“L’uomo senza passato” di Aki Kaurismäki: la classe operaia va in paradiso. Forse

Immagino il paradiso
come un posto in cui ci sia un bar
e che la prima bevuta sia gratis
Aki Kaurismäki

 

Nel 2002, anno di uscita de L’uomo senza passatoAki Kaurismäki ha alle spalle tredici lungometraggi per il cinema, un paio di documentari musicali e un film per la televisione tratto da Le mani sporche di Jean-Paul Sartre. Il film dell’“orso finlandese”, come viene spesso definito per il suo carattere poco incline alla socializzazione, ottiene un grande successo portandosi a casa da Cannes il Gran Premio della Giuria (l’anno de Il pianista di Roman Polanski: l’Olocausto, si sa, non si batte) e il Premio della Giuria Ecumenica.

Kati Outinen, attrice-feticcio del regista, ottiene inoltre il premio per l’interpretazione femminile e il film viene candidato all’Oscar come migliore pellicola straniera. Ma nel 2003, alla vigilia della premiazione, il regista scrive una lettera pubblica indirizzata all’Academy con la quale avverte che non presenzierà alla cerimonia per protesta contro la guerra in Iraq: “Non posso partecipare agli Oscar mentre il governo USA sta preparando un crimine contro l’umanità per puri interessi economici”, spiega candidamente Aki e a me sembra di immaginarlo mentre cerca le parole giuste sorseggiando una birra e lasciando cadere la cenere sulla tastiera del computer (è noto che il regista partecipa alle conferenze stampa solo se può portarsi dietro un paio di birre e se non gli viene proibito di fumare).

Risultati immagini per l'uomo senza passato kaurismaki fotoDifficile dire (ma che importa?) se L’uomo senza passato sia l’opera più compiuta di questo cineasta autore di tanti film sublimi, che dichiara di guardare a Yasujiro Ozu, Robert Bresson e Luis Buñuel e il cui cinema è stato spesso, giustamente, accostato a quello di un altro magnifico esponente del minimalismo: Jim Jarmusch, principe dei registi indie statunitensi. Il motivo del grande successo di questo film è forse da ricercare in una trama più compatta, più “costruita”, rispetto a buona parte dei film precedenti dove talvolta la sceneggiatura sembra quasi un canovaccio e gli attori sono spinti all’improvvisazione come nello splendido Calamari Union, opera seconda del regista, girata nel 1985, in cui i ventuno personaggi del film sono talmente poco caratterizzati che portano tutti lo stesso nome: Frank.

L’uomo senza passato è l’ennesima incursione del regista finnico nel mondo della classe operaia, universo osservato con rispetto e reale interesse, già mirabilmente rappresentato in opere precedenti come Ombre in paradiso, Ariel e La fiammiferaia, la cosiddetta “trilogia dei perdenti” o, come ha scritto a ragione qualcun altro, “trilogia proletaria”. Queste opere vedevano al centro personaggi ai margini, vittime di una società violenta, nei confronti della quale non restavano che due strade: la fuga verso un altrove mai visto, un paradiso immaginario (l’Estonia di Ombre in paradiso, il Messico di Ariel), oppure la vendetta, come nel dolente La fiammiferaia, opera di grandissimo rigore estetico e morale che non può che rimandare al cinema del maestro Robert Bresson.

Anche il protagonista de L’uomo senza passato, che in seguito ad un pestaggio, non ricorda più la sua identità, scopre poi di essere (stato) un operaio, un saldatore, attraverso un gesto che gli ricorda il proprio passato lavorativo. Ma, a differenza degli altri film, e più similmente al successivo Miracolo a Le Havre, a tutt’oggi l’ultimo film del regista, Kaurismäki sceglie la levità della fiaba, la leggerezza, il tocco della grazia e una dolce e quasi gaia malinconia che genera un anomalo ma perfettamente riuscito incontro tra Karl Marx e Frank Capra. Opera aperta, dove è possibile incontrare il melodramma alla Douglas Sirk, la commedia alla Preston Sturges, e persino il grande romanzo sulla ricerca dell’identità che aveva uno dei suoi modelli più celebri nel pirandelliano Fu Mattia Pascal, L’uomo senza passato è un film che ha la sua grandezza in questo suo farsi ostinato portavoce di un romanticismo ormai irriproducibile, inno alle cose semplici della vita, alle piccole comunità che vivono fuori del tempo, orgogliosamente sorde ai richiami della Storia. Perché forse ai personaggi che affollano il cinema kaurismakiano poco importa che vi siano un cielo o un inferno: quel che conta è bersi qualcosa con gli amici aspettando le luci della sera.

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