No babies, thanks! (Prima parte)

Il presente contributo è diviso in tre parti. La seconda e la terza parte verranno pubblicate rispettivamente lunedì 25 settembre e lunedì 2 ottobre.

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di Eliana Petrizzi

Quella che segue è una testimonianza ilare e un po’ irriverente, con cui ho voluto rappresentare e difendere le idee – spesso taciute per imbarazzo o per prudenza – di molte donne che, pure sane di corpo e di mente, non hanno alcuna voglia di mettere al mondo dei figli.

1. La mia migliore amica mi rassicura che andrà tutto bene, che è la cosa più naturale del mondo, che sarà un’esperienza meravigliosa, che se non lo farò diventerò una donna stagnante e che me ne pentirò per tutta la vita. Ma la mia amica non mi ha convinta. Nessuno pensa con rispetto alle non madri per scelta. Stare da sole obbliga a discese speleologiche dure. Le cose che si scoprono di sé raramente sono confortanti. Si crede che stare da sole significhi distrarsi: falso. In compagnia ci si distrae, ma da sole si è nude, senza scampo e senza ripari. Alle donne che non hanno voluto avere figli, nessuno perdonerà mai la diserzione al dovere della specie. Per quanto di buono faranno nella vita per sé e per gli altri, verrà sempre detto loro che l’avranno fatto per lenire la propria immaturità, per vedersi condonato qualche vecchio trauma o per curare una strisciante depressione. Per le mie amiche madri, io sono un’infantile eccentrica senza dimora affettiva, una che rimanda, che perde tempo. Mi lasciano intendere che tutto quello che si è vissuto fino a prima del concepimento non ha in fondo alcun valore, che è la maternità l’unica esperienza degna nella vita. Al pari delle mistiche, si scoprono abitate da qualcosa di potente che non ammette dinieghi, convinte che generare un nuovo essere sia l’unico modo per prendersi cura del mondo. Ma mi chiedo: se tutti dichiarano che in giro c’è troppa gente inutile, come mai nessuno pensa che quel qualcuno in più potrebbe essere – oltre che se stesso – proprio suo figlio? E poi, non è sempre vero che le madri sono donne migliori delle altre. Spesso sono creature che salgono la china della vita piene di carichi, tanto da non avere più la forza di alzare lo sguardo, di rendersi conto del paesaggio intorno e di tutte le cose che cambiano lungo il percorso. Per molte, il figlio non è stato una finestra aperta, ma uno specchio ustorio. A me, in tutta franchezza, i bambini non piacciono. Da piccola ho giocato con le bambole per pochi giorni, per passare subito a dinosauri e costruzioni. Preferisco i cuccioli animali, che impiegano pochi mesi per diventare autonomi, laddove a quelli umani occorre un tempo che supera spesso i quarant’anni. Senza considerare il fatto che solo un’esigua minoranza di homo sapiens è in grado di adoperare la propria intelligenza in maniera interessante e costruttiva. La maggior parte la impiega di fatto per raggiungere gli stessi scopi degli animali, con l’unica differenza che gli esseri umani lo fanno attraverso linguaggi, suppellettili e tecnologie più o meno avanzate, e per scopi non altrettanto necessari. Tutte le donne fanno figli: alla natura non interessa che la parte bassa del corpo. Per questo si dice che per mettere al mondo un figlio ‘non ci devi pensare’. Ed ecco anche spiegato perché nascono figli di solito più felici nei paesi poveri. La natura li premia, perché il mondo è esattamente come loro: casuale, pieno di bellezza, di semplicità, di calore e di violenza. Quale missione giustifica a pieno un’esistenza? Oltre all’amore per un figlio, esistono senz’altro nella vita molte forme d’amore degne di percorso e di racconto, che puntano verso altre frequenze, altre forme di fatica e di dono. Curioso resta il fatto che la maggior parte degli uomini e delle donne che hanno cambiato in meglio la storia del mondo non avessero figli. Capaci di faticare e di educare anche senza parto, hanno saputo esprimere la loro genitorialità in un modo diverso da quello che porta tutte le madri a liquefarsi quando si riconoscono nel taglio degli occhi del loro bambino, o si accorgono che il figlio ha la stessa reazione che avevano loro da piccole davanti a un sapore o a un rumore. A ben vedere, non c’è granché di nobile nemmeno nel concetto di famiglia. Molte famiglie sono società costituite per crescere figli allo scopo di non dover vivere da soli. Ma ecco la trappola: laddove l’amore per un uomo o per una donna ammette eufemismi e cancellature, quello per un figlio è un monosillabo, l’unico argomento definitivo. Nella sua cecità, la creazione di sangue crea legami senza scampo. Io probabilmente morirò da sola, non avrò nessuno a cui lasciare la mia casa, i miei soldi e tutto quanto avrò costruito di importante nel corso della vita, e dovrò pure sperare di essere sempre in grado di lavorare e di badare a me stessa. Eppure, questo pensiero non mi dà una particolare angoscia. Mi pare anzi in perfetta sintonia con la mia visione della vita. A me sembra più fertile e sincero ciò che contraddice e che traballa, che deve essere rimpastato, cancellato, rifatto. Diffido delle dedizioni continuative, di quelle ricevute come di quelle da restituire. La vita per me si racconta meglio nell’indicibile, nell’irrimediabile, nell’assente, nel difetto che ne completa la perfezione.

