“Precariopoli”, di Fabio Lastrucci: ragione e sentimento in precarietà

L’ingranaggio di Charlot ha preso una piega non del tutto prevista. Charlie Chaplin sarebbe ruzzolato fuori anzitempo dalla catena di montaggio. Pure Zeus e qualche divinità di riserva avrebbero fondato un luogo dove aprire le porte a dei collettivi per gli scontenti, magari una città, un insediamento urbano abitato dalle vittime dei contratti a termine, dei cocopro, delle rassicurazioni fatue e provvisorie di una padronanza di nuova generazione peggiore di quella vecchia. Una città dei precari, una Precaripoli. Ci ha pensato Fabio Lastrucci, scrittore napoletano col “senso dello squilibrio”, che, a mo’ di accordo extra sindacale, ha approvato il progetto per i lavori di una città della precarietà, della sua Precariopoli, che dà il titolo al nuovo libro edito dalla Milena Edizioni, nella collana Tascabili.

Nel romanzo di Lastrucci non ci sono maestranze, non compaiono cartelli con su scritto lavori in corso, nemmeno ingegneri e funzionari comunali. Persino la solita compartecipazione della camorra, onnipresente nelle misure catastali e nei sospetti, sembra essersela svignata. Pure il catasto non c’è più, rimosso da qualche decreto tagliasprechi. Gli edifici sono sovrapposti, intrecciati, dentro un tortuoso labirinto di periferia centralizzata.

La Precariopoli di Fabio Lastrucci esisteva già. Lui l’ha soltanto esibita. Dopo averla scovata, fotografata, esplorandola in lungo e in largo, si è accorto che la Precariopoli consustanziale all’urbe ufficiale era sempre esistita, e, come se non bastasse, s’era pure messa a predicare tra la folla, a fermare i ragazzini per strada, educandoli a un metodo nuovo di quegli ingranaggi che i “tempi moderni” hanno condotto fuori dalle fabbriche per sistemarli tra i ragionamenti, tra i sentimenti e i luoghi comuni, seduti affianco agli ultimi portierati, ai venditori ambulanti, alle ragazze facili e a quelle difficili, sovvertendo le gerarchie familiari, insieme ai pesi e ai contrappesi del carpe diem quotidiano. La Precariopoli di Lastrucci si è però trovata di fronte a un imprevisto. Quello di non aver tenuto conto del fatto che in una città come Napoli il suo progetto era stato già diffuso nell’educazione popolare, trafugato da qualche deposito anteguerra per mano di qualche ladro di destrezza inviato dalla Partenope degli stereotipi, la stessa Napoli che il giovane Mario vive senza altrettanta destrezza, travolto dall’inerzia collettiva e indolente di un gruppo di fuggiaschi della responsabilità, vinto e afflitto dalle delusioni di un manifesto di vita che durante l’adolescenza gli aveva promesso un lavoro sicuro, una famiglia e un amore eterno.

E invece? Invece i capitomboli del tempo e delle vicende umane gli hanno restituito una gioventù trascorsa a riflettere sui propri fallimenti prima ancora di avere tentato di realizzare qualcosa. Di fatto, il nuovo manifesto generazionale. Mario però non disfa la sua vita e allora coglie il suo carpe diem a dispetto dei più imbarazzanti disagi della sua età, ficcando dentro la sua rivoluzione pure le pulsioni adolescenziali, che a un certo punto, anziché gettarlo in frequenti mortificazioni, diventano la genesi dell’affermazione di se stesso. Mario ricicla l’acido lattico delle sue inutili fatiche e rimette in moto la muscolatura della sua dignità. Il protagonista della Precaripoli di Lastrucci guarda in faccia al suo sfondo metropolitano e, chiacchierandoci, fa spazio alla sua sensibilità.

Un gruppo di squattrinati, un padre che arrotonda vendendo bruscolini alla stazione, un anziano signore che racconta storie inverosimili e dà lezioni sulle donne, e un concorso per titolisti dei film hard. I disagi, i tentativi, le superstizioni, i fallimenti e le speranze. “Precariopoli” è il microcosmo dentro una tenera e scanzonata babilonia della modernità. A Precariopoli non esistono sensi vietati, perché niente è consentito.

Basta solo scovare gli angoli dove ritrovarsi, soprattutto a dispetto di quelle ipocrite sovrastrutture che sono il fondo subdolo di un sistema di ingranaggi che in una città come Napoli non dovrebbero creare nessun effetto sorpresa, sennò a cosa è valso il rischio di quell’anonimo Prometeo che rubò il progetto di Precariopoli per diffonderlo prima del tempo? Come ha scritto Guido Ceronetti, “Pure la salute è uno stato precario che non promette niente di buono”.

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