Venezia 75 giorno 10, “Killing” di Shinya Tsukamoto: breve film sull’uccidere

Purtroppo a tenere banco nella giornata di ieri è stato l’ormai famigerato episodio che ha avuto luogo la sera del 5 settembre al termine della prima proiezione per la stampa di The Nightingale di Jennifer Kent, unico film in Concorso firmato da una regista, in un evidente sbilanciamento a sfavore del gentil sesso che aveva già suscitato non poche polemiche al momento dell’annuncio della selezione ufficiale da parte di Alberto Barbera. Per i pochi che non ne fossero a conoscenza (è stato pubblicato su tutti i principali quotidiani italiani e anche sulla stampa estera) il fattaccio è il seguente: alla comparsa dei titoli di coda del film della Kent (a onor del vero, piuttosto brutto, un vero e proprio scult movie, il che ovviamente non giustifica in alcun modo quanto accaduto) si è levata una voce tra il pubblico degli accreditati stampa che ha gridato: “Vergogna, puttana, fai schifo!” all’indirizzo della regista. A parte la doverosa decisione della Direzione della Mostra di ritirare l’accredito al giovanissimo responsabile, bisogna segnalare che purtroppo, come indicato da più parti, episodi del genere sono figli di un clima avvelenato che fa sì che molto spesso i film e le visioni vengano vissute mettendo più stomaco che cervello senza che vi sia quella giusta distanza critica e intellettuale che sarebbe lecito attendersi da chi non si limita a vivere il cinema come un diletto o una passione ma intende invece studiarlo e approfondirlo, specialmente per quanto (ad avviso di chi scrive, molto) il cinema può dare in termini di lettura del reale. La stessa polarizzazione si è verificata qui alla Mostra, in qualche caso arrivando anche all’insulto verso l’autore su alcuni profili social, nei confronti di uno dei film più divisivi del Concorso, il remake di Suspiria di Dario Argento, realizzato da Luca Guadagnino, un’opera con qualche pregio e dei difetti, e alla quale sembra sia stata data un’eccessiva attenzione. Sia chiaro: per quanto mi riguarda, sono assolutamente favorevole al dibattito acceso, allo scontro pro o contro un determinato film, purché si resti ci si limiti ad essere accalorati sforzandosi di non essere protervi, sgradevoli e inutilmente astiosi, soprattutto in un momento storico in cui il cinema sembra non entrare più nel dibattito politico-culturale in corso nel Paese.

La polemica di ieri ha rischiato di oscurare il passaggio di quello che, ad avviso di chi scrive, è il miglior film del Concorso: Killing del grande regista giapponese Shinya Tsukamoto, opera di straordinaria potenza visiva e sonora che ci ha regalato 80 minuti di cinema assoluto. Il nuovo lungometraggio dell’autore della trilogia di Tetsuo e di opere capitali come Haze Snake of June è ambientato nel Giappone della metà del XIX secolo, in un periodo storico in cui i guerrieri samurai si sono impoveriti trasformandosi in ronin (termine utilizzato per definire un samurai decaduto) e vagano per le città alla ricerca di un lavoro, che spesso trovano facendosi protettori di contadini minacciati dai vari fuorilegge che si aggirano nelle campagne. E’ lo stesso destino cui sta andando incontro Mokunoshin Tsuzuki, che si mantiene in allenamento dando lezioni al giovane Ichisuke. Tsuzuki è attratto da Yu, sorella di Ichisuke, che ricambia i suoi sentimenti. Un giorno, i tre assistono a un duello tra due samurai: il vincitore, Sawamura, sta cercando uomini da arruolare per combattere la guerra civile che pare ormai prossima, che vedrà di fronte i sostenitori dello Shogun contro i seguaci dell’imperatore Meiji, fautori della restauazione. Il destino dei tre giovani è perciò destinato a prendere una svolta decisiva.

Killing continua il discorso antimilitarista del precedente Fires on the Plain, presentato in Concorso alla Mostra del cinema nel 2014, rifacimento dello splendido Fuochi nella pianura di Kon Ichikawa. Il film tiene in realtà sullo sfondo il contesto storico: infatti, il giovane Ichisuke vuole andare a combattere, pur ignorando l’identità dell’avversario, senza che venga poi specificato di chi si tratta. Il regista restringe il campo mettendo al centro del racconto quattro personaggi principali ma allo stesso tempo allarga l’orizzonte politico e innesta una più radicale riflessione di carattere filosofico. Il rifiuto di seguire Sawamura a Edo (l’antica Tokyo) opposto da Tsuzuki non è infatti dovuto ad un disinteresse verso lo specifico conflitto che sta per scoppiare presentandosi invece sia come affermazione del diritto all’obiezione di coscienza che come interrogazione radicale sull’atto di uccidere in sé, da alcuni concepito come mestiere o dovere, e rigettato da Tsuzuki senza che persino l’evento più tragico sia in grado di scalfire questa convinzione. Nel conflitto tra forza e ragione, però, è purtroppo la seconda che è destinata a soccombere alla violenza del mondo, davanti alla quale non resta che l’urlo straziante di chi ha assistito al manifestarsi del male assoluto. Tsukamoto conduce magistralmente il gioco con una messinscena perfetta che alterna momenti dilatati a scorci fulminei mostrando la morte in tutta la sua orribilità con sangue che zampilla o scorre a fiotti, splendide sequenze al ralenti dei combattimenti in cui le spade feriscono, amputano, sgozzano, e dove il carnefice invita la vittima e lo spettatore a contemplare la lenta agonia dei corpi straziati. Nella sua perfetta sintesi tra stringatezza narrativa, lucidità filosofica e raffinatezza estetica Killing si pone probabilmente come la vetta di questo Concorso veneziano. Speriamo che la Giuria ne tenga conto in qualche modo.

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