Dell’essere tutti scollati… E alla fine hanno tutti torto

di Davide Speranza

Quello che ho vissuto e raccontato la notte del 23 ottobre è molto complesso. Non c’è una sola risposta. Non si possono sparare slogan, proclami, non si può dare una sola verità. Non è questione di decidere da che parte stare. Forse non vi è chiara una cosa. Qui non c’è nessuna parte, perché nessuno sta dalla parte di nessuno. E chiederei a cittadini, giornalisti, politici e professionisti di ogni settore – che non abbiano vissuto sul posto la vicenda – di astenersi dallo scrivere e dire baggianate.

La mia serata è iniziata alle ore 21. Piazzetta Orientale. Da mesi, in quel posto, eh sì cari tutti, proprio in quella piazza (da luglio a oggi) si sono assembrati centinaia di giovani, come in piazzetta Nilo e piazza Bellini, senza mascherina, senza controlli. Ma poi ci arriviamo a questo. “No Coprifuoco”, questo era il titolo dell’evento Facebook indicatomi da alcune persone qui a Napoli. Per otto anni io ho fatto cronaca (nera, politica, bianca, per un periodo giudiziaria) e certe cose fisiologiche si mettono in movimento nel sangue e nella testa, quando il mondo chiede di essere raccontato. E lo devi fare nel modo più obiettivo possibile, sapendo che poi ci saranno diverse prospettive e molti punti di vista. Da quel No Coprifuoco mi sono precipitato in strada, verso Mezzocannone e quindi davanti all’Orientale. Hanno iniziato a formare un gruppo massiccio di manifestanti. Libertà, libertà, libertà. Sembrava una manifestazione accesa, ma contenuta. Un’illusione durata pochi minuti. La massa è diventata fiumana, che si è riversata in strada riempiendo quella che anni fa era stata la “mezzacanna” universitaria da frequentare ogni giorno per i miei studi. Lungo la discesa, i locali ancora aperti, i giovani – altre schiere di giovani – se ne stanno sorridenti al tavolo senza mascherina, a guardare i manifestanti come fossero alieni. Un doppio livello di riflessione, su cui tornerò in seguito. Poi Corso Umberto, piazza Borsa.

Ho iniziato a filmare. Il mio piccolo Samsung ha retto per due ore e so di avergli chiesto uno sforzo immane. I cori da stadio si sono trasformati in vessazioni, turpiloquio e parole pesanti contro l’attuale governatore della regione Campania. Fin lì, per me, tutto normale, sta nel mazzo di carte e immaginavo anche qualche spintarella di troppo. L’acqua umana ha “bagnato” le strade, bloccando il traffico. Motorini e clacson spianati. Io a correre come un pazzo, per cercare di avere sempre dietro di me l’apice del gruppo. Si arriva davanti all’incrocio tra Storia e politica, da una parte il Maschio Angioino, dall’altra il Comune. La gente non si ferma. Ci sono moltissimi giovani. Ci sono anche commercianti, gente che non lavora più, c’è di tutto, e in quel tutto inizi a intravedere anche facce che negli occhi hanno una luce diversa, gente che sta lì per altro.

La monumentale e silente Piazza Plebiscito vede la marcia dell’onda. Quindi tutto si infila tra Santa Lucia e il Lungomare. Si formano due tronconi. Inizia l’irreparabile. Ribaltano i cassonetti dell’immondizia, vetri rotti, bottiglie a terra. Accendono petardi, di quelli grossi, che fanno tanto rumore, siamo adesso su via Nazario Sauro. Botti, di nuovo cori. Poi è il caos. Vedo fumo, lancio di lacrimogeni. Tra i vicoli del Borgo Santa Lucia iniziano le cariche. Da una parte si fanno barricate con bidoni della monnezza, dall’altra l’incedere delle forze dell’ordine. Entro in una di queste stradine e mi ritrovo nel mezzo dello scontro. Un lacrimogeno mi cade vicino, non ho il tempo di ripararmi, il fumo mi entra nella gola, i polmoni si fermano per un attimo e gli occhi mi si gonfiano. Mi allontano qualche secondo. Lacrimo copiosamente, non ho una sciarpa, indosso solo una mascherina. Mi asciugo sudore e lacrime con la camicia, davanti a una vetrata di un hotel mi accorgo di avere occhi rossi. Rientro.

