I bisnonni di Dylan Dog, cent’anni di indagini nell’occulto (quarta parte)

Il mondo del giallo è vasto e ricco di personaggi, una moltitudine di detectives che esplorano ogni sfumatura del poliziesco spaziando dalla ragione pura fino alle frontiere dell’impossibile. Sappiamo che lo sposalizio tra i due temi ha dato vita a un folto gruppo di irregolari, operatori dal piglio scientifico che sanno “sporcarsi le mani” con la magia per addentrarsi in territori più imparentati alla psicologia del profondo che al crimine. Per loro non si rivela sempre opportuno studiare l’incubo con la lente d’ingrandimento di Holmes, visto che la logica talvolta non è in grado di spiegare l’origine di minacce provenienti da memorie ancestrali, o dai più oscuri recessi della mitologia. Risulterebbe quasi implicito vederli provenire tutti da filosofie ermetiche, per trattare il mistero con la dimestichezza e il rispetto tipico degli iniziati.

 Bisogna tener conto, però, che le serie nate sulle grandi tirature dei magazine popolari si rivolgono a un pubblico affamato di storie. Un tipo di lettore che vuole sorprese, avventure e suspance, poco importa se la collocazione del genere si allontana dai canoni ortodossi del gotico. L’esempio del Moris Klaw di Rohmer diventa quindi lampante, dimostrando che in assenza di fantasmi veri e propri la suggestione di un intreccio ben congegnato può dare brividi a volontà. In qualche caso, pure corteggiando la fantascienza, se necessario.

 Nel clima proiettato verso la modernità dei ruggenti anni ’20, gli eroi della narrativa regalano azione e rivaleggiano con i serial cinematografici, un intrattenimento nato nell’inizio secolo come la risposta dello schermo al feuilleton. Questi ingredienti alimentano un personaggio dalla storia editoriale poco lineare, passato dalla Germania all’Olanda e approdato poi in Belgio e in Francia nella sua versione definitiva. Si tratta della “risposta americana a Sherlock Holmes” conosciuta col nome di Harry Dickson.

 Nato nel 1907 sui periodici Berlinesi della Verlagshaus, Dickson esordisce in veste di clone non ufficiale del personaggio di Conan Doyle. Dopo un rodaggio durato vent’anni, si smarcherà poi dall’emulazione assumendo identità e caratterizzazione attraverso la versione francofona commissionata dall’editore Hip Janssens allo scrittore belga Jean Ray nel ’27. È l’inizio di una carriera longeva.  Nonostante l’origine ingarbugliata, la nuova rotta del personaggio non ne inficia comunque il successo, permettendogli di sopravvivere a numerosi cicli narrativi, giunti fino al ventunesimo secolo in nuove riscritture e adattamenti fumettistici.

 Chi è Harry Dickson? Americano di nascita ed educato in Inghilterra, il detective risolve i suoi primi casi da studente assumendo in breve tempo lo status di investigatore di professione, spesso per intessere collaborazioni con Scotland Yard come il suo discendente Dylan Dog. Lo aiuta l’aspetto longilineo e fascinoso di gentiluomo, supportato dall’immancabile pipa e da un giovane assistente, Tom Wills, che ne è la versione più irruenta e muscolare. Per quanto stereotipato nella raffigurazione, Dickson vive grazie all’apporto di Jean Ray avventure inclini al fantastico, scivolando non di rado in stilemi di tipo fantascientifico e pulp.

 Supercriminali, scienziati pazzi, mostri e creature mitologiche sono i suoi abituali antagonisti, in un delirio caleidoscopico in cui l’immaginazione non trova freni. Possiamo quindi vederlo affrontare enigmi dal taglio poliziesco, oppure incontrare figure irreali come mummie babilonesi viventi, o divinità assetate di sangue. La fitta periodicità e il successo dei suoi fascicoli richiedono infatti un ricambio rapido di spunti, per cui la varietà dei temi, pur intaccando la credibilità dei plot, attinge a cliché quali la medusa de La Résurrection de la Gorgone o il Conte Dragomin, ricalcato sul modello di Stoker.

 L’editore Fleuve noir lo ripropone in un ciclo di nuove avventure nel ’96, scritte da Gérard Dôle e con le Editions Malpertuis Harry Dickson continua a sedurre il pubblico attraverso i suoi “dossiers segreti” scritti da Brice Tarvel. I toni sono sempre stupefacenti e densi di intrecci fitti di colpi di scena. Sarà per questo che il fumetto e la sua “linea chiara” se n’è appropriato negli albi dei belgi Vanderhaeghe e Zanon riproponendolo per la Dargaud con il mix di spionaggio, avventura e fantastico che ha reso famosi i Blake e Mortimer di Jacobs.

 La speculazione filosofica, i simbolismi e i mezzitoni letterari hanno lasciato il campo a una figura più schematica, ma duttile, in grado di cavalcare le mode e le generazioni passando di mano in mano, per animare anche gli anni ’90 e 2000 col fascino delle sue avventure.

Passa il tempo, ma gli anni ’30 di Dickson continuano ad avere nuove ombre su cui indagare.

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