“Sepofà”, un avamposto della Napoli che si prende cura di sé

Nel 2014 nasce a Napoli la cooperativa sociale Sepofà, successivamente all’assegnazione del bando “Sviluppo Napoli”, indetto dall’Assessorato ai Giovani del Comune di Napoli.

Grazie alle idee e all’impegno di un gruppo di professionisti del “terzo settore”, la cooperativa ha mosso i primi passi nell’anno 2015, attraverso attività di promozioni editoriali e culturali nel quartiere di San Giovanni a Teduccio (laddove, secondo alcune fonti e leggende, pare sorgesse una villa appartenuta a Theodosia, figlia dell’imperatore romano Teodosio il Grande), che, con Barra e Ponticelli, forma la Sesta Municipalità del capoluogo campano.

Le attività della cooperativa Sepofà, che origina il suo nome-significato anche da un acronimo (Se.po.fa. Seminare politica del fare), ha sin dal primo momento avviato le proprie attività verso elaborazioni che richiamassero artisti, fotografi, scrittori, operatori sociali, nel tentativo di costruire un punto di riferimento destinato a diventare un promotore di aggregazione. Il Sepofà cura le dinamiche che precedono la pubblicazione di un libro e promuove la raccolta e la diffusione di testi provenienti principalmente da autori emergenti. Alla creazione di prodotti editoriali, la cooperativa affianca iniziative (incontri, reading teatrali, contest fotografici, dibattiti et cetera) indirizzate alla sensibilizzazione sulle tematiche più delicate di un territorio molto problematico, con particolare attenzione a quello di Napoli Est.

Un estratto da un testo di presentazione del sito ufficiale della cooperativa chiarisce le intenzioni del Sepofà

“La scrittura, lo storytelling, la promozione della lettura, la scoperta di talenti che hanno cose da raccontare e la contaminazione di diversi linguaggi di comunicazione artistica e culturale hanno caratterizzato fin dall’inizio le attività del Sepofà, coniugando così le due anime del progetto: quella sociale e quella culturale. Lo scopo del Sepofà. è quello di veicolare messaggi positivi, partendo da un territorio molto problematico, come quello di Napoli Est, attraverso la cultura del racconto, sia esso narrativo, documentaristico, poetico, visionario o completamente di fantasia. Se ne prende cura, lo fa crescere, lo dona agli altri con l’obiettivo di creare consapevolezza, attivismo e sinergie costruttive, che facciano da cassa di risonanza per tutta la comunità. Sepofà è l’acronimo di Seminare le Politiche del Fare perché crediamo fortemente che solo affondando le mani nel terreno, rimestandolo, sporcandosi e creando movimento, possiamo far venire su la sua parte fertile e nuova, per poter poi continuare a seminare.”

Rivista Milena ha incontrato uno dei soci e degli operatori della cooperativa. Deborah Divertito, criminologa, operatrice sociale, europrogettista, educatrice e coordinatrice di comunità di accoglienza per donne e minori.

Deborah, per chi lo ha fondato, cosa rappresenta il Sepofà?

Un riscatto personale, almeno per me. Mi ero licenziata dal mio vecchio lavoro perché non percepivo più lo stipendio. Volevo fare qualcosa per Napoli e per il mio quartiere. A San Giovanni molto resta sopito e il terzo settore pende troppo spesso dalle labbra della politica. Avevo sempre voluto qualcosa che fosse mio, nostro, delle persone che hanno dato vita a questa cooperativa. All’inizio le difficoltà sono state soprattutto di ordine tecnico. Affrontare la burocrazia non è semplice. Vivere gli aspetti e le dinamiche della vita amministrativa è un’avventura che a volte smarrisce pure qualche pezzo per strada. È stata una prova di forza. Sepofà a giugno ha compiuto due anni, ma di fatto è solo da febbraio che ha iniziato a lavorare ai suoi contenuti e ai suoi propositi.

Anche la costruzione fa parte del percorso.

Sì, e la fase di elaborazione è stata intensa quanto quella che stiamo vivendo adesso in cui diverse attività hanno iniziato a svilupparsi. Il Sepofà è quello che volevo fare da grande e la complessità di una gestione di una cooperativa mi ha insegnato molte cose.

Napoli Est è una realtà dentro una realtà. Un’area che da molto tempo vive un’emergenza ecologica, in mezzo a un sistema di emergenze. Il Sepofà, in qualche modo, sembra volersi far carico anche di certe emergenze.

La cooperativa nasce nella Sesta Municipalità. È inevitabile che la sua storia entri nella vita delle attività che nascono e crescono sul suo territorio. Ci sono arrivati racconti da tutta Italia e abbiamo potuto verificare che molti di questi raccontano la loro terra di origine. Noi vogliamo lavorare qui, operarvi, ma, allo stesso tempo, uscire, affacciarci altrove, interessandoci agli stessi problemi che sorgono altrove. L’ambiente è un’emergenza che coinvolge molte altre aree di Napoli e di molte altre città. Unire le forze è nelle nostre stesse intenzioni. Vogliamo fare rete. La nostra è una cellula che si muove, che domanda, che aderisce e che invita a farlo. La nostra partecipazione alla rete “Napoli Est brucia” è un esempio di come il Sepofà interpreti certe attività come opportunità di unione di forze, invece che di separazione.

È inevitabile che molte storie personali spingano ad agire in un’area in cui le testimonianze dirette sono tante. Anche nel Sepofà è presente questo sentimento?

Dalle nostre parti c’è un’incidenza tumorale altissima. Ognuno di noi se ne fa carico, professionalmente e umanamente. Soprattutto umanamente, per ragioni personali. I riflettori più luminosi sono quelli accesi dai cittadini. Le istituzioni latitano. Noi vogliamo parlare di questi problemi attraverso l’arte, la scrittura e il teatro. Io stessa, di recente, ho scoperto che a San Giovanni c’è un teatro di cui fino a poco tempo fa non sapevo nemmeno dell’esistenza. Questo dimostra la necessità di conoscere e di conoscersi meglio. Così, abbiamo contattato le persone che lo gestiscono e abbiamo realizzato un reading letterario legato a un concorso organizzato dalla cooperativa.

Quanti Sepofà ci sono in giro? E quali sono?

Non sono pochi. Io credo che siano soprattutto le persone che hanno voglia di darsi una possibilità. Sepofà è soprattutto questo, è la cultura della possibilità, è una filosofia. Spesso mi capita di ascoltare frasi del tipo “mi scoccio”, oppure “non lo so fare”. Frasi che non racchiudono un’incapacità di fondo, ma una totale mancanza di entusiasmo. L’arte del fare reagisce a queste mancanze di entusiasmo, adoperandosi per la possibilità del realizzabile e non dell’ipotizzabile. Idea e azione devono andare d’accordo.

Augurando al Sepofà di farsi sempre più motto di qualcosa che trovi riscontri vivi e frequenti, vale la pena ricordare che ne Il mestiere di vivere Cesare Pavese ha scritto che “L’uomo d’azione non è l’ignorante che si butta allo sbaraglio dimenticandosi, ma l’uomo che ritrova nella pratica le cose che sa.”

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