Le mazzate si sono placate per il momento. Continuo a filmare, senza parlare, senza sprecare una sola parola. Parlano le immagini. Entra una seconda onda, piena, muscolosa. I negozi e i locali ancora aperti abbassano le serrande. In strada ci sono anche cittadini normali, che si stanno godendo la passeggiata, il mare serale. Coppie con carrozzine e bambini al seguito, comitive di amici in gioviale scampagnata partenopea. Poco distante dalla costa c’è un barcone, di quelli fighetti, con le luci accese, qualcuno probabilmente se la vede da lontano la spaccatura del mondo. Dai balconi iniziano le urla, “Basta, basta”, grida la gente. A più riprese, corrono tutti, scappano, per paura dei manifestanti e dei fumogeni, per paura delle cariche degli agenti, dei petardi. Urla, ancora vetri rotti. Poi osservo una scena che nei video non si vede: ne stavo caricando uno in quel momento e, ripeto, il mio Samsung è lento. Vedo persone strappare tubi dalle impalcature di palazzi in ricostruzione per farne mazze e spranghe. C’è qualcosa che non va.

Durante la serata ho visto commercianti e cittadini rispondere animatamente ai giornalisti, spiegando la loro frustrazione, ma nessuno di loro si sarebbe mai sognato di arrivare a tanto. Quelli non sono commercianti. Quelli sono altra cosa. Ed ecco allora che le acque si mischiano, come anche le verità, i punti di vista, lì ci sono le colpe di tutti, ma proprio tutti. Una famiglia intera con amici mi si avvicina, li tranquillizzo, gli dico che sono un giornalista e che sto lì per riprendere. Ho saputo che qualche istante prima alcuni colleghi sono stati inseguiti e strattonati da facinorosi. Alcuni mi dicono “non si può fare così, non si affronta così la situazione”. Intossicato e senza più batterie, mi allontano. È da poco passata la mezzanotte. Corro a casa, che è dall’altra parte della città. Risalendo, provo a usare le fontanelle comunali. Tutte chiuse. Non c’è acqua. Gli occhi mi fanno male e tossisco. Le cose cambiano in piazza del Gesù Nuovo. La fontanella funziona. Mi sciacquo la faccia, bevo e sputo, e poi ancora la faccia. I militari in piazza osservano il vuoto delle strade, un giovane vuole bere e gli lascio spazio prima di riprendere il lavaggio di testa e viso. I miei coinquilini mi chiedono, mi domandano, mi hanno conservato due spicchi di limone per gli occhi. Mi fiondo sotto la doccia, metto a caricare cellulare e fotocamera. Questa volta mi porto dietro uno strumento che faccia video perfetti. Un collega mi avverte che tutto è finito. E quando torno sul posto, in effetti non c’è più nessuno. Napoli è la città dei fantasmi, delle voci cadute e delle urla monche. Mi ritrovo a fotografare quel che è rimasto. Fin qui la cronaca.

Ora…

Che n’è rimasto di quella protesta? Dov’era la fiumana, l’oceano di persone, che conteneva tutto e il contrario di tutto? Una vera rivoluzione è permanente, non l’occasione di fare ammuina. Stamattina non mi sono fermato. Prima che iniziasse a piovere, mi sono fatto il giro dei commercianti nel centro storico. Nessuno, dico nessuno di quelli che ho intervistato (ad alcuni dicevo di essere un giornalista, ad altri no) era a favore delle violenze poste in atto ieri sera. Proteste sì, ma non violenza. De Luca sta sbagliando, ma dobbiamo dialogare. Anzi una signora, che ha un piccolo emporio, mi ha parlato di una bellissima idea: “Dovevamo uscire con le casse fuori dai negozi e sederci a terra, per ore, forse giorni, bloccando il commercio. Qualcuno doveva pure venire, no?”.

