Cannes 2019, giorno 1: “I morti non muoiono”. Jim Jarmusch apre il Festival ma non convince

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Primo dei ventuno film in corsa per la Palma d’oro (dopo che si sono aggiunti a quelli annunciati i nomi di Quentin Tarantino e Abdellatif Kechiche), I morti non muoiono di Jim Jarmusch ha aperto ieri sera la 72esima edizione del Festival di Cannes, facendo seguito alla breve cerimonia d’apertura, che ha visto la presentazione della Giuria internazionale, presieduta dal regista messicano Alejandro González Iñárritu, e di tutte le pellicole incluse nella “Selezione Ufficiale”. Il film di Jarmusch, nelle sale italiane a partire dal 13 giugno, è ambientato nella piccola, tranquilla Centerville (783 abitanti precisa un cartello) che viene sconvolta dal ritorno in vita, sotto forma di zombi, degli abitanti sepolti nel cimitero cittadino, i quali cominciano a fare strage di umani, sotto l’occhio impassibile dei poliziotti Cliff Robertson e Ronald Peterson, interpretati rispettivamente da Bill Murray e Adam Driver. Intorno ai due tutori dell’ordine si muove una folla di strambi personaggi tra cui l’originale becchina Zelda Winston (una simpaticissima Tilda Swinton, il cognome del suo personaggio è un’anagramma di quello dell’attrice), l’eremita Bob (Tom Waits), un negoziante appassionato di film horror (Caleb Landry Jones, visto nell’ultima serie di Twin Peaks e in Get Out di Jordan Peele), Steve Buscemi nella parte di un suprematista bianco, con tanto di berretto filo-trumpiano.

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Jarmusch gioca con il cinema di genere, imbevendo il film di citazioni e di omaggi tra cui l’inevitabile George A. Romero (ringraziato nei titoli di coda, unitamente a David Cronenberg, Sam Raimi e molti altri), Samuel Fuller, il cui nome è inciso su una delle tombe, persino il western con Butch Cassidy and Sundance Kid di George Roy Hill. L’impressione a caldo dopo la visione del tredicesimo lungometraggio del regista dell’Ohio è che Jarmusch si sia voluto prendere una vacanza. I morti non muoiono è infatti un’opera abbastanza divertente e molto libera, non priva di qualche momento spassoso, sebbene il tutto appaia, in definitiva, un po’ fine a sé stesso. Il film è affollato da troppi personaggi, non tutti propriamente a fuoco, e prova qua e là a piazzare qualche stoccata contro l’America profonda e il suo trumpismo dilagante ma senza troppa convinzione, come ubbidendo a un gioco un po’ meccanico. Infatti, il discorso politico, laddove fa capolino, appare abbastanza debole e fin troppo dichiarato, senza sottintesi, tanto da risultare nel complesso prevedibile e già logoro, presentato senza particolare sforzo (e sfoggio) di originalità.

Résultat de recherche d'images pour "the dead don't die foto"Nel fitto campionario di figure del film, non manca qualche personaggio abbastanza riuscito, così come alcuni siparietti comici restano impagabili, mostrando la consueta bravura del regista nello scrivere dialoghi dal tono laconico e infarciti di straordinaria ironia. Tuttavia, si avverte nel complesso una certa stanchezza e svogliatezza di scrittura. Infatti, alcune delle microstorie non trovano un adeguato sviluppo o una degna conclusione. La sensazione generale è che il continuo e abbondante ricorso alla citazione dal gusto cinefilo fino all’utilizzo, peraltro abbastanza gustoso, di riferimenti metacinematografici, sia solo un espediente utilizzato per colmare i vuoti narrativi di una storia che sembra procedere abbastanza a fatica e mostrare in più di un’occasione di avere il fiato corto.

Nei suoi ultimi film, tra cui l’altra incursione nell’horror con lo splendido Solo gli amanti sopravvivono, anch’esso in Concorso a Cannes nel 2012, Jarmusch aveva dato prova di straordinaria freschezza: basti pensare a un film magnifico come Paterson, a quel piccolo capolavoro sommerso che è The Limits of Control, fino ad andare con la mente a Broken Flowers, viaggio efficace – quello sì – in un’America remota e marginale, che nel 2005, sempre sulla Croisette, valse al regista il Gran Premio della Giuria. Al contrario, I morti non muoiono, che prende spunto da una canzone dal cantautore country Sturgill Simpson (interprete di uno degli zombi del film, insieme al collega Iggy Pop, grande amico di Jarmusch), è un’opera più divertita che divertente, il cui abbondante utilizzo di attori popolari lo fa somigliare a una sorta di rimpatriata tra amici, ma dove il regista sembra navigare un po’ a vista, troppo preoccupato di seminare ammiccamenti che stuzzichino il palato dello spettatore ma poco capace questa volta di andare realmente in profondità.

I non-morti jarmuschiani agiscono un po’ spinti da spirito di rivalsa e vendetta, un po’ guidati dall’ansia di consumo o dagli appetiti più immediati: in questo il regista non riesce ad andare oltre la ripetizione pedissequa di schemi e modelli predefiniti, ubbidendo senza particolare inventiva ad alcune caratteristiche e topoi di genere, sperimentati in passato con successo ma il cui aggiornamento al mondo d’oggi non appare molto ficcante. Persino il tentativo di inserire elementi di commedia in una storia horror rischia di non reggere il confronto con il più riuscito Shaun of the Dead (uscito in Italia con il titolo L’alba dei morti dementi) di Edgar Wright, che nel 2004 aveva messo in campo un’operazione non molto dissimile ma con esiti decisamente più convincenti. Anche il fenomeno del riscaldamento globale, con il pianeta Terra fuoruscito dalla sua asse, che il film presenta come scaturigine del fenomeno dei “ritornanti”, appare nulla più che una strizzatina d’occhio ambientalista, un salto da parte del regista dentro gli abissi del politically correct decisamente fuori dalle sue corde.

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