Al Piccolo Teatro Porta Catena, il Fitzcarraldo Cineclub inaugura la sua rassegna con David Lynch

di Davide Speranza

«Se una persona visita qualcuno in sogno, in certe culture il sognatore la ringrazia, al mattino, perché ha abitato il suo sogno». Sono versi della poetessa statunitense Jean Valentine, che ci invitano ad abitare l’onirico, a tastare delicatamente simboli e ombre. Il sogno è lo scafandro che serve per camminare sul fondo abissale della nostra mente. Cosa troveremo in tutta quella oscurità? Cosa troveremmo di noi, che abbiamo voluto perdere e dimenticare?

Un consiglio: vedere e rivedere Lost Highway (Strade Perdute) per entrare nel vivo della questione. Girato nel 1997, David Lynch racconta la storia del musicista Fred Madison, marito geloso, che uccide sua moglie e viene condannato alla sedia elettrica, ma quando lo rinchiudono in cella, del suo corpo non si ha più traccia: al suo posto c’è il giovane Pete Dayton. Cosa c’è di vero? Chi sta sognando chi? Quale orrore si nasconde dietro l’Uomo Misterioso (straordinariamente interpretato da Robert Blake)? Quando esplode il cortocircuito tra l’Io cosciente e le discrepanze più recondite del nostro imprinting, la mente si ribella, ridisegna un mondo che non esiste, insabbia verità e contorce bugie. Accade continuamente, ogni giorno, e non solo agli assassini.

La visionarietà di David Lynch ha sempre raccontato gli orrori quotidiani delle nostre esistenze. Dietro le tende rosse, i lampi di luce ed elettricità, dietro i fuochi che camminano insieme alle nostre anime dannate, ci sono mondi inesplorati che ci appartengono e che rifiutiamo. Il sogno è l’unico modo per investigarli. Non è un caso che Lynch vedesse in Fellini un faro assoluto «uno dei grandi registi di ogni tempo e Otto e mezzo è probabilmente il mio film preferito – ho realizzato una serie di litografie intorno alle ultime scene di quel film» ha detto durante un’intervista. Dunque, il sogno. Dunque, il cinema. Illusorio e ipnotico. Il gioco dell’identità che non si perde ma si ricalibra, subisce metamorfosi necessarie alla sopravvivenza.

La grande illusione della mente umana. «L’immagine filmica (compreso il suono) che cos’è? – si chiede Roland BarthesUn’illusione. Questa parola va intesa nel senso analitico. Sono chiuso con l’immagine come se fossi compreso nella famosa relazione duale che fonda l’Immaginario. L’immagine è lì, davanti a me, per me: coalescente (significante e significato ben fusi insieme), analogica, globale, pregnante; è un’illusione perfetta: mi precipito su di essa come un animale sul pezzo di stoffa “somigliante” che gli tendo; e, beninteso, essa tiene vivo nel soggetto che io credo di essere l’equivoco legato all’Io e all’Immaginario».

Lynch fonde psicanalisi e filosofia, antropologia e arte, esoterismo e musica, corre dietro al senso dell’identità, alla frammentazione ammaliante delle infinite immagini che costruiamo di noi nell’arco di una esistenza. Il cinema è lo strumento perfetto per contenere tutte le suggestioni del regista che meglio di altri ha fotografato la follia del pensiero, a cavallo tra Novecento e gli anni Duemila. Eraserhead, Velluto Blu, il mondo generato da Twin Peaks, Cuore Selvaggio, Strade Perdute, Mulholland Drive, Inland Empire sono capitoli di un trattato sul corpo e sulla mente, interrotto dalla morte di David, che ci ha lasciati in balia di noi stessi, orfani del suo genio e della capacità che possedeva di scartavetrare con dolce comprensione le nostre certezze, così da relegarci in una loggia ai confini della mente.

Possiamo ringraziarlo per averci fatto entrare nel suo sogno, al buio di una sala o della nostra camera, accompagnati dal piacere di abbeverarci ancora alla fonte di quell’acqua/specchio/schermo dentro cui non vogliamo riconoscerci mai più. All’indomani della morte, anche in Italia fioccano eventi e omaggi. Dalla grande città alla provincia. È all’insegna di Lynch che nel centro storico di Salerno si riaffaccia un progetto cinematografico, l’occasione comunitaria per entrare in quel magnifico sogno. Al Piccolo Teatro Porta Catena, il Fitzcarraldo Cineclub, nato da poco, esordisce all’interno del progetto “David Lynch è qui”, che si tiene da febbraio a marzo. Il cartellone di proiezioni (tutte alle 20) si divide in due settori. I lungometraggi (Mulholland Drive il 22 e 23 febbraio, Una storia vera l’8 e 9 marzo, Strade Perdute il 29 e 30 marzo) e i documentari (David Lynch: The Art Life il 27 febbraio, Lynch/OZ il 20 marzo), in particolare quelli di Judith Davis e Alexandre O. Philippe, preziosi lavori da maneggiare con cura, serviranno allo spettatore (anche al profano) per rubare pezzi sonori, frame incantati, sinestesie perturbanti.

Il progetto nasce, grazie alla sinergia col Piccolo Teatro Porta Catena, gestito dall’associazione Lab-Teatro in convenzione col Comune di Salerno, associazione culturale che mira alla diffusione del cinema d’autore e per il sociale attraverso proiezioni e dibattiti. Il nome prende spunto dall’omonimo film diretto dal regista tedesco Werner Herzog nel 1982. «Abbiamo voluto chiamare Fitzcarraldo il nostro progetto, nato dalla visione di un collettivo, un gruppo di amanti della Settima Arte, che vuole ritrovare il gusto del Cinema visto e vissuto in una sala buia, insieme agli altri – spiega il presidente del cineclub, Francesco Arcidiacono Il progetto non poteva che prendere le mosse da una piccola rassegna, che è un omaggio ad uno dei più grandi registi visionari, David Lynch, recentemente scomparso». Un modo per immergersi ancora e ancora nei capolavori dell’artista americano, creare dibattito, sentirsi parte di una chimera che ci fa bene, ci rimette al cospetto dei nostri demoni migliori. Allora, usciti fuori dal piccolo teatro salernitano, la realtà ci sembrerà diversa. «Siamo come il sognatore che sogna e poi vive dentro il suo sogno. Ma chi è il sognatore?» ci chiederemo.

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