Sotto ai video che ho postato, molti, centinaia, hanno condiviso, scritto, fatto riflessioni. Tutti slogan. Tutti manifesti su carta vocale o da tastiera. Non ce n’è uno che lasci intendere la complessità delle cose umane. Ho provato dolore a leggere le solite critiche al mio Sud, alla mia Napoli, alla mia gente. Che vergogna, da parte di una nazione che non è mai stata tale e continua a dimostrarlo (non prendiamoci in giro, altrimenti saremmo ipocriti). Siamo ancora all’età del Napoli contro Juventus. Del Sud contro i piemontesi. Nel Nord che denigra il Meridione: capovolgetele le vostre stramaledette convinzioni…un giorno si arriverà a capire che l’Italia non sarebbe esistita senza il Sud, e questa è l’unica verità storica. Ma questa è un’altra cosa.

Affronterò ogni punto. Parliamo dei giovani. Ritorniamo a Mezzocannone. I ragazzi nelle locande e fuori i locali senza mascherina a bere e mangiare, a ridere delle proteste e quasi a brindare alle proteste con il culo sulle sedie; dall’altra, la massa indecifrata di ragazzi e non ragazzi fuori di sé, immersi in un distanziamento dalla coscienza e dall’autocontrollo, immersi nella consapevolezza di una prossima violenza. E no, mi spiace cari giovani. Le rivoluzioni non si fanno così. C’è chi ha infilato fiori nei fucili dei soldati per protestare contro la guerra. La mia è la media generazione, mio nonno ci è andato in guerra, ha vissuto nei campi di concentramento staccandosi a morsi la carne per la fame, ha visto uccidere e non so cos’altro. E noi non sappiamo neanche che cazzo sia quella guerra, quei campi di concentramento, quella Fame. E mi spiace per chi non la pensa così, ma questa è una guerra diversa. Ma pur sempre guerra. Ne esistono tanti tipi. Quella della mia generazione è fatta di attacchi terroristici, crolli di Torri, crisi economiche, pandemie e mascherine, precariato costante, vuoti e disfunzioni sentimentali e relazionali. Queste sono le nostre guerre. Ma se oggi per cambiare le cose abbiamo bisogno di usare violenza, se oggi per fare le rivoluzioni abbiamo bisogno delle tastiere, se oggi i giovani si spaccano tra borghesucci figli di papà-mammà e violenti distruttori di terre, vuol dire che le cose si trovano in una fase di stallo senza uscita.

Avreste dovuto vederla quella immagine. Gli uni a bere, gli altri a gridare. L’affresco ridicolo del futuro. Cosa significa questo? Che non c’è un senso di comunità. Non esiste collante, non fa breccia negli animi la necessaria complicità sociale tra gli strati umani. Non si tratta di esercitazione democratica e libertà di pensiero. Si tratta che non c’è un pensiero. Centinaia e centinaia e centinaia negli ultimi tre mesi hanno affollato le strade senza mascherina, quelli che ancora oggi bevono e quelli che ancora oggi protestano. Aveva ragione Pasolini, e forse, purtroppo, la sua rabbia si sarebbe fatta più ampia. Non volete la mascherina, non volete il lockdown, non volete il virus, non volete la crisi, volete il vino, volete fottere, volete diritti, volete stare in strada con la bocca scoperta, volete e non volete. Ma qual è la vostra visione di mondo e società? Non si capisce mica, sapete? Molti, nei commenti, hanno scritto “fai vedere anche le cose belle!”. Quali? Quali cose belle? E arrivo ad allargare il ragionamento.

