“L’amica geniale”, episodi 5-6: i luoghi della violenza
Il rione. La piazza, simbolo della città, della metropoli sognata. L’isola: il riparo, la fuga. Hanno una grande pregnanza i luoghi, nel penultimo dittico de L’amica geniale. Il rione, ripreso nell’incipit in campo lungo, tanto deserto da somigliare ad uno scenario da film western prima di una resa dei conti, in una serata di pioggia che precede, in casa Cerullo, la consegna dei doni dell’Epifania. E la violenza che ne segue, perché c’è chi si ribella e perciò merita solo il carbone e quindi non c’è pace, neppure in un giorno di festa. Il set “finto” del rione della periferia est, ricostruito a Caserta, lascia poi il posto a quello autentico di Piazza del Plebiscito, vista dall’alto, con le tante automobili parcheggiate davanti al Palazzo Reale, a sfregiarne il volto storico. Sembra un momento di riscatto per i “cafoni”, che abitano altri luoghi, e vengono perciò facilmente riconosciuti da chi quei luoghi li vive e li abita quotidianamente e che mal sopporta, ad un certo punto, le attenzioni divertite di Rino verso una ragazza di città. E allora scoppia la rissa, in cui persino i Solara, i nemici di sempre, intervengono a sostegno dei vicini in pericolo.
Non resta che la fuga per chi, come Elena, ha la fortuna di poterla compiere. E quindi l”isola, luogo di rifugio e di rigenerazione, il pezzo di terra staccato, bagnato dal sole e dal mare, la compagnia di persone che parlano altre lingue, praticano la gentilezza, come la signora Nella, sanno parlare di libri, suonare uno strumento musicale, e scrivono sui giornali, come Donato Sarratore e suo figlio Nino, il ragazzo amato segretamente da “Lenù”. Ma la violenza arriva anche lì, sotto le spoglie dell’apparentemente mite, cordiale e generoso Donato, proprio lui, fino a quel momento eletto da Elena a modello di comportamento e di umanità.
Lavora bene sulla topografia la regia di Saverio Costanzo e riesce almeno in parte a supplire ad una certa piattezza che intride buona parte del resto della messinscena in questo dittico che, pur tra momenti riusciti (molto buone, ad esempio, la caratterizzazione del personaggio di Donato Sarratore e alcune sequenze in casa Cerullo), non convince del tutto, soprattutto a causa della mancanza di naturalezza che si percepisce nella costruzione di molte sequenze. La recitazione, soprattutto nella parte giovanile del cast, continua a apparire troppo forzata e, più in generale, nella costruzione dei singoli momenti si sente l’artificio per cui è come se lo spettatore, salvo rari casi, avvertisse costantemente la presenza del set che circonda gli attori.
In questo senso, nonostante l’audacia di alcune scene (usiamo questo termine tenendo conto che si parla di una fiction in (quasi) prima serata su Raiuno) e lo sforzo di realismo, riscontrabile nell’uso del dialetto e in una rappresentazione per niente edulcorata della ferocia del mondo rappresentato, L’amica geniale rischia di condividere gli stessi difetti di tanti prodotti nostrani simili dove la confezione prende il sopravvento e l’emozione è costantemente trattenuta o smorzata dall’onnipresenza dei dialoghi. Pur non mancando momenti molto riusciti, come la scena dell’abuso sessuale subito da Elena da parte di Donato, permane l’impressione già evidenziata nella recensione al dittico precedente che l’armamentario visivo e cinematografico sia come castrato dall’adesione al testo letterario, un’impressione alimentata anche dalla presenza invasiva della voce fuori campo di Alba Rohrwacher che interviene spesso fuori luogo con alcuni inserti (uno fra tutti, la citazione delle pentole che collega la vicenda di Lila alla morte di Achille Carracci) che rischiano di risultare poco comprensibili a chi non ha troppa familiarità con il romanzo. Insomma, ancora una volta il problema sembra nascere dal malinteso concetto di “fedeltà” al testo che dovrebbe mantenerne lo spirito ma essere capace di mettere in discussione in maniera critica la lettera attraverso il diverso immaginario che si ha a disposizione e il cui centro è costituito dalle immagini.
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