Pearl Jam, Last Kiss – Berlin 2006

di Alfonso Tramontanto Guerritore

La notte dell’ultimo dell’anno tutto precipita. Persino la volontà ferrea di una adolescente pronta a rompersi, sotto i colpi ostinati del desiderio del suo fidanzato. Lui la vuole come non mai, e per questo ha pronto un piano perfetto. Lei cederà, come cede una sbarra al seghetto. Stringerà le sue braccia, sentirà dolore e piangerà. Di gioia. Bagnando i sedili, il terreno, il pavimento di un garage. Il ragazzo attende il sonno alcolico del padre, zuppo di spumante, ruba le chiavi e parte. Va a prenderla sotto casa, dove il disastro avrà una voce acuta, con la foga a mischiare i due corpi nel posto peggiore per essere felici. Dove il sangue sporcherà la finta pelle dei rivestimenti. E i polpastrelli sui vetri, e l’odore di saliva e tutto il resto. I due respirano forte e cercano il buio adatto. A questo punto la storia prende le sorti dell’amore e si diverte, alle sue spalle, come uno scrittore ubriaco, preparando tre diversi finali. Nel primo l’auto schianta contro un paracarro celato dal buio, uccidendo solo uno dei due sedicenni, che sono presi da un momento e neanche se ne accorgono. Nel secondo, lui la uccide per gelosia. La ragazza stacca la bocca dalla sua e gli confessa il segreto. Vuole togliersi un peso, perché non è successo niente. Nel terzo, l’intimità della prima volta viene violentata da un maniaco, più o meno ubriaco, più o meno serial-killer, deciso a tornare a casa con lo scalpo dei due ragazzini. La sola cosa in comune tra gli epiloghi, scritti durante la lunga e solitaria notte di vigilia, in una stanza lontano da feste e da balli affollati, è un bacio.  Immaginato nel silenzio, messo con cura sul foglio.  Un contatto, l’ultimo, per chiudere una storia. Nessuno ha un titolo migliore.

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