Prendere coscienza del vuoto: “Così bella, così dolce” di Robert Bresson

di Ludovica Soreca

Risultati immagini per così bella così dolce bressonCosì bella, così dolce, uscito nel 1969, segna il passaggio di Robert Bresson al colore, ed è il primo dei due film che il maestro francese trasse dalle opere di Dostoevskij, scrittore a lui spiritualmente molto vicino, come dimostrano anche i riferimenti a Delitto e castigo contenuti nello splendido Pickpocket (l’altro film che riprende direttamente un testo letterario di Dostoevskij è il successivo Quattro notti di un sognatore, adattamento de Le notti bianche).

Risultati immagini per così bella così dolce bressonEsordio sullo schermo in un personaggio indimenticabile per la fulgida Dominique SandaCosì bella, così dolce racconta la vicenda di personaggi che non hanno nome e rappresentano semplicemente un “lui” e una “lei”. I corpi sono solo corpi, presenze inserite in uno spazio di finzione e destinate a obbedire a un imperativo unico: il riempimento di  un vuoto, di un passato che ridiventa presente (il film è in effetti un lungo flashback), la decantazione di un discorso amoroso complesso che si anima e prende senso a partire dall’accostamento inconsueto di due soggetti. “Avvicinare inabitualmente i corpi. Per catturare i movimenti più insensibili, più interiori”, sono le parole di Bresson che alludono al carattere innaturale della messa in scena; allusione che risulta rafforzata dalla presenza dell’avverbio inabitualmente che pone l’accento su una presa di posizione precisa e sentenziosa.

Il territorio in cui si muove questa narrazione filmica è prima di tutto la resa in immagine di un rapporto di coppia che, come sopra ricordato, trova la sua collocazione originaria in una novella di Fëdor Dostoevskij. Ne La mite l’impianto letterario, tutto impregnato su sviluppi e modulazioni che seguono un andamento prettamente psicologico, viene ad  essere assimilato, smussato e per certi versi rovesciato nell’adattamento cinematografico ideato dal regista francese. Questa violazione operata nei confronti della materia letteraria trova la sua ragione d’essere nella volontà di creare un altro vero: “Il vero del cinematografo non può essere il vero del teatro, né il vero del romanzo, né il vero della pittura. (Quel che il cinematografo afferra con i suoi mezzi non può essere quel che il teatro, il romanzo, la pittura afferrano con i loro)” – è sempre Bresson a parlare. Ma in che modo avviene questa rimodulazione, l’adattamento e la rielaborazione della materia di partenza?

Risultati immagini per così bella così dolce bressonInnanzitutto Bresson mette in atto sia una depurazione delle psicologie, che è tipica del suo stile ma particolarmente pregnante in questa pellicola, conferendo così al narratage una qualità estetica propria, e, allo stesso tempo, conferisce alla parola un’accezione nuova: essa diventa meramente funzionale all’immagine. Dunque si può parlare di film antinarrativo dal momento che la discorsività contribuisce a caricare di senso i momenti in cui subentra la mancanza di elementi squisitamente narratologici. La pienezza si presenta laddove risulta svuotata. Il criterio formale che definisce quest’opera cinematografica e che traccia una delle differenze costitutive rispetto a quella letteraria, è quello stabilito da un certo uso che Bresson fa del montaggio, (diverso da quello operato nei suoi film precedenti più incline alla tecnica della dissolvenza), basato sulla necessità di accrescere il contrasto o l’allusione al fine di restituire un ventaglio di elementi stilistici che, messi in contrappunto, diventano la traccia visibile delle soggettività trattenute dei personaggi, di quello che li anima all’interno.

Risultati immagini per così bella così dolce bressonQuesta opposizione di toni determina il tipo di ricerca che il regista mette a segno: una ricerca che contempla una duplicità di piani, permettendo l’oscillazione e poi il salto tra la rappresentazione e la formalizzazione, tra la parola e la sua negazione, tra il passato e la sua riproposizione in una dimensione temporale tendenzialmente astratta ma allo stesso tempo disposta ad inglobare le sue possibili modulazioni concrete. L’inclinazione all’astrazione che emerge soprattutto dai  comportamenti quotidiani dei personaggi, dai tratti che qualificano le loro azioni,  non  si tramuta mai in schematismo: al contrario, alimenta un processo dialettico in cui l’antinaturalismo e l’antinarratività permettono comunque la presenza delle cose, e la loro significazione. La femme douce bressoniana (questo, infatti, il titolo originale dell’opera) è l’incarnazione di questa astrazione concreta, la cifra primaria della complessità raccontata. E’ dal personaggio di “lei” che fluisce la linfa vitale e insieme mortifera dell’avventura sentimentale, è sua la  volontà che funge da dispositivo di attivazione della relazione amorosa e del suo inevitabile annientamento.

L’uccisione del corpo coincide con quella sentimentale. Suo è il carattere polisemico che Bresson ci mostra attraverso un linguaggio atono, neutro capace di rivelarsi solo per contrasto: è così dolce e così bella quanto disumana ed imperturbabile; è il timore della reiterazione, la constatazione che niente può mai veramente cambiare il criterio del suo stare al mondo, un’ oscillazione tra l’alienante e l’eccedente: “Vorrei una cosa diversa”, dice in un punto, in una sentenza che resterà enigmatica, come tutto il suo essere. Senza dubbio uno dei personaggi bressoniani più densi e inafferrabili. Il film si apre con la constatazione di qualcosa che è perduto per sempre e  si fonda sulla ricostruzione di questa perdita, sulla sua riattivazione, nel segno di una tensione che crede di disvelare i valori più profondi dell’esistenza e finisce per smascherarne i limiti.

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