Torino Film Festival giorno 2, orrori di ieri e di oggi

La bambola del diavolo di Tod Browning: uno dei classici intramontabili dell’autore, tra gli altri, del Dracula con Béla Lugosi e del celeberrimo Freaks. Interpretato da un magnifico Lionel Barrymore, è un’opera che mescola il racconto di vendetta con la fantascienza e ruota intorno a un ex-banchiere evaso di prigione che vuole prendersi la rivincita contro tre suoi colleghi che lo hanno incastrato. L’uomo incontra uno scienziato folle e geniale che ha scoperto una formula per rimpicciolire gli esseri umani e vorrebbe utilizzarla per garantire cibo per tutti ma purtroppo muore d’infarto. Anticipatore di opere capitali come Radiazioni BX: distruzione uomo di Jack Arnold e del più recente Downsizing di Alexander PayneLa bambola del diavolo punta sull’utilizzo di sorprendenti effetti ottici e sulla bravura di Barrymore, che compie uno straordinario lavoro sulla voce quando, per buona parte del film, veste i panni di una vecchina, così da preparare al meglio la sua vendetta, un vero e proprio capolavoro di travestitismo, una performance degna di un grande attore. Con sottile intelligenza, Browning unisce nello stesso personaggio la figura del villain e quella dell’eroe in un’opera percorsa da un grande afflato morale.
VOTO: 8

How I Killed a Saint di Teona Strugar Mitevska: il Torino Film Festival ha scelto di dedicare una “personale” a questa regista macedone, presente in Concorso all’ultimo Festival di Berlino con l’opera Dio è donna, e si chiama Petrunya (nelle sale italiane dal 12 dicembre). How I Killed a Saint è il suo film d’esordio e ruota attorno al conflitto scoppiato in Macedonia tra il 2000 e il 2001 in seguito alla guerra nell’ex-Jugoslavia e alla rivolta albanese in Kosovo. Al centro della storia, la giovane Viola che torna a Skopje dopo un periodo di permanenza negli Stati Uniti e trova il suo Paese profondamente cambiato. Inoltre, suo fratello Kokan mal sopporta l’occupazione da parte della NATO e milita in un gruppo terrorista, impegnato in attacchi tesi a destabilizzare la situazione e a cacciar via gli invasori. Si tratta di un’opera prima interessante e vigorosa che fotografa efficacemente la situazione della Macedonia, patria della regista, in un momento storico particolare ed estremamente delicato. Le vicende personali si innestano con precisione, seppur con qualche sbavatura, con la descrizione dello stato dell’arte in un Paese i cui abitanti vivono situazioni diverse ma accomunate da alienazione. Presentato in 35mm.
VOTO: 7

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Synonymes di Nadav Lapid: Il giovane Yoav arriva a Parigi dopo aver lasciato Israele dove militava nei ranghi dell’esercito. Derubato di tutto, l’uomo rischia di morire per assideramento e viene salvato da una coppia di giovani borghesi suoi coetanei, grazie ai quali proverà a riorganizzare la propria esistenza e a farsi accettare dalla comunità transalpina. Vincitore dell’Orso d’oro all’ultimo Festival di Berlino, Synonymes è un’opera un po’ scombinata ma a suo modo affascinante, che vuole descrivere, letteralmente, uno spaesamento, quello di una sorta di angelo caduto che tenta in tutti i modi di costruirsi una nuova identità allontanandosi definitivamente dalle sue origini. La struttura del film appare un po’ farraginosa e Lapid organizza il suo materiale in maniera un po’ dispersiva, cadendo qua e là nella ripetizione e dando l’impressione di non governare sempre perfettamente la materia. Tuttavia, non mancano diversi momenti riusciti, soprattutto nella seconda parte, dove si viene precisando l’obiettivo del regista, che prova a dimostrare come due mondi, apparentemente diversi, lontani e inconciliabili, abbiano in realtà più di un punto in comune, finendo per apparire, appunto, sinonimi, e sintomi di un malessere generalizzato e un disagio esistenziale che sembra non risparmiare nessuno e forniscono l’immagine di una società europea fintamente tollerante. Sguardo alla Nouvelle Vague ma soprattutto ai dreamers di Bernardo Bertolucci. Il cappotto di cammello indossato dal protagonista rimanda inoltre a quello nel quale era avvolto Marlon Brando in Ultimo tango a Parigi. L’impressione, quindi, è che ci sia troppo e, allo stesso tempo, non abbastanza.
VOTO: 6,5

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The Woman Who Brushed Off Her Tears di Teona Strugar Mitevska: è la storia di due donne, due madri, che vivono una situazione economica ed esistenziale profondamente diversa. Una è francese e vive a Parigi ed è in lutto per la morte del figlio, morto suicida davanti ai suoi occhi, l’altra vive nella Macedonia rurale ed è destinata a essere letteralmente venduta in sposa mentre lei vorrebbe unirsi al padre di suo figlio, andato a cercar fortuna proprio in Francia. Se il film d’esordio (vedi sopra) era piuttosto buono, con questa sua opera terza la regista macedone perde decisamente dei punti con una storia che, dopo un buon inizio, diventa via via più sfilacciata e narrativamente inattendibile, incapace di mantenere la giusta tensione morale e la necessaria precisione psicologica nella descrizione dell’evoluzione dei personaggi. In particolare, nella parte finale c’è più di una caduta nel ridicolo involontario nonostante una Victoria Abril, che si impegna molto ma non riesce a riscattare le falle di una sceneggiatura a dir poco scombiccherata.
VOTO: 4

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Freaks di Tod Browning: cosa si può dire di nuovo, cosa si può aggiungere su uno dei film più famosi della storia del cinema, opera “maledetta” e unica nella sua rappresentazione di esseri umani affetti da gravi malformazioni fisiche? La donna barbuta, l’uomo-tronco, la donna senza mani e l’uomo senza gambe, i nani, ecc. costituiscono un campionario di fenomeni da baraccone che vengono però descritti senza alcuna intenzione di compiacimento ma inserendoli, anzi, in un contesto che li rende perfettamente integrati ai “normali”, dei quali condividono gli stessi sentimenti, le medesime storie e passioni. E’, anzi l’umanità degli esseri privi di difetti apparenti a presentarsi come mostruosa finendo per subire la punizione e la terribile vendetta dei “freaks”. La delicatezza dell’amore di Frieda per Hans, la memorabile sequenza della “ultima cena”, il pre-finale sotto la pioggia fanno di Freaks un classico intramontabile che fu vietato e censurato per anni (in Italia è stato visto per la prima volta solo nel 1983 ed è diventato poi un appuntamento quasi fisso per i nottambuli di “Fuori Orario”). Capolavoro assoluto, non invecchierà neanche tra mille anni.
VOTO: 10

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