Billie Holiday, “The Man I Love”

Cantare nel buio, cercando qualcuno, e poi quando arriva la luce guardare gli occhi di fronte, chiudere la voce, muovendo le mani con una disperata calma, provando a comunicare. E vagare tra una foresta di gente, senza altra direzione che quei due occhi corrispondenti. “Eccoli- mi dissi- eccoli,e non seppi altro che raggiungerli e fissarli senza interruzione”.  Era una musica perduta, registrata in origine su un grammofono da bordello, ripetuta da un mp3 che non ne cambiava il cuore. La cantavamo in coro, sommessi, poi nel silenzio usavamo la lingua dei segni, e il vuoto di colpo non esisteva più. Era una prima volta che non avrei dimenticato, culmine di un laboratorio teatrale alcuni anni fa.

Il terrore della scena mi conduceva dalla vita alla morte attraverso musiche e danze, corse e colpi. Non sentivo altro che le onde, fatte  di gioia e dolore. Non c’era alcuna differenza con la vita. Di quei giorni ricordo un odore di innocenza che mi entrava nel petto, animandomi come una foglia o una coppia d’ali, sospeso sul vento di un gruppo di attori vestiti da sposi. Siamo corvi o gabbiani? Perché tutto questo affanno? Perché mi sento così vivo, per poi giacere senza fiato al finale dell’amore? E’ questo che ci affligge, dunque. L’amore è una distanza da colmare continuamente. Il problema è come. Dioniso o Venere sanno, e il regista ha sognato istruzioni dagli spiriti. La performance, costruita di corpi da matrimonio e ispirata alle signore della danza Marta Graham e Pina Bausch, si chiamava “Esercito d’amore”.

La canzone di apertura, scritta da George Gershwin, ha  voce e vita di Billie Holiday, e racconta di una fiaba. Billie dice che  aspetta e crede nell’amore. «L’uomo che amo arriverà», canta sommessa e stordita, immaginando una casa e la felicità. Riesce a convincere tutti tranne sé stessa. E noi dietro, come un esercito, a fare gesti senza parole.
Con una disperata calma.

Alfonso Tramontano Guerritore

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