La donna non esiste. Le identità simboliche e l’indeterminato

di Marco Antonio D’Aiutolo

La femme n’existe pas”, la Donna non esiste. È questa “l’infamante” affermazione di Jacques Lacan, che ho colto, analizzando il film di Ettore Scola, Una giornata particolare (1977).

Siamo in epoca fascista, il 6 maggio 1938, l’intero condominio romano, in cui vive Antonietta, è deserto. Sono tutti accorsi alla parata in onore del Führer, la cui voce irruenta e minacciosa fa da colonna sonora in un crescendo malinconico. Antonietta, moglie, madre, casalinga, interpretata da una stupenda Sophia Loren, dopo essersi svegliata, aver svegliato e accudito i suoi sei figli e il marito, resta a casa, sola, a continuare il suo lavoro e ad interpretare le sue identità simboliche.

Però non è l’unica a restare a casa. Ad eccezione della portinaia, nell’appartamento dirimpetto al suo c’è Gabriele, elegantemente interpretato da un affascinante Marcello Mastroianni. I due si incontrano per caso, proprio mentre lui sta meditando il suicidio. Forse non si erano mai notati prima. Gabriele le regala un libro, Antonietta cerca di conquistarlo per sfuggire ad una vita grama e succube. Ma lui le confessa la sua omosessualità e lei, delusa, lo schiaffeggia, rinfacciandogli la tentata seduzione. Nonostante ciò, tra loro si giunge a consumare un rapporto d’amore. Il film di Scola è noto perché racconta l’ultima giornata di libertà di un pederasta, prima del Confino di Polizia. E sicuramente, nel ’77, è stata una scelta audace del regista. Tuttavia credo che non vada trascurato il ruolo centrale che ricopre la (medesima) sorte della donna, confinata in casa. Sembra anzi che il film descriva e metta in evidenza proprio il lacaniano la Donna non esiste.

Alenka Zupančič osserva che un’obiezione alla visione dello psicanalista francese potrebbe essere che tale negazione derivi dal fatto che la società patriarcale abbia oppresso le donne per millenni, “perciò, invece, di cercare di offrire una giustificazione teorica di questa oppressione, di questa affermazione, dovremmo fare qualcosa al riguardo”. E la critica non è di poco conto.

La riduzione a nulla della donna si può cogliere ovunque nella storia occidentale politico-culturale. Non sono mancati storici, tra cui George L. Mosse, che hanno attestato quanto, in una comunità affine di soli uomini, il Männerbund tedesco ad esempio, la donna sparisca completamente. Lo stesso si legge in H.I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, che tratta l’omosessualità maschile in Grecia, fenomeno costante nelle società guerriere. “L’esclusione materiale delle donne, ogni loro scomparsa, porta con sé un’offensiva dell’amore maschile”. Eva Cantarella, in Secondo Natura. La bisessualità nel mondo antico, osserva che mentre i greci chiudevano le donne in casa e le escludevano dalla vita sociale, nel mondo romano, venivano rese “strumento volontario e attivo della trasmissione di valori saldamente ancorati all’idea della superiorità maschile. E quest’idea, appunto, esse trasmettevano ai figli, perpetuando una cultura non solo patriarcale, ma assolutamente androcentrica”. Soggette, quindi, a un rigido controllo, tale compito rendeva necessario porle “al di sopra di ogni sospetto”. Per chi trasgrediva: “solo disprezzo, ironia, accuse violente e spesso volgari”. Dall’affermazione della superiorità virile all’annichilazione della donna e all’annichilimento il passo è breve. Emblematica la conclusione di un romanzo di Vitaliano Brancati, Il bell’Antonio, ambientato in epoca fascista e immediatamente dopo, come il film, dove Antonio, affetto da impotenza, un vergognoso tradimento della virilità del gallismo siculo, invidia l’amico quando gli confida di aver stuprato una donna.

Zupančič prende in considerazione un altro aspetto del lacaniano la Donna non esiste. Riflettendo sul Don Giovanni di Moliére, scrive: “Don Giovanni ‘seduce’ le donne senza curarsi del loro aspetto, delle loro ‘apparenze’…; e egualmente senza riguardo per i ruoli simbolici delle sue conquiste (non ha importanza che siano padrone o serve, sposate o nubili, mogli o sorelle di uomini importanti, maritate o fidanzate…). La questione è: cos’altro rimane? Rimane qualcosa?