2. Tra le cose che mi irritano, metterei senz’altro la retorica sui bambini. Tutti i bimbi sono belli, buoni, simpatici, amabili e puri: falso. Ci sono bambini belli, ma ce ne sono anche di brutti; a volte di una bruttezza che non fa nemmeno tenerezza, perché accompagnata dai segni inequivocabili di un’indole respingente. Ci sono bambini simpatici e bambini antipatici, bambini che profumano e bambini che puzzano. Ci sono bambini educati e bambini maleducati, e di certo un bimbo maleducato non è un bel bambino. La cosa che però tutti i bambini hanno in comune è l’innocenza, visto che ciò che fanno dipende dall’imprinting ricevuto dai genitori prima, e dall’habitat socio-culturale poi. Sere fa al ristorante, ho trovato una tavolata di circa trenta bambini dagli otto ai dieci anni, che festeggiavano un compleanno, i genitori nella sala accanto. Sorvolerei su come erano conciati, su come parlavano e di cosa, già così piccoli. Oltre a loro, in sala c’erano altre persone venute a mangiare una pizza in santa pace, almeno così avevano sperato. Impossibile descrivere la gamma di suoni striduli, acuti e a massimo volume emessi senza tregua dai bimbi, oltre a sedie e tavoli continuamente trascinati o sbattuti per terra. Ogni tanto un cameriere entrava a chiedere loro di abbassare la voce. Ovviamente, nessuno degli adulti che accompagnava l’orda degli infanti si è reso conto che quella non era casa loro, ma un locale pubblico dove è bene rispettare anche i diritti degli altri. A un certo punto, un’adulta è entrata e, guardando noi altri chiaramente infastiditi, ha detto sorridendo: “Che dobbiamo fare? Un poco di pazienza, siamo stati bambini anche noi.” E no, mia cara. Per fortuna non tutti i bimbi, né tutti i genitori sono uguali. Un bambino può essere molte cose, ma maleducato, incivile, rozzo e prepotente è un’altra cosa. E hai voglia a squittire accanto a tuo figlio: “Ma quanto sei bello! Ma come ho fatto a vivere prima senza di te!” Il sospetto è che avresti vissuto invano anche senza questo tuo figlio, evitando di generare il quale avresti contribuito nel tuo piccolo al miglioramento del mondo.

 

4 pensieri riguardo “No babies, thanks! (Prima parte)

  • 18 settembre 2017 in 15:17
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    articolo superficiale

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    • 20 settembre 2017 in 12:08
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      Almeno quanto questo commento. Almeno io ho provato ad argomentare.

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  • 18 settembre 2017 in 15:54
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    Cinica e spietata come serve…grazie.

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