Ma vi pare normale che un governatore nel giro di 24 ore faccia terrorismo mediatico, minacciando una nuova chiusura? Vi pare normale un’assoluta mancanza di pianificazione sanitaria e gestionale dell’emergenza Covid, nel corso di questi tre mesi? Vi pare normale chiedere adesso, dopo le elezioni regionali, in vista del Natale, chiedere qualcosa che andava fatto a luglio, ad agosto, anche a settembre, ma non a fine ottobre-inizio novembre? Vi pare normale fare il teatrino-show sui social, accaparrarsi qualche altra bella risata che certamente Crozza sarà bravo a cogliere prendendo per il culo la mia Regione, la mia cultura, il mio popolo? Vi pare normale prenderci tutti per il sedere, così, nel nome dello Spirito Santo e dell’Immacolata Concenzione, credendo a tutto quello che ci dicono, scrivono, declamano, promulgano? Dalle mie parti si dice “’O pesce feta d’a capa”. Il pesce puzza dalla testa. Non ho bisogno di spiegare oltre. Vorrei sapere: chi è il mandante di quei facinorosi mischiati al tutto?

Chi ha infarcito di violenza verbale la mente dei cittadini? Chi ha aperto porte e porticelle aspettando il ferragosto, la fine dell’estate, la fine delle elezioni per poi sparare i numeri alti dei contagi? Qual era il messaggio da mandare e a chi? E ancora, cari italiani italici, spiegatemi, voi che protestate, quanti hanno fatto vacanza all’estero? Fuori regione? Sapendo quel che sarebbe accaduto…perché il virus era lì, non se n’è mai andato e intendiamoci – perché a indorare la pillola non mi passa neanche per l’anticamera del cervello – il virus continuerà ad accompagnarci, il virus muta e sta mutando e continuerà a farlo, mentre non si accapiglieranno sulle formule economiche farmaceutiche intercontinentali capaci di sbiadire le più vitali formule chimiche per la ricerca di un vaccino. E quindi mettetevi l’anima in pace, tutti. La pagina nera di ieri non è solo da ascriversi alla camorra, agli ultras, ai pezzi di merda che hanno messo a ferro e fuoco la mia città.

La pagina nera ce l’abbiamo stampata sul viso tutti noi, tutti voi. I politici che non sanno gestire la pandemia, i cittadini che si comportano come poppanti da mandare a dormire. Non venite a parlarmi delle vostre battaglie sociali. Le vostre battaglie sociali, oggi, non hanno fatto nulla. Altrimenti non saremmo al continuo completo collasso. Inutile parlare di fascismo, comunismo e tutti gli “ismi” tremendi e meravigliosi di cui vi riempite la bocca. Anno 2020, Pianeta Terra. La gente possiede il cervello in formato Instagram, e me la chiamano evoluzione. Il punto è proprio questo. Non c’è alcuna evoluzione etica. C’è solo il crollo elefantiaco di un consumo che va oltre la necessità. Il mondo della cultura è in ginocchio, parlo con professionisti del teatro, del cinema, del turismo, dell’arte, della scrittura, della musica, tutti vedono i loro sogni rotti. Quei sogni potrebbero valere l’intero Pil nazionale: ma non ci crediamo in un paese che viva sulla cultura, vero? Come rotti sono i sogni dei ragazzi costretti ad andar via da Napoli, e più in generale dall’Italia tutta. Rotte sono le imprese. Rotta è la sanità pubblica, in assenza di posti letto per Covid. Protestiamo perché vogliamo libertà. Libertà da cosa? Mi viene sempre in mente Pasolini, sempre lui, aveva capito tutto più di 40 anni fa…lo ricordo ai cari amici… ricordatevelo PPP. Leggetelo, e leggetene anche le contraddizioni, specchio di una umanità lacerata. Lui era una lacerazione, specchio della Storia. E quella Storia non è finita, non si è conclusa.

