Venezia 73: con “Spira mirabilis” il cinema italiano si confronta con l’immortalità ma convince solo a tratti

Prima di parlare dei film presentati oggi in Concorso, è doveroso spendere qualche parola su Jours de France di Jérôme Reybaud, presentato alla “Settimana della Critica”. Opera prima, requisito imprescindibile per i lavori che concorrono nella sezione curata dal SNCCI (Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani), si tratta di un anomalo e personalissimo road-movie che segue alla lettera l’imperativo di André Breton, citato nel film da un’anziana attrice, zia del protagonista: “Prendete la strada”. È quello che fa Pierre che un giorno lascia il compagno Paul per mettersi alla guida della sua auto e vagabondare all’interno di una Francia nascosta, solitaria e rurale, poco battuta di solito dal cinema d’Oltralpe, più incline ad ambientare le sue storie nelle grandi città. Il viaggio di Pierre sarà l’occasione per incontri di varia natura, con una forte componente sessuale, in una ricerca dell’altro continua ma non spasmodica che genera un mosaico di personaggi secondari, tutti riusciti e memorabili, che contribuiscono a fare di Jours de France una magnifica commedia umana.

Risultati immagini per jours de france raybaud fotoMolto ambizioso, a partire già dalla durata (due ore e ventuno minuti), il film ha molte frecce al suo arco, non ultima la capacità di mescolare, sia narrativamente che stilisticamente, l’antico con il nuovo (per trovare una strada puoi usare lo smartphone ma anche una pietra miliare). Allievo e seguace del grande Paul Vecchiali (cui ha dedicato il documentario Qui êtes-vous Paul Vecchiali?), Reybaud prova a far rivivere un cinema ormai sempre più raro e prezioso, impregnato di un romanticismo intellettuale quasi irriproducibile.

Per quanto riguarda il Concorso, oggi è stata la giornata di Spira Mirabilis, documentario di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, primo dei tre film italiani in corsa per il Leone d’oro. Al termine della proiezione stampa tenutasi ieri, il film è stato salutato dagli applausi anche se bisogna segnalare che, durante la proiezione, si è assistito ad un lento ma inesorabile esodo dalla sala. Il motivo è da ricondurre alla complessa struttura del progetto e alla difficoltà di comprendere gli arcani significati nascosti dietro le immagini. Diversamente dalle più recenti opere precedenti, nelle quali si concentravano su un unico tema o luogo (l’aeroporto di Malpensa ne Il castello, il poligono di Salto di Quirra in Materia oscura, il Duomo di Milano ne L’infinita fabbrica del Duomo), questa volta i due autori puntano molto in alto scegliendo di confrontarsi addirittura con il tema metafisico dell’immortalità. Il discorso, preso dagli autori molto alla larga, mette insieme i quattro elementi: una piccola medusa capace di rigenerarsi all’infinito (l’acqua), la resistenza degli indiani lakota sopravvissuti allo sterminio (il fuoco), le statue del Duomo di volta in volta riparate per garantire loro l’immortalità (la terra), la voce di Marina Vlady che legge in francese alcuni passi de L’immortalità di Jorge-Luis Borges (l’aria). Il risultato, per quanto intellettualmente profondo e a tratti visivamente suggestivo, appare però poco convincente, un cinema eccessivamente scarnificato e astruso che costringe lo spettatore ad un tour de force cerebrale senza concedergli quasi alcun aiuto e/o appoggio (quasi impossibile ricostruire quanto scritto sopra senza l’ausilio di una sinossi). D’Anolfi e Parenti restano due cineasti di indubbio valore ma, ad avviso di chi scrive, appare un azzardo ingiustificato mettere in Concorso un film che, forse, avrebbe trovato una collocazione più consona nella sezione “Orizzonti”, totalmente deprivata dello sperimentalismo che l’aveva caratterizzata fino a pochi anni orsono.

Applausi e risate in sala, infine, per l’altra opera in Concorso oggi, El Ciudadano Ilustre di Mariano Cohn e Gastón Duprat, divertente film argentino che ruota intorno a Daniel Mantovani, scrittore (fittizio) vincitore del Premio Nobel per la letteratura, che decide di accettare l’invito a far ritorno a Salas, piccolo e arretrato borgo natìo, sito a 700 km. da Buenos Aires, che ha deciso di conferirgli la cittadinanza onoraria. Daniel, dopo un’iniziale accoglienza positiva, è poi costretto a confrontarsi con l’ostilità e la turpitudine morale dei suoi ex-concittadini. Scritto e diretto con scioltezza, ricco di gag riusciti, molto ben interpretato (il protagonista Oscar Martìnez potrebbe ambire alla Coppa Volpi) il film si rivela senz’altro godibile, anche se perde qualche colpo nel finale, e appare forse più preoccupato di blandire lo spettatore che non di metterlo a confronto con i temi trattati. Insomma, non si sa dove l’intelligenza lasci il posto alla furbizia.

RIPRODUZIONE RISERVATA – Ne è consentita esclusivamente una riproduzione parziale con citazione della fonte, Milena Edizioni o www.rivistamilena.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!