Venezia 75, giorno 2: nidi di vipere e cuori semplici

Risultati immagini per la favorita lanthimos fotoIntrighi di corte, che danno vita a un vero e proprio gioco al massacro, nell’Inghilterra dei primi anni del XVIII secolo, e la delicata e commovente storia di una giovanissima domestica nei primi anni ’70 in Messico, durante la presidenza di Luis Echeverría Álvarez. Non potrebbero essere più diversi i due film presentati questa mattina alla stampa nella seconda giornata del Concorso veneziano. La Favorita è il sesto lungometraggio in solitaria di Yorgos Lanthimos (cui va aggiunto O kalyteros mou filos, l’esordio a quattro mani co-diretto da Lakis Lazopoulos), una produzione mainstream che, come le due precedenti opere del regista greco, The Lobster e L’assassinio del cervo sacro) può vantare un invidiabile la presenza nel cast di star come Olivia Colman, Rachel Weisz e Emma Stone. Il film ruota intorno alla fragile regina Anna Stuart (Colman), che siede sul trono mentre l’amica intima Lady Sarah Churchill (Weisz) governa il paese in sua vece e, al tempo stesso, si prende cura della cattiva salute e del temperamento volubile della sovrana. Quando l’affascinante Abigail Masham (Stone) arriva a corte, si fa benvolere da Sarah, che la prende sotto la sua ala protettiva. Per Abigail è l’occasione di tornare alle radici aristocratiche da cui discende. Mentre gli impegni politici legati alla guerra richiedono a Sarah un maggiore dispendio di tempo, Abigail si insinua nella breccia lasciata aperta, diventando la confidente della sovrana. Grazie all’amicizia sempre più stretta con Anna, Abigail ha la possibilità di realizzare tutte le sue ambizioni e non permetterà a niente e a nessuno di intralciarle la strada.

Risultati immagini per la favorita lanthimos fotoIl tono de La Favorita è volutamente caricato, tanto che spesso, durante la proiezione, gli spettatori non hanno mancato di ridere e talvolta persino di applaudire, in maniera piuttosto irrituale: la guerra senza quartiere combattuta dalle due donne per assicurarsi i favori dell’instabile regina viene combattuta con grande dispendio di mezzi e senza alcuno scrupolo, con effetti talvolta molto divertenti. D’altronde, se è ormai innegabile, già dal film precedente, come Lanthimos si riveli estremamente abile nella costruzione delle inquadrature, c’è però da aggiungere che il suo gusto per la provocazione finisce per annullare qualsiasi tentativo di sottigliezza. Preferendo spingere il pedale sull’acceleratore del grottesco, l’autore di Kinodontas incappa così in più di un momento poco convincente. Quindi, se da un lato La Favorita (nelle sale italiane il prossimo gennaio) si presenