Dove albergano gli orrori

Quando lo spazio delimitato della casa, simbolo dell’io profondo, viene strappato alle leggi naturali da un evento traumatico, si trasforma in un’arena di deliri e aggressioni che trovano salvezza solo all’esterno di sé. L’infestazione è simile a un virus che vive in simbiosi col luogo stregato, mostrandosi debole al di fuori dai propri confini. La sua origine può essere estranea alla costruzione, quando un’entità ostile si annida come un ragno negli ambienti, oppure può provenire da una contaminazione che “umanizzi” l’edificio stesso, conferendogli l’identità e la capacità di agire di un essere senziente.

Nel teatro psicologico de La caduta della casa degli Usher l’antica magione raccontata da Edgar Allan Poe muta in un organismo, rispecchiando il declino del casato fino a condividerne lo sfacelo. Invece, con il racconto La casa sfuggita di H. P. Lovecraft, assistiamo ad un approccio del tutto diverso seguendo la storia un edificio infestato di Rhode Island, analizzato da una serrata anamnesi degna di un rapporto medico.
La nomea che ammanta l’umido e malsano palazzo al 135 di Benefit street deriva dalla lunga serie di morti che lo perseguita negli anni, insieme ai singolari comportamenti dei suoi abitanti colpiti da frequenti accessi di follia violenta. La logica convenzionale trova il problema inspiegabile, ma lo sconfinamento nel sovrannaturale non riesce a ostacolare il metodo scientifico che i protagonisti adotteranno per la risoluzione del caso. Il dottor Elihu Wipple e suo nipote, figure modellate sullo stampo dei canonici detective dell’occulto, dipanano la lunga sequenza di eventi luttuosi individuando nessi e genealogie che li conducono a dei rifugiati ugonotti, giunti nel 1500 dalla Francia.
Dietro i tanti decessi e le presenze che aleggiano tra le stanze si profila l’ombra della nefasta famiglia Roulet, sepolta in un cimitero privato su cui è sorto l’edificio.

L’intervento degli studiosi si basa su strumenti razionali e pratici, come le attrezzature del Carnacki di Hogdson, ma i lanciafiamme e i tubi di Crooks non bastano contro l’emanazione che vampirizza le sue vittime. Solo la distruzione del parassita sepolto in cantina elimina la radice antica del maleficio con un profluvio di acido solforico. In perfetto equilibrio, scientismo e senso del mistero, chimica e magia, s’incontrano senza negarsi a vicenda per aprire squarci su dimensioni ancora sconosciute all’uomo.

L’estrema originalità, la grande immaginazione visionaria e l’impietoso ritratto in chiave fantastica del mondo provinciale rendono Malpertuis di Jean Ray un memorabile passaggio obbligato per la narrativa fantastica, dove si fondono ambientazioni a cavallo tra Georges Simenon e Poe. Nel romanzo del ’43, l’omonima dimora del titolo raccoglie un gruppo eterogeneo di personaggi, legati insieme da un vicolo ereditario in cui l’avidità e l’inerzia duellano con le minacciose presenze che popolano la casa. L’orrore crescente fatto di prodigi e sinistri s’innesta in una quotidianità monotona, nebbiosa, convivendo con il grigiore mediocre dei protagonisti, resi inconsapevoli veicoli umani di divinità olimpiche ormai degradate e prive di forza.
Alla base del fenomeno c’è l’azione magica di un Rosa-Croce, il prozio Cassave, ma la sopravvivenza degli antichi dei che trae fisicità e potere dalla fede dei credenti rimasti, è un idea  che va oltre i confini del romanzo, venendo ripresa e attualizzata da Neil Gaiman nel ciclo a fumetti Sandman.

Nel 1971, troviamo una nuova interpretazione che fonde il piglio analitico di autori confinanti con la fantascienza (come Lovecraft) insieme alle tensioni emotive proprie del gotico, ovvero il romanzo La casa d’inferno di Richard Matheson.
La necessità di scoprire se esista qualcosa dopo la vita spinge il magnate morente Deutsch a inviare nella famigerata Hell House un gruppo di studiosi, affiancandoli a un “reduce” dalle affievolite doti paranormali. Col suo passato insanguinato da depravazioni e atrocità, Villa Belasco è una roccaforte dell’orrore, in grado di distruggere (anche fisicamente) chiunque osi sfidarne i misteri. Il male sembra persistere lasciando una traccia indelebile, e la sua eco, eterica o prodotta da energie misurabili, può estendersi oltre la barriera oscura per attaccare i viventi.
Il disaccordo tra il professor Barrett, la parte razionale della spedizione, e lo spiritualismo della medium Tanner anima l’indagine cadendo vittima di un inganno che trova la sua catarsi nello psico-dramma conclusivo, in grado di conciliare entrambe le posizioni.

Con la sua trama serrata, carica di suspense, il romanzo incalza il lettore immergendolo in un’atmosfera sinistra, carica di malvagità, che agisce sulle pulsioni represse dei partecipanti e mette in campo poltergeist e apparizioni raccapriccianti. L’uso dei dialoghi, la forte componente visiva, il ritmo dell’azione richiamano il linguaggio del cinema, merito dell’esperienza di Matheson attivo come sceneggiatore cinematografico nonché autore di serial televisivi.

Grazie al suo talento creativo e la maestria nella gestione del ritmo, Matheson riesce a caricare di incubo anche un altro contenitore simbolico dell’uomo, l’automobile, sceneggiando per Steven Spielberg l’angosciosa odissea di Duel, tratto da un suo racconto. Il guscio protettivo della macchina diventa una trappola mortale, prendendo il sopravvento sul suo guidatore che ne diventa un’appendice invasata e feroce. il male sa aggiornarsi e per seguire le sue vittime abbandona le fondamenta e mette su ruote. Cambia il contenitore ma la contaminazione, in fondo, resta sempre la stessa.

 

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