Agent Carter: una donna che colpisce

La galleria di produzioni seriali che ogni anno arrivano agli schermi è un corsa alla novità incessante e spietata, pronta a nascondere sotto il tappeto i prodotti mal riusciti o incompresi, condannandoli spesso a un oblio immeritato. Casi come la splendida opera spaziale Firefly di Joss Whedon ne sono un esempio clamoroso. Buon gusto, ironia, eccessiva originalità purtroppo non garantiscono il ritorno di pubblico necessario per la sopravvivenza di un telefilm e, tranne sfortunati progetti alla Sense 8 (troppo innovativo, scandaloso e costoso per reggere), la falce della cessazione sembra prediligere i prodotti ibridi action/comedy.
La mescolanza dei due generi, sia pure raffinata e piena di mordente, non sembra gradita al pubblico abbastanza da giustificarne la produzione. Questa è la parabola di un delizioso progetto targato Marvel calato in uno scenario vicino a quello dei super-eroi, cioè l’agenzia governativa ad alto sviluppo tecnologico S.S.R., Strategic Scientific Reserve, l’antenata dell’attuale S.H.I.E.L.D.

La figura dell’Agente Carter, inglese trapiantata negli USA e scalpitante impiegata amministrativa, fa la sua comparsa sul grande schermo nel primo film dedicato a Capitan America del 2011. In quanto donna legata a una sottotrama rosa (la sua relazione col Capitano), Peggy Carter parte con un handicap narrativo che potrebbe escluderla da ruoli più croccanti da protagonista di un action movie, ma è proprio qui, in questo stereotipo forzato che prende forza il personaggio ideato per la ABC da Christopher Markus e Stephen Mc Feely. E con grande divertimento funziona eccome.
Hayley Atwell è la perfetta interprete dell’agente donna emancipata e ostacolata dai colleghi maschi che attraversa con charme ed energia (oltre a un destro formidabile) due stagioni all’insegna del citazionismo cinematografico e della godibilità, grazie anche a una messa in scena rigorosa e un casting del tutto indovinato.

La frizione tra l’intraprendenza di Peggy e la clandestinità delle sue indagini sottobanco, dà vita a situazioni da commedia brillante come a momenti di suspense degni di un noir, in un clima convulso di minaccia incombente in cui la Carter deve combattere sia con i nemici del paese che con l’ottusità dei partners di lavoro.
La componente avventura e quella rosa sono spartite equamente dalle figure deliziose che circondano la protagonista nel classico gioco delle attrazioni/repulsioni. In prima linea troviamo l’inventore play-boy Howard Stark, padre del futuro Iron Man, col quale condivide genialità e passione per le donne. Il trafugamento delle sue pericolose creazioni, fanno da motore a tutto il primo ciclo di episodi, dando modo a Dominic Cooper di ritagliare un personaggio sopra le righe, brillante, di certo ispirato alla figura di Howard Hughes. Perfettamente speculare allo scienziato è il maggiordomo Jarvis (James D’Arcy), ineccepibile gentiluomo che diventerà la spalla di Peggy in una platonica relazione condita da sparatorie e inseguimenti.

I compagni di lavoro, all’oscuro delle imprese della Carter ribadiscono l’impossibilità culturale del maschio anni ’40 di dare credito a una donna, infatti sia lo sciovinista Jack Thompson (Chad Michael Murray), che il protettivo Daniel Sousa (un eccellente Enver Gjokai, invalido di guerra altrettanto discriminato) si scontrano con la collega, costringendola a una doppia vita investigativa.
Gli ingredienti del plot sono in buona misura quelli della spy-story con sfumature fantascientifiche (le bizzarre invenzioni di Stark), ben commista a elementi romance e comedy nel solco di Billy Wilder. A favorire la buona riuscita del progetto c’è il rigore della ricostruzione storica, curata nei costumi e la scenografia, oltre al design di mobilio e accessori. La fotografia, inoltre, ricorre a combinazioni digitali e analogiche per dare alle luci il clima emotivo del periodo, quello di un mondo in guerra proiettato nella modernità, ma ancora intriso di tradizione.

L’originalità e il brio della prima stagione del 2015/16, in sole 8 puntate ricostruisce un ambiente che per i contemporanei risulta esotico quanto una realtà aliena. La trama è ritmata da un azione incessante tutta inseguimenti e fughe, su una New York attraversata da spie russe disumane e sapientemente macchiettistiche. Il ciclo introduttivo risulta più compatto e lineare della seconda stagione ambientata a Los Angeles, in cui il mistero della sinistra Dark Force fa da asse portante alla detection, con abbondati effetti speciali e registri da fantascienza pulp.
La bravura della protagonista, mai risibile nel tratteggiare la sua orgogliosa eroina sola contro tutti, sfortunatamente non è sufficiente per evitare alla produzione un fatale calo di pubblico. Nel maggio del 2016 si interrompono le vicende dell’agente in tailleur. Questa volta l’Hydra non c’entra affatto, nello showbiz i numeri sanno essere più spietati di qualunque organizzazione nazista.

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