Sono un banale generalista? Voglio esserlo. Perché le colpe e le responsabilità sono da dividersi, eh sì. I genitori e gli adulti che inveiscono contro i giovani senza immaginare soluzioni; le nuove generazioni che potrebbero avere il mondo in mano e invece si comportano come prostituti e prostitute capaci di farselo mettere nel didietro pur di scavalcare, schiacciare, vivere una felicità apparente e ipocrita; colpa di una classe politica ignorante e cadaverica, più che corrotta. Colpa degli insegnanti, ehhh cari miei, anche vostra, voi che avreste dovuto dar forma a idee e progetti invece che farvi le scarpe a livello universitario e creare circuiti mafioidi (ma per fortuna esistono i resistenti) e voi docenti di scuola invece di presentare pagine di carta a pappardella (ma per fortuna esistono i geni e i coraggiosi), avete scelto la carriera scolastica così come anni fa si sceglieva quella militare: non ho altre strade da prendere. Così vengono fuori altra ignoranza, altra devastazione del sapere.

Colpa dei media, figli di un terrorismo vuoto, parole messe in fila, arrivismo, cattiveria, violenza sporca di inchiostro che non lascerà solchi indelebili nel futuro prossimo. Allo stesso tempo, colpa di chi mette bavaglio e le mani addosso ai giornalisti – pochi – che davvero fanno il loro mestiere per raccontare la nostra epoca. Vogliamo parlare del lavoro nero, cari commercianti? Parlarne conviene a voi e allo Stato? E si potrebbe continuare la lista infinita delle tessere malridotte di un mosaico cementato male. Colpe, colpe. Ma ci saremo mai scocciati di vivere nelle colpe, nelle accuse, nelle frasi? Dovevate esserci ieri sera. Avreste dovuto esserci, anche solo per tentare di guardare con occhi diversi l’accadere che accade ogni giorno. Vi sareste accorti di un unico obliquo affresco, dove i colori differenti messi insieme fanno parte di una sola macchia.

Quando ci accorgeremo che siamo parte di un unico scarabocchio, di quanto sia necessario uscire fuori dai compromessi, dalla sciatta morale, dalla divisione sociale in cui continuiamo a sguazzare come bestie nel letame – chi vestito con le pezze al culo e chi con la giacchetta di cotone e chi con gli outlet al buon mercato – forse, e dico forse, spalancheremo gli occhi e vedremo come ambiente, lavoro, virus, sentimenti, conoscenza, tecnologia e umanità sono tutti parte dello stesso iceberg. Il Covid ne è solo la punta. Una punta piccola, insignificante rispetto ai quasi 5 miliardi di anni di questa palla blu. Volete dire che ieri è scesa la camorra? Che c’erano delinquenti? C’erano. Eccome, se c’erano. Vogliamo rimanere a questa conclusione? Fate voi.

La mia protesta tipo? Tutti i commercianti, tra tende e sacchi a pelo, fuori, nelle piazze, davanti al Comune, davanti alla Regione, tutti a terra, tutti a bloccare un Paese intero, tutti a protestare, ma una protesta senza sangue, con la giusta durezza, ma priva dello scontro fisico. Una protesta che fermi realmente un Paese, per far capire a chi di dovere che il popolo è il vero motore e possiede una visione della vita. Questo, però non avverrà. Continueranno le marchette, le paure, le minacce, continueranno a schiacciare i sogni delle future classi dirigenti condannate a essere la brutta copia di quelle precedenti come in uno specchio rotto all’infinito. Parafrasando una frase dell’enorme Luciano De Crescenzo, mi viene da dire “Ma tutto sommato, non è che fate ‘na vita ‘e mmerd? Ma vi siete fatti bene i conti? Vi conviene?”. L’ultima immagine è quella di una foto, che non ho postato qui, e che ho scattato per una persona speciale. La foto di un fornaio, il profumo del pane, l’immagine di qualcosa di buono che forse resiste.

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