Intervista a Germano Fiore e Francesco Saggese sul libro ‘109 finestre su noi stessi’
di Davide Speranza
Letteratura ed epidemia hanno camminato a braccetto nel corso dei millenni. La potenza della parola, dai tempi della letteratura greca, esprime la forma di strumento esorcizzante. Una sorta di lasciapassare per la vita eterna, non in senso individuale, piuttosto collettivo. Raccontare storie significa salvare pezzi di mondo e così quel che resta da fare all’umanità di fronte all’inevitabile catastrofe è lasciare un segno, la scrittura o l’oralità, entrare in un contesto di autoanalisi. Nel suo saggio La scienza dello storytelling, Will Storr scrive:
«L’imprevisto è il portale attraverso cui il pericolo ci piomberà addosso per tagliarci la gola. Paradossalmente, però, è anche un’opportunità. È la crepa nell’universo attraverso cui si insinuerà il futuro. Il cambiamento è speranza. È una promessa. Il sentiero verso un domani migliore. Di fronte all’inaspettato, vogliamo capire come interpretarlo».
Ecco allora che la possibilità di infilare lettere e parole e storie l’una dietro l’altra ci offre la possibilità di ordinare nuovi sensi in rapporto all’esistenza, alla vita come alla morte. Ovunque troveremo elenchi di poemi e romanzi partoriti da gente che ha saputo tradurre la paura in qualcos’altro, potremmo dire in “testimonianza”, cui faccia seguito la formattazione immaginifica della nostra condizione di “animali nella natura” in “cercatori di epifania”. Cesare Luporini nel suo Leopardi progressivo. Il pensiero di Leopardi. L’officina dello Zibaldone. Naufragio senza spettatore (Roma, Editori Riuniti, 2006) dice:
«Ma l’animale-uomo è dotato di immaginazione, componente essenziale della plasticità della sua natura e quindi della sua storicità. (Ciò che noi chiamiamo “ragione”, come distinta facoltà della mente, non è per Leopardi qualcosa di originario. Essa è derivata, una capacità acquisita come il linguaggio). Il combinarsi di desiderio vitale […] e di immaginazione produce una miscela straordinaria e pericolosa: il desiderio di una felicità senza limiti, immensa, infinita, ontologicamente impossibile – la “struttura del mondo” lo esclude – e inconcepibile intellettualmente. Ma indomabile nell’uomo, quando c’è vera vita. La fine della speranza è la disperazione. La fine del desiderio però è la morte nella vita».
Raccontare è un asintoto che tende a quella felicità, a quell’immaginare, da difendere a tutti i costi, un ineluttabile desiderio di sopravvivenza da tramandare alle generazioni che sopravvivranno all’apocalisse. Nell’elenco infinito di storie si potrebbe partire da Tucidide e dal Libro II de La Guerra Del Peloponneso, o Sofocle con il suo Edipo re, e giù a scalare: Il diario dell’anno della peste di Daniel Defoe, L’ultimo uomo di Mary Shelley, La Città Dolente di Axel Munthe, I Promessi sposi di Alessandro Manzoni, Morte A Venezia di Thomas Mann, Il morbo scarlatto di Jack London, La peste di Albert Camus, Io sono leggenda di Richard Matheson, Cecità di Josè Saramago, Nemesi di Philip Roth, arrivando a L’Aids e le sue metafore di Susan Sontag e Spillover di David Quammen. Ogni epoca ha avuto la sua pandemia, la sua guerra, che poi finisce sempre per diventare guerra a se stessi, e dunque il pretesto per dar forma al male collettivo. L’immaturità dei tempi che stiamo vivendo ha invece impedito – almeno per adesso – una fluida e copiosa letteratura che raccontasse la pandemia da Covid.
Dunque appare come una piccola isola il volume 109 Finestre Su Noi Stessi pubblicato per la Saggese Editori (Gianluigi Iovino è il fotografo del progetto, mentre Luca D’Argenio è l’illustratore). Più che un libro, un progetto di memoria, ideato da Umberto Flauto della Cooperativa Sociale Laboratorio dei Pensieri Scomposti (guidata da Domenico Giannino). Una raccolta di racconti-testimoni scritti durante la chiusura forzata del 2020. Gli autori sono le persone rinchiuse nella propria abitazione, la loro è una cronaca di quei giorni. 109 storie (e scatti fotografici) partite da una iniziativa social dal titolo Scrivo quindi Reggo.
Da Salerno, dalla Campania e altre città italiane sono arrivate micro novelle, episodi, confessioni. La redazione della Saggese ha selezionato 102 racconti, ai quali sono stati aggiunti gli scritti degli studenti, in particolare del Liceo Tasso di Salerno, 7 alunni che hanno chiuso il libro rappresentando l’ultimo capitolo, sui 14 previsti (tra cui Coraggio, orgoglio e speranza, Allegria ed ironia, Tristezza). La prefazione è firmata da Germano Fiore, direttore UOC Unità Operativa di Salute Mentale di Salerno all’ASL Salerno e docente di Psichiatria. Insieme al noto psichiatra e all’editore Francesco Saggese cerchiamo di entrare nel meccanismo psicologico di quei momenti e delle novelle pubblicate.
Professor Fiore che ruolo ha avuto l’arte della narrazione nel periodo covid?
