuto da una sferzante ironia e dalla più fervida ambiguità oltre che da due prove attoriali maiuscole (Emmanuelle Seigner forse nel suo ruolo più riuscito, Mathieu Amalric perfetto alter-ego del regista), il film di Polanski riesce a dialogare mirabilmente con entrambi i testi di partenza iniettando nel film l’inconfondibile marchio del suo autore. Venere in pelliccia, infatti, non riscrive soltanto Sacher-Masoch e Ives ma è anche occasione per il regista di attraversare buona parte del suo cinema con l’ennesima riproposizione di universi chiusi e claustrofobici dove stavolta persino il teatro, luogo deputato all’arte, diventa universo concentrazionario, arena senza sole, luogo di combattimento in cui al vincitore viene concesso persino il diritto di umiliare lo sconfitto. Pur riadattando un testo e sebbene faccia massiccio ricorso all’autocitazione, Polanski realizza così uno dei suoi film più personali, un capolavoro di sintesi ed asciuttezza che osa sfidare persino gli archetipi ereditati dal mondo greco. Viene infatti decretato, tra le altre cose, il definitivo tracollo di un potere fallocratico ormai logoro in un’età in cui le Baccanti ballano ormai da sole e non hanno più bisogno di un Dioniso per prendersi gioco del re di Tebe.

©RIPRODUZIONE RISERVATA – Ne è consentita esclusivamente una riproduzione parziale con citazione della fonte, Milena Edizioni o www.rivistamilena.it

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!