‘Oppenheimer’ di Christopher Nolan, ovvero come imparai a non preoccuparmi e a sganciare la bomba

Durante la Seconda guerra mondiale, il generale Groves arruola il geniale fisico J. Robert Oppenheimer per guidare il progetto top secret denominato “Manhattan”. Oppenheimer, insieme a una squadra di scienziati impiega circa tre anni a sviluppare e progettare la bomba atomica. Oltre questa direttrice narrativa, il film ne segue altre due: l’interrogatorio davanti al Senato del politico e imprenditore Lewis Strauss, sostenitore e poi acerrimo nemico dello scienziato, e quello dello stesso Oppenheimer davanti a una Commissione, dove egli deve rispondere alle accuse di essere stato membro del Partito Comunista [sinossi].

Dopo mesi di battage pubblicitario, il 23 agosto è arrivato nelle sale italiane, decisamente in ritardo rispetto a buona parte del resto del mondo, il dodicesimo lungometraggio del britannico (ma statunitense per parte di madre) Christopher Nolan, e gli incassi sono stati sin da subito eccellenti, con oltre due milioni di euro raggranellati al termine della prima giornata di proiezioni. Un risultato leggermente inferiore all’altro blockbuster Barbie ma in realtà persino più ragguardevole e impressionante dal momento che, a differenza del film di Greta Gerwig, Oppenheimer ha una durata di tre ore, un argomento assai più ostico e una fascia anagrafica di pubblico infantile su cui non poter fare affidamento. La campagna pubblicitaria, che ha compiuto un intelligentissimo e raffinato lavoro di marketing, attraverso la creazione del neologismo “Barbenheimer”, gustosa crasi tra i titoli delle due pellicole, ha forse contribuito a spingere ancora di più un’opera già di per sé attesissima, come del resto ogni nuova sortita dietro la macchina da presa dell’autore di Memento, della trilogia del Cavaliere Oscuro, di Interstellar.

Ennesimo film-evento di Nolan, dunque, Oppenheimer appare fin da subito come un lavoro che, per quanto perfettamente nelle corde del regista, scompagina decisamente le carte perché fa a meno della magniloquenza visiva e tematica delle opere precedenti a favore di una narrazione che, pur senza rinunciare a “giocare” con il tempo e a intrecciare più linee di racconto e a immagini potenti (ma con effetti speciali usati in maniera più parsimoniosa), appare estremamente rigorosa e meno debordante del solito, spesso interamente costruita sui primi piani del protagonista (un Cillian Murphy eccellente, in quello che è con tutta probabilità il ruolo della vita), con la macchina da presa che sembra impegnata a scandagliare i recessi più profondi della sua anima e con numerose sequenze di interni, dominate da un dialogo incessante e fittissimo. Il ritmo è anche qui martellante ma la scansione dei vari piani temporali contiene una forza superiore e quasi inedita per Nolan, almeno rispetto ai più recenti Interstellar, Dunkirk e Tenet. Per quanto concerne la musica dello svedese Ludwig Göransson, elemento primario e onnipresente nella narrazione, essa è stata da taluni considerata eccessivamente tonitruante e invasiva, tale che in alcune sequenze arriva quasi a coprire la voce degli attori: in realtà, il commento musicale sembra assumere valore e significato se si considera tutta la pellicola una sorta di sinfonia per immagini, parole e suoni, che si mescolano e si integrano con indubbia efficacia.

Oppenheimer è un’opera densissima e stratificata, dalla tensione sempre altissima, capace di catturare costantemente l’attenzione dello spettatore, pur subissato, oltre che dal commento sonoro, dalla continua spiegazione di complesse formule di fisica quantistica. Come sottolinea la citazione in esergo che apre il film, ripresa dal titolo della biografia dello scienziato scritta a quattro mani da Kai Bird e Martin J. Sherwin (American Prometheus: The Triumph and Tragedy of J. Robert Oppenheimer), Robert J. Oppenheimer rappresenta una  sorta di Prometeo americano, il titano del XX secolo che scopre il fuoco che può essere generato dalla Bomba A. Ma il “secolo breve” è anche quello della morte di Dio e del trionfo del nichilismo più estremo e disperato: per questa ragione, la punizione di Oppenheimer gli verrà elargita non da dèi silenti, e probabilmente assenti, bensì in primis dalla sua coscienza e, conseguentemente, dal processo politico intentato contro di lui da un Potere che, dopo averne sfruttato il talento, lo condanna a una marginalità molto vicina all’irrilevanza.

“Ora sono diventato Morte, distruttore di mondi” – esclama Oppenheimer al termine della magnifica sequenza del Trinity Test (un momento di cinema assoluto, destinato a entrare negli annali), l’esperimento preliminare tenutosi a Los Alamos la mattina del 16 luglio 1945, che fu propedeutico al lancio, tre settimane dopo, dei due ordigni su Hiroshima e Nagasaki i quali, si calcola, causarono la morte di circa 200.000 esseri umani, tutte vittime civili. Si tratta di una citazione della Bhagavadgītā, testo sacro degli induisti contenuto nel grande poema epico del Mahābhārata, che riporta le parole e il travaglio interiore di Krishna prima di una battaglia in cui avrebbe dovuto sterminare migliaia di persone, alcune delle quali di sua diretta conoscenza.

In quello che è sicuramente il suo film più politico, Nolan non si limita a raccontare la nascita di un evento tragicamente cruciale per la storia del mondo ma delinea con grande lucidità e senza sconti l’immagine di una nazione, gli Stati Uniti d’America, che si sente costantemente in guerra e sotto minaccia, più preoccupata di dare la caccia a comunisti veri o presunti che di assumere il ruolo-guida per garantire un futuro di pace dopo la mattanza del secondo conflitto mondiale. In questo senso, appare di grande vigore icastico l’agghiacciante sequenza, che potrebbe rientrare a suo modo in un ideale campionario di cinema horror, in cui il regista ci mostra l’esultanza dello staff del Progetto Manhattan all’annuncio, da parte di un Oppenheimer già scisso tra entusiasmo e rimorso, del “successo” ottenuto dal lancio delle due bombe. Il presidente Truman (interpretato da Gary Oldman, in un cameo non accreditato), l’industriale e politico Lewis Strauss (notevole l’interpretazione di Robert Downey Jr., così come il lavoro di make-up sul suo volto), il Ministro della Guerra sono descritti, invece, come maschere grottesche e luciferine, che decidono a caso e a tavolino le due città su cui dovrà essere sperimentata la potenza della nuova bomba creata a Los Alamos. Gli dèi dell’Olimpo sono stati rimpiazzati da mediocri e sadici burocrati dell’orrore che, a differenza della divinità della famosa citazione di Albert Einstein, giocano a dadi con il pianeta Terra e con le vite dei suoi abitanti. Per questo, anche per questo, Oppenheimer è un film atroce e bellissimo.

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OPPENHEIMER (2023) Trailer ITA #2 del Film di Christopher Nolan – YouTube

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