Un mostro chiamato Uomo – Vietnam, Kosovo e altre prove generali dell’Apocalisse

Anche gli scheletri, presumibilmente, si sono trasformati in terra, sebbene, di tanto in tanto, un frammento d’osso lucido e bianco affiori tra le colline, come una sorta di spettrale gioiello adagiato su uno spesso tappeto di foglie. I villaggi sono stati ricostruiti e le risaie sono ben curate. Se quelle terre umide sono percorse da spettri, come è sempre stato, allora noi, che abbiamo ucciso, siamo ancora nella loro memoria. I vivi cercano sempre di dimenticare

Jack Cady – La nemesi delle tenebre

La seconda metà del XX secolo conosce il lungo equilibrio del terrore dell’epoca della Guerra Fredda. Se la minaccia dell’Olocausto Nucleare funge da deterrente al deflagrare dei conflitti su larga scala, le tensioni internazionali trovano sfogo in tanti fronti di guerra locali i cui schieramenti sono pedine della partita più grande giocata sullo scacchiere internazionale. Così avviene nei conflitti che tra gli anni ’50 e ’60 insanguinano il sud-est asiatico ma anche in altre aree nevralgiche come il Medio Oriente, in cui guerre locali divengono l’occasione per prove di forza che si svolgono con l’aiuto indiretto ai contendenti da parte delle due superpotenze, Stati Uniti e Unione Sovietica. L’orrore della guerra si trasforma, per i cittadini dei paesi industrializzati, in uno spettacolo da osservare alla televisione, divenendo nel tempo sempre più indistinguibile la differenza tra il report dal fronte di guerra e la finzione cinematografica. Al contempo, dalla seconda metà degli anni ’60 con il conflitto vietnamita, si apre una profonda frattura nella coscienza prima della cultura statunitense e poi al resto del mondo occidentale, quando inizia a montare, soprattutto da parte dei movimenti della controcultura giovanile, la contestazione verso un conflitto che appare mosso contro una popolazione inerme e falcidiata dalla miseria, privo di quelle giustificazioni “morali” che avevano giustificato sia la lotta al nazismo che la guerra in Corea.

Tuttavia, l’equilibrio della Guerra Fredda resta formalmente in piedi fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, quando il blocco sovietico si dissolve in modo più o meno indolore. In alcune delle zone nevralgiche dell’Europa continentale come per esempio la ex-Jugoslavia, ciò porterà alla recrudescenza di antiche faide su base etnico-religiose. La fine dello spauracchio dello scontro tra i due blocchi e conseguente rischio di olocausto atomico dura poco più di un decennio. L’alba del terzo millennio è connotata dal trauma collettivo generazionale rappresentato dall’immagine del World Trade Center ridotto a un cumulo di macerie, e dal riemergere del terrorismo come spauracchio collettivo. Spauracchio che si concretizza in azioni kamikaze nelle grandi città dell’occidente, nell’incubo di missive esplosive, avvelenate, contagiose.

Il tema della guerra nel Vietnam che, come si è detto, rappresenta uno spartiacque per la cultura statunitense a tutti i livelli, inizia a partire dagli anni ’70 a far capolino nelle opere di numerosi autori di nuova generazione, alcuni dei quali trasportano nelle loro storie i loro personali ricordi di partecipanti al conflitto. Un esempio è Joe Hadelman, autore che ha tratto largo spunto dalla sua esperienza bellica per scrivere opere di genere fantascientifico pregne di messaggio antimilitarista. Tuttavia egli si è cimentato anche in crudi racconti horror in cui rielabora I suoi trascorsi bellici assieme a spunti di critica sociale, come in Il Mostro (1986), racconto interessante anche perché tra I primi a introdurre tematiche come quella delle relazioni omosessuali nell’esercito. La storia è raccontata in prima persona da un reduce internato in un carcere militare perché accusato del brutale assassinio di due suoi commilitoni, che lui invece sostiene essere opera di una misteriosa creatura, di probabile origine aliena, che vive nella giungla vietnamita: resta fino all’ultimo il dubbio se si tratti del delirio di uno squilibrato incapace di ammettere di aver commesso tali atrocità o della cronaca di eventi inspiegabili ma realmente accaduti.