La letteratura, il cinema, le arti in generale sono elementi che favoriscono l’elaborazione. Elaborare, non eliminare. Digerire, per poi evacuare in forma più sopportabile. Il problema è che se non le digeriamo, quelle immagini vengono pur rimosse ma restano lì, pronte a ripresentarsi. Se pensiamo a dopo la Seconda guerra mondiale, libri, film, opere d’arte furono sistemi di elaborazione dell’accaduto. Anche dopo l’11 settembre ci sono state profonde elaborazioni. Con il Covid è avvenuto il contrario. Non c’è stata questa forma di trasformazione artistica, perché la pandemia è stata il primo evento a potenziale traumatico in cui la narrazione era in diretta. Si assisteva continuamente ad una elaborazione. Questo ha fatto sì che non ci fosse una sublimazione dell’accaduto, ma una condivisione istante per istante che non ha garantito la possibilità di pensare le cose. Oggi non vediamo produzioni letterarie. Si ha la sensazione che sia stato già fatto, ma non è così. Si è avuta una cronistoria collettiva. Credo si continui a vivere con quel trauma non elaborato. Stiamo vivendo come se nulla fosse accaduto, come se avessimo rimosso. Un libro come quello di Saggese dovrebbe smuovere qualcosa. Un’opera in cui si fotografano le emozioni, i vissuti, dalla poesia al racconto breve, e che ci consente di rielaborare i nostri momenti all’interno di quel periodo. Mi hanno colpito alcuni racconti nei quali gli autori ricordano di come si stava bene durante la pandemia. Alcuni tessono le lodi di quei mesi, una vita lontana dalle frenesie quotidiane. La verità è che qualcosa non va nel nostro modo di condividere la società. Siamo esposti ai rischi della globalizzazione e dei mercati. Oggi con i dazi imposti dagli Usa facciamo un passo indietro. Questo processo inverso cui stiamo assistendo si lega all’epigenesi del covid che è un figlio della propagazione rapida dovuta all’iperconnessione che ha caratterizzato l’ultimo trentennio.
Che legame c’è tra Storia ed elaborazione della mente?
I processi storici funzionano come i processi psichici, per cicli di integrazione e disintegrazione. Il nostro star bene avanza, poi ci sono tempi di crollo e di nuovo momenti di integrazione. Questa dimensione individuale si riflette in maniera sistemica altrove, ad esempio sulle politiche e i governi. Abbiamo vissuto un grande periodo di integrazione, in cui non ci sono state guerre, in una dimensione di crescita economica, probabilmente adesso si affaccia un periodo di disintegrazione. Anche questo è un dispositivo psichico. C’è un film bellissimo, Il nastro bianco, nel quale si narra di una cittadina della Germania prenazista e di come tutto ciò che sia stato il nazismo era in nuce all’interno della popolazione tedesca. Quel ciclo era la naturale evoluzione della società di quel tempo. Dal piccolo si costruisce la storia.
In che modo questo libro può sbloccare i traumi?
Il libro della Saggese rappresenta un unicum, ci interroga, ci ricorda. È una occasione di ripensarsi e rivederci, per fare in modo che certe cose possano non accadere più, attivando un ciclo di integrazione. Uno psicanalista inglese, Wilfred Ruprecht Bion, sosteneva che la nostra mente si costruisce in base a due elementi, presenza e assenza. Il neonato ricostruisce la mente in base all’assenza del seno e non in base alla sua presenza. Quando viene a mancare, consente la nascita del pensiero all’interno del neonato. Per questo, oggi, l’intelligenza artificiale deve far timore, oltre che darci un senso di speranza. Se non affamiamo la mente, essa non evolve, se non affamiamo la nostra curiosità, essa muore. Se spegniamo questi elementi, spegniamo la capacità di progredire e di vivere, trasformandoci in consumatori e non in pensatori. Stiamo riducendo il pensiero. Tuttavia alla fine sopravvivremo. Le paure sono le stesse di quando è arrivata la televisione o quando si è passati dalla tradizione orale alla scrittura. Questi salti tecnologici determinano paure, ma sono convinto troveremo sistemi per organizzarci e non soccombere.
Francesco, un libro nato 5 anni fa. Che ruolo ha un editore come te in un’operazione del genere?
Ci siamo lasciati i fantasmi alle spalle, quando parli con le persone sembra non sia esistito nulla riguardo al Covid. Con la pandemia poi ho un rapporto particolare. La casa editrice è nata tre mesi prima che Conte facesse il drastico annuncio di chiudere tutto. Ma ce l’abbiamo fatta e siamo andati avanti con il progetto editoriale. La cosa bella di questi racconti è il loro mostrare il comportamento delle persone. C’era chi non poteva vedere la fidanzata, chi non poteva fare la passeggiata sul lungomare, chi è malato di calcio e non poteva andare allo stadio. C’è il racconto di un marito che tradisce la moglie mentre lei fa la spesa. Il ragazzo che compie 18 anni ed è costretto a festeggiare a casa. Ogni persona ti dà una visione diversa di quello che ha vissuto. Il sapersi adattare alle contingenze. Il mio ruolo, in questo caso, è dare un messaggio positivo, di speranza. La pandemia ha portato molti strascichi. Ho riscontrato più cattiveria nel contesto in cui viviamo. La pandemia ha prodotto le conseguenze di una guerra, non c’erano proiettili, ma virus. Alcune persone cui volevo bene sono morte di Covid. A prescindere dunque bisogna sempre pensare ad un domani. Questo libro non smorza gli animi, ma fa capire come ci sia sempre una possibilità. Adesso vediamo il nuovo avvenire.