Torino Film Festival giorno 5, Vitalina Varela di Pedro Costa è un film immenso

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Non si può che uscire frastornati da una visione ipnotica come quella di Vitalina Varela, nuovo straordinario parto creativo del regista portoghese Pedro Costa, vincitore del Pardo d’oro all’ultimo Festival di Locarno (a cui va aggiunto il premio all’indimenticabile protagonista). Il film ha avuto la sua prima mondiale al festival elvetico dopo che la Mostra del Cinema di Venezia aveva rifiutato di inserirlo in concorso perché, secondo il direttore Alberto Barbera, si tratterebbe di un cinema per pochi, troppo autoreferenziale e troppo ostico. Un cinema poco adatto, forse – aggiungiamo noi – per la direzione che Barbera ha inteso indicare per la Mostra, che vede lo strapotere di Hollywood, lo sguardo puntato verso porzioni circoscritte di mondo e l’apertura a Netflix.

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Vitalina Varela è la storia vera, interpretata dalla stessa protagonista, di una donna che ha trascorso tutta la sua vita lavorando sulle montagne dell’isola di Santiago, a Capo Verde. Vitalina sposò Joaquim, un ragazzo del suo villaggio che, come la maggior parte dei giovani capoverdiani, nel 1977 lasciò il suo Paese per andare a Lisbona con la promessa di un lavoro come muratore. Lei invece rimase a Capo Verde. Con i suoi primi guadagni, Joaquim comprò una baracca a Couva da Moura, nei sobborghi della capitale portoghese. L’uomo scrisse un paio di lettere a Vitalina promettendo di comprarle un biglietto aereo per raggiungerlo in Portogallo, senza però mantenere la promessa. Nel giro di 35 anni, Joaquim tornò in patria dalla moglie soltanto due volte: durante la sua prima permanenza, durata 45 giorni, i due coniugi costruirono da soli una casa dove però Joaquim non abiterà mai. Solo alla notizia della sua morte, Vitalina riesce a recarsi a Lisbona ma, a causa di lungaggini burocratiche per i documenti, quando Vitalina sbarca all’aeroporto di Lisbona senza portare con sé neanche le scarpe, l’uomo è giù stato sepolto da tre giorni.

ORisultati immagini per vitalina varela filmpera visivamente magnifica, grazie alla collaborazione del fidato direttore della fotografia Leonardo SimõesVitalina Varela è un susseguirsi di splendidi quadri pittorici, in cui domina una tinta che rimanda alle tele di Caravaggio, in cui il regista segue i personaggi mentre si aggirano come fantasmi dentro gli scenari desolati e in rovina delle baracche alla periferia di Lisbona. Costruito su grandi dicotomie, il film lavora magistralmente sugli effetti di chiaroscuro ed esplora il rapporto e il contrasto tra due luoghi, uno immanente (l’abitazione-baracca di Couva da Moura) e l’altro ormai distante (Capo Verde), evocato dai ricordi di Vitalina e che compare solo per brevi istanti nel finale. E anche le lingue sono due: quella parlata dalla protagonista, e il portoghese che la donna non ha mai imparato a padroneggiare e che costituisce l’unico idioma intelligibile dai morti.

E’ cinema di fantasmi, dunque, Vitalina Varela: quello di Joaquim, inutilmente evocato da Vitalina durante i suoi soliloqui, ma soprattutto quelli delle presenze ai limiti dell’umano che invadono l’abitazione di Vitalina, muovendosi come zombi dentro un paesaggio spettrale e bisbigliando come anime in pena che impongono la loro presenza. Vitalina Varela è animato  da una doppia pulsione, sia sociale che estetica: la prima trae la sua forza dalla scelta, da parte di Costa, di dare voce a una sorta di estremo e quasi estinto “Quarto stato”, la seconda sta nel lavoro compiuto sull’immagine che svolge perfettamente uno dei compiti per cui il cinema è nato, e cioè quello di purificare lo sguardo.

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Dolente, amarissimo, struggente e al contempo dolcissimo, Vitalina Varela è il racconto di una dissoluzione, il resoconto di vite oscure, immerse letteralmente nell’ombra dove il lutto non sta solo nell’aver perduto per sempre l’unico amore possibile ma consiste anche nell’avere smarrito la fede in Dio, come si vede nello splendido personaggio del sacerdote, interpretato dall’attore Ventura, protagonista anche del precedente lavoro di Costa, Cavallo Denaro. Il Creatore appare infatti come un essere lontanissimo e irraggiungibile, nel quale tuttavia, dopo un tortuoso percorso dell’anima, si può finire per riconoscere un proprio fratello, accomunato dal medesimo tradimento subito dalla protagonista. Infatti, come sentenzia il prete in uno dei dialoghi del film, il bacio di Giuda al Cristo nell’orto del Getsemani rese scura per sempre la guancia toccata dalle labbra del traditore, metafora di quella metà del mondo immersa per sempre nel Male. Vitalina Varela è senza dubbio alcuno uno dei più grandi film dell’anno, un capolavoro limpido.

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