Ugo D’Alessio, la spalla protagonista

Esistono delle figure che s’imprimono nell’immaginario al primo sguardo e alla prima parola detta, come in una fulminante comunione senza il tramite del sacerdote.
Ugo D’Alessio ha rappresentato per me questo tipo di esperienza, e solo dopo, in età adulta, ho potuto ricostruirlo in maniera “intellettuale”, pensata, precipitandomi nelle pieghe a valenza simbolica del suo cinema e del suo teatro.

I suoi occhi piccoli, spesso semichiusi in un atto di comprensione del discorso, a farlo un po’ tardo, ritaglio di una rappresentazione strutturata sul sorriso immediato, catturarono la mia attenzione di bimbo che vede gli uomini ancora tutti quanti buoni. Per me era vedere lo “zio” in scena, non quello metaforico, l’ideal-tipo, che a 5 anni Weber e i poeti erano ancora rinchiusi nel cassetto di un domani solo probabile, ma lo zio che era appena andato via, zio Ciccillo, una sorta di Mago Pancione che allontanava ogni fantasma della mente solo a guardarlo. Aglietiello, tuttofare nella commedia di Eduardo Non ti pago, fu la prima stretta di mano che senza imbarazzo, come si fa con chi non mette soggezione, regalai al grande Ugo D’Alessio. E si sa, occorre una notevole dose di pazienza e violenza sulla propria memoria per rimontare in maniera nuova un attore quando questi si cimenta in un ruolo diverso da quello che lo regalò per sempre al nostro cuore. Che fatica mi costò abbracciare Raffaele, il portinaio classificato ad anima nera nel dramma Questi fantasmi. Lo zio era diventato senza dirmelo furbo, ladro, e si divertiva a costruire fantasmi invece che allontanarli dal mio piccolo letto. Ma anche in quella nuova veste, sentirlo parlare mi ricomponeva l’anima in un organismo allegro, perché quella voce e quella cadenza sapevano di granita sul carrettino, quelle grattate sul blocco di ghiaccio.

E rieccolo zio della prima volta, con una divisa e un ruolo troppo seri per lui da non sorridergli al primo sguardo. Di Sabato in Totò contro i quattro, mortificato se lo chiamano “cus”, ma la colpa non è sua, non conosce il barese.
Poi una volta non lo sentii più parlare, e il suo corpo era sfatto, i pochi capelli in disordine, trincerato dietro una tenda, stanco di usare l’alfabeto. Che affronto che mi fece! Era diventato Zì Nicola ne le Voci di dentro, ma superai la sfida del suo silenzio aggrappandomi ai suoi botti. Mi ricordavano Natale, e nello scoppio sentivo darmi la mano. Zio era solo un po’ stanco e più vecchio, ma non dimenticò di portarsi in regalo un’altra volta.

Che zio era un uomo di valori lo avevo sempre saputo, perché chi sorride in quel modo e ti guarda così non può che dormire con l’onestà come lenzuolo. Ed ecco Fabio Della Ragione, che stanco del sangue e dei morti sembra riportare gli altri, come inscritto nel suo stesso cognome, ai lumi della verità ad ogni costo. Ma capii subito che zio tanto ragionevole non era se col suo gesto dettato dalla ribellione alla menzogna innescava dolorose rese dei conti e vendette. Ma che era medico del “Sindaco del rione Sanità” me lo faceva importante come non mai. E chi lo sapeva che mio zio era medico. I conti non mi tornavano. E infatti glielo chiesi quando lo vidi comparire nella masseria con sandali consumati e pantaloni alla zuava, appena uscito da una probabile vendemmia che gli aveva fatto il viso sudato. Ora era Giorgio, piccolo proprietario di terreni in un paese contadino che ritorna da una gita a Napoli come se ritornasse da Urano:sconvolto. E nel recuperarlo di nuovo come lo incontrai la prima volta esclamai, proprio come il titolo della commedia in cui recitava: Chi è cchiù felice di me?.

Ora ho un’altra età, e ho capito che quell’uomo non era mio zio ma un attore che si divertiva a fare mio zio. Adesso posso guardarlo nella sua interezza, nei meccanismi sottesi con cui teneva i fili della trama. E’ sempre stato una spalla, classificato come tale, per me è invece il più luminoso attore non protagonista delle commedie di Eduardo. Sempre ruoli, a parte qualche eccezione, umili, semplici, popolani. Era un gigante perché riempiva la scena, e senza il suo sostegno ho l’impressione che l’impalcatura crolli, smarrisca il suo senso. E’ l’elemento essenziale per far saporito il piatto, come il parmigiano e la foglia di basilico su uno spaghetto coi pomodorini.

Si è spesso osservato che le commedie di Eduardo perdono tanto senza la recitazione dell’autore. Credo, senza timore di esagerare, che nessuna commedia di Eduardo possa rimanere integra se sottratta alla presenza di zio Ugo.
Più di Eduardo, la cui comicità corre costante sui fili ad alta tensione della riflessione amara, i personaggi di Ugo D’Alessio incarnano la napoletanità assoluta, quella dei bassi e non dei caffè, quella dei panni stesi battuti sui massi.
Ugo era limpido, e portava nei suoi ruoli il mare caldo e salato della sua terra. Era una faccia buona, di quelle che ti fanno sorridere senza recitare, come quelle donne che ti fanno innamorare senza averle mai fermate. E sono quelle che non sai mai scordare.

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