SERATA CON NOIA

di Eliana Petrizzi

L’errore è stato credere che la serata potesse essere diversa dalle altre della serie. E invece, ancora una volta la beffa mi ha punita per non essere rimasta a casa, soffrendo della curiosità per cosa mi sarei persa, piuttosto che del disgusto per ciò che effettivamente è stato.

La sala convegni è una scatola dipinta coi colori che si usano per consolare ospedali e luoghi atopici. In sala, venti persone, età media sessant’anni: presidenti di club prestigiosi, poetesse fallite, vecchi ronfanti, consiglieri pronti al lancio alle prossime elezioni. La direttrice del centro studi è una donnina dall’età imprecisata, per via di un carré di capelli chiari che la fa più giovane. Ma l’abito ghepardato su un corpiciattolo sfinito, la collana cinese e la scarpa da beghina non le lasciano scampo. Ritardo di un’ora di gran parte degli ospiti d’onore: il presidente di una Fondazione, uno studioso, alcuni poeti famosi. Uno in particolare, per sottolineare la sua celebrità si è accomodato nelle file di mezzo, a ripassare appunti all’ombra di un cappellino da tennis. Altri si sono aggiunti alla platea, per un totale di trentadue salme. Sulla porta, una vajassa lancia occhiate di brace al poeta molto famoso, rimpallandosi il chewing-gum da un lato all’altro della bocca. La direttrice comincia il suo saluto, sfoggiando una dizione che si crede perfetta, ma che inciampa presto nell’imbarazzante confusione tra consonanti, tipica di chi passa impunemente dall’uso del dialetto a quello dell’italiano. Eccola perdersi in dichiarazioni di stima verso gli invitati, sciorinando lodi sul talento lirico di questa e di quello. Poi finalmente smette. Il presidente della Fondazione dice cose di cui non importa niente a nessuno. Lo studioso parla per più di un’ora, senza accorgersi del tedio generato negli astanti, né del biasimo degli altri relatori, soprattutto del poeta molto famoso che a un certo punto, scocciato, esce a rilasciare un’intervista a una TV locale. Ascoltando le parole di questi individui, mi vengono in mente i preamboli di un film porno, più porno del porno nello spacciare per eventuale qualcosa che è di fatto già accaduto da subito nella sua esanime nudità. Nessuna di queste salme azzimate si è posta le sole domande che contano: perché ci esponiamo, perché realizziamo imprese, perché creiamo cose? Quanto di ciò che facciamo ha un valore intrinseco per il senso e la bellezza del mondo, e quanto invece non è altro che pula? Alla fine, immagino che i poeti molto famosi si siano sentiti utili a qualcosa o a qualcuno, che la direttrice si sia sentita stimata per il ruolo che un politico locale le ha dato, purché la smettesse di rompere con le continue richieste di riconoscimenti ‘per l’impegno culturale profuso sul territorio’; che lo studioso abbia ritenuto che gli astanti finiti in stato neurovegetativo già dopo pochi minuti dall’inizio dell’intervento, dovessero sopportare a oltranza il risultato dei suoi studi sul ruolo della poesia nel superamento del lutto; che i poeti intervenuti alla serata, leggendo componimenti a base di’ cuore, amore, principesse, anima, stelle’ ed altri strazianti luoghi comuni, abbiamo creduto di allontanare per un poco la solitudine degli incompresi in cui vivono, e a ragion veduta.

Poesia: parola abusata da tutti coloro che la fraintendono con nauseabondi versi sentimentali, in un ignavo flusso di sangue annacquato. Tutti questi poeti farebbero bene a mettersi alla prova, lanciandosi nel vuoto da un punto molto alto, se è vero, come scriveva Marina Cvetaeva, che “il Poeta, persino volando giù dal campanile rimedia un appiglio”.

 

 

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