Venezia 76, giorno 1: “Le verità” di Kore-eda apre (bene) il Concorso

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Primo giorno di proiezioni alla Mostra del Cinema di Venezia e già si accendono le polemiche per le dichiarazioni della regista Lucrecia Martel, Presidente della Giuria che dovrà assegnare i premi di questa 76° edizione, compreso naturalmente il Leone d’oro. Durante la conferenza stampa di apertura, infatti, la Martel ha detto che non sarebbe andata al gala di presentazione di J’accuse, il film di Roman Polanski in programma nei prossimi giorni, per non essere costretta ad applaudire. Il riferimento è alla condanna comminata al regista polacco negli anni ’70 per la violenza sessuale perpetrata nei confronti dell’allora tredicenne Samantha Geimer. Per quanto odioso possa essere il crimine commesso da Polanski, le dichiarazioni della cineasta argentina sono apparse a dir poco fuori luogo, rivelando la sua mancanza di imparzialità, requisito fondamentale per qualsiasi giurato. L’opinione di chi scerive è che, in questa situazione e con i sentimenti che prova, la Martel dovrebbe fare un passo indietro e dimettersi dal ruolo assegnatole.

Intanto, Le verità di Hirokazu Kore-eda (plurale aggiunto dalla distribuzione rispetto al singolare del titolo originale), nelle sale italiane a partire dal 3 ottobre, ha aperto oggi il Concorso, ricevendo una buona accoglienza alla prima delle due proiezioni stampa della mattina. La storia ruota intorno a Fabienne (Catherine Deneuve), una star del cinema francese dal carattere tutt’altro che facile, circondata da uomini che la adorano e la ammirano. Quando pubblica la sua autobiografia, la figlia Lumir (Juliette Binoche) torna a Parigi da New York con marito (Ethan Hawke) e figlia. L’incontro tra madre e figlia si trasformerà velocemente in un confronto: le verità verranno a galla, i conti saranno sistemati, gli amori e i risentimenti confessati.

Image result for la verità kore-edaQuindicesimo lungometraggio di finzione di uno dei più grandi registi contemporanei, fresco di tardiva consacrazione con la Palma d’oro ottenuta lo scorso anno al Festival di Cannes con lo splendido Un affare di famiglia, Leverità segna un momento di svolta nel percorso cinematografico del cineasta nipponico che, per la prima volta nella sua carriera quasi trentennale, lascia il Giappone per andare a dirigere un film in Europa, in una Parigi resa abbastanza anonima dalla decisa predominanza di sequenze d’interni. Proprio a Venezia, tra l’altro, Kore-eda portò il suo film d’esordio, il sublime Maborosi, vincitore di ben due premi (sceneggiatura e fotografia) per poi tornare al Lido in una sola occasione, due anni fa, con The Third Murder, giallo anomalo e sottovalutato che rompeva il cliché di Kore-eda regista di “film sulla famiglia”.

Image result for la verità kore-edaIn occasione della sua terza presenza a Venezia, Kore-eda ha tirato fuori dal cassetto una propria commedia, imperniata su un’anziana attrice che si accingeva a percorrere il suo viale del tramonto, un progetto al quale aveva lavorato nel 2003, per poi abbandonarlo. Fin dalla scelta del soggetto si avverte la volontà, da parte del regista, di non rischiare troppo affidandosi a un testo ripescato piuttosto che lanciarsi in qualcosa di completamente nuovo. A ben vedere, l’origine teatrale del film appare evidente fin da subito: Le verità è un’opera soprattutto di scrittura e si presenta come un gioco raffinatissimo in cui verità e menzogna, realtà e rappresentazione, cinema e vita vanno continuamente a mescolarsi e a sovrapporsi in maniera assolutamente intrigante, con molti punti di contatto con il recente, bellissimo, Sils Maria di Olivier Assayas, interpretato proprio da Juliette Binoche.

Image result for la verità kore-edaA rendere la materia ancora più affascinante contribuisce una duplice circostanza: da un lato, tutti i personaggi principali sono coinvolti con il mondo del cinema (Lumir è una sceneggiatrice, suo marito un mediocre attore di serie TV di second’ordine, nel film c’è l’importante figura dell’agente della protagonista), dall’altro assistiamo a un continuo sdoppiamento (talvolta addirittura a un triplicamento) dei ruoli in virtù del fatto che Fabienne è impegnata sul set di un film di fantascienza, interprete di un personaggio a dir poco singolare che la rende, al contempo, madre e figlia, non molto diversamente da quello che avviene nella realtà nei suoi rapporti con Lumir. Allo stesso tempo, mentre il mondo fuori dal set, quello cioè dove in teoria le relazioni umane dovrebbero presentarsi con minore ambiguità, depurate da ogni finzione, diventa esso stesso un teatro in cui la vita viene recitata in maniera persino esplicita e dichiarata (con tanto di scrittura delle “parti”), quello della finzione cinematografica si accende di lampi e guizzi inaspettati che fanno crollare le numerose barriere issate dai personaggi, portandone alla luce tutta l’essenza.

In questo modo, il dispiegarsi di questo gioco rende la “verità” del titolo un concetto sfuggente e inafferrabile, la pietra d’inciampo che i protagonisti del film cercano continuamente di evitare. La verità forse non esiste: tanto vale allora allontanarla o stravolgerla. Per questa ragione, il ricordo è quasi sempre sfumato, le vicende del passato possono anche essere piene di omissioni perché, anche quando narriamo noi stessi, siamo di fronte a un pubblico, sempre, e le persone della nostra vita diventano personaggi le cui parti, se scabrose, devono essere tagliate o modificate, naturalmente in meglio.

Tuttavia, a differenza di quanto potrebbe sembrare leggendo il paragrafo precedente, il discorso è condotto da Kore-eda con levità e leggerezza: il tono è, fin, dalle prime battute, quello da commedia umana, con momenti di grande divertimento (sebbene non manchino picchi emotivi) e, tocca ammetterlo, con  alcune parentesi sfocate, soprattutto nella parte centrale. Inoltre, più di una debolezza investe la scrittura dei personaggi maschili, pur tenendo conto che La verità si presenta come un’opera dove le figure femminili sono collocate al centro della scena (oltre alle due ottime protagoniste, da segnalare anche l’esordiente Clémentine Grenier nel ruolo della piccola Charlotte) e sono destinate a condurre il gioco. In questo senso, per quanto la mano di Kore-eda non manchi di farsi sentire, è difficile non vedere, nel personaggio del regista del “film nel film” contenuto ne Le verità, spesso scavalcato dalle improvvisazioni delle sue attrici in scena, una sorta di doppio dell’autore di Father and Son, ennesimo gioco di specchi di un’opera che, pur con qualche limite, resta densa, complessa e stratificata.

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