I ruoli simbolici (come quelli di Antonietta), per la filosofa slovena, sono identità che nascondono la mancanza di genere. Spiegano come mai, ad esempio, fare allusioni alle attività sessuali di una sorella (o madre) sia il miglior modo per insultare un “uomo sciovinista”. “Il solo pensiero che sua sorella non sia sua sorella, che non sia riducibile alla sua identità simbolica, ma potrebbe essere anche qualcos’altro (senza sorpresa, ma significativamente, questo ‘qualcos’altro’ si riduce a un’altra sola alternativa: una puttana), lo rende pazzo”. E, sebbene si tratti di un affronto alla donna coinvolta, l’insulto è sempre indirizzato all’uomo (“una pugnalata al cuore”). “Tua sorella (o tua madre) è una puttana” è un volgare ammonimento del fatto che “la Donna non esiste”: “come dice Lacan, è ‘non tutta’, non ‘tutta di lui’”, “mette in questione una parte del suo essere, investito come è nei ruoli simbolici della donna. Ciò è confermato al massimo dalle reazioni estreme e completamente sproporzionate causate da tali insulti, fino all’omicidio”. Non si tratta di proprietà, non è in gioco “ciò che egli ha, ma ciò che egli è”. Al limite, “un uomo è – come afferma Žižek in una delle sue lezioni – una donna che crede di esistere”.

Per afferrare, dunque, l’impatto femminista dell’espressione lacaniana, è necessario riconoscere che essa non va attribuita ad un modo di pensare patriarcale, risultato del suo carattere oppressivo. È, bensì, “la società patriarcale…un risultato del fatto che ‘la donna non esiste’”. Non è l’oppressione a produrre la rimozione, sostiene Lacan, né la castrazione dipende dal “fatto che Papà, al marmocchio che si maneggia l’affare, brandisce: ‘Rifallo e…’”. È la rimozione che produce la repressione. La famiglia e la società non sarebbero che “creazioni edificantisi sulla rimozione”.

Una donna – scrive ancora Zupančič – che – anche per un breve momento – appaia fuori dai ruoli simbolici che la determinano, e dorma con un uomo ‘fuori’ del regno della legge (del matrimonio), è, in questo universo simbolico, una ‘visione insopportabile’, una ‘ferita aperta’”. L’onore rubato va “riparato” con un “annullamento retroattivo”, ciò che Hegel chiama das Ungeschehenmachen. Ma ciò mostra allora che dietro i ruoli simbolici “le donne, dopotutto, sembrano esistere perfettamente”: il comune denominatore, “la sostanza sottostante a tutti questi attributi simbolici”. Questa sostanza non è altro che “qualcosa che minaccia di gettare tale società ‘fuori dai cardini’”. Essa funziona perfettamente fino a quando compare un Don Giovanni che chiede di avere tale sostanza in se stessa: non una moglie, una figlia, una sorella o una madre, ma una donna. Non bisogna fraintendere: c’è uno iato tra lo stupro ne Il bell’Antonio e la seduzione nel Don Giovanni. Nel primo caso la donna è niente. Ma nel secondo, appunto, cosa rimane?

Riprendendo il film di Ettore Scola, ritengo che, nell’incontro tra il pederasta e la casalinga, la seduzione sia presente tutta. Gabriele non è un Don Giovanni, certo, ma ciò che gli interessa di Antonietta è la donna, non la moglie o madre. Come ciò che interessa a lei è l’uomo, non l’antifascista (termine che usa la portinaia per metterla in guardia), né l’omosessuale. Entrambi, esclusi dalla società, si accorgono di esistere in quanto tali; e, pur tornando, alla fine, ai loro Confini, anche se per un breve momento, anche solo per una Giornata particolare, si sono riconosciuti reciprocamente. Hanno scardinato la società: mostrano, cioè, che la loro sostanza non si lascia sintetizzare, fino ad annullarsi nel sistema simbolico che cerca di determinarli con un ruolo accettabile. Come nel Don Giovanni, quindi, la loro esistenza testimonia che qualcosa rimane, “sebbene l’identità di questo qualcosa sia completamente indeterminata”. E risulta vero, pertanto, quanto dice Slavoj Žižek, che cioè “l’opposto di esistenza non è inesistenza, ma insistenza: quel che non lasciamo esistere continua a insistere, a lottare per emergere dall’inesistenza.

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