Nel racconto Il colmo della fortuna di David Drake invece, che ha sempre come scenario il fronte vietnamita, il protagonista Curtis è un fante della Compagnia del Cane, costantemente decimata da imboscate, nonostante l’impavido coraggio del suo comandante, il Capitano Warden. La storia non risparmia, pur con uno stile scorrevole e venato di ironia, i dettagli più macabri della tragedia bellica: Curtis scoprirà con orrore che nella compagnia sempre più allo sbando si nasconde sotto mentite spoglie un licantropo, e solo il suo inseparabile portafortuna, un dollaro d’argento di Maria Teresa d’Austria, gli consentirà di sopravvivere.

I traumi psichici legati al reducismo, l’impossibilità di venire a patti con le atrocità viste, subite e commesse, sono il tema centrale del racconto lungo La nemesi delle tenebre (1988) di Jack Cady. Protagonisti sono tre ex commilitoni, uno dei quali, il protagonista narrante, è riuscito a reinserirsi in modo accettabile nella società mentre gli altri due, Bijorn North e l’afroamericano Blackbird, portano in modo più o meno doloroso e indelebile le stimmate del disadattamento e la follia. Dopo molti anni dalla fine della guerra si ritroveranno in un cimitero cinese in piena terra statunitense, vicino a una foresta che richiama alla loro memoria la giungla vietnamita. Questo lo scenario in cui i tre affrontano una sorta di resa dei conti tra di loro e con i fantasmi del loro passato, che arrivano a manifestarsi come enigmatiche presenze non solo nella loro mente.

Il pluricelebrato autore di best seller horror Peter Straub in molte sue opere, anche se non prettamente di horror soprannaturale, fa riferimento alle vicende della guerra in Vietnam: così nella cosiddetta “trilogia della Rosa Blu”, che comprende  romanzi Koko, Mistery e The Throat; Da ricordare anche il breve racconto Il regno dei cieli, che pure non è horror soprannaturale, ma è un macabro, raggelante bozzetto sulla vita di un gruppo di soldati addetti all’identificazione dei caduti in battaglia.

A partire dalla seconda metà degli anni ’70 oltre al tema delle “sporche guerre”, fa capolino spesso nei racconti horror il tema dei “contractors”, ufficialmente mercenari di eserciti privati impegnati sia sul fronte interno degli Stati Uniti che in fronti lontani, spesso in realtà prezzolati al soldo della CIA e di altri enti parastatali. Nel racconto Lavori sporchi di Philip Nutman, il mercenario Corvino si rende conto pian piano che I fantomatici terroristi che viene mandato a eliminare sono in realtà dei morti viventi. Piano piano il protagonista precipita in una spirale di deliri e continuo dubbio, fino a non riuscire più a capire se combatte dalla parte “giusta” o sbagliata, e se davvero quelli che combatte sono I suoi nemici e lui è davvero così diverso da loro.

Questo racconto fu pubblicato nella celebre antologia Il libro dei morti viventi a cura di Skipp & Spector. Il libro contiene, tra i racconti più interessanti della racconta, il celebre Sassofono di Nicholas Royle, il quale, anticipando di pochi anni l’effettivo scoppio della guerra civile nella ex-Jugoslavia, disegna un quadro inquietante del paese devastato dalla guerriglia in cui si fronteggiano cadaveri ambulanti che hanno in molti casi mantenuto la loro autocoscienza (come il protagonista del racconto, in vita suonatore di sax, in morte trasformato in un malinconico guerrigliero zombie) e viventi che appaiono molto più disumani dei non morti.

Come si è visto in questa lunga carrellata, il racconto horror ha saputo, nel corso del XX secolo, relazionarsi alle grandi catastrofi belliche e umanitarie in modo originale e spesso cogliendo gli aspetti più angoscianti e scioccanti della nostra epoca. Come il tema del fantasma e del racconto angoscioso è stato dall’antichità collegato ai temi dell’atrocità bellica, dell’elaborazione del lutto per i superstiti, così nei tempi moderni queste narrazioni hanno saputo raccontare forse meglio di altre quello che è forse il lato più oscuro dell’esistenza umana. E, se è vero che l’Uomo non riuscirà mai a liberarsi della guerra, continuerà a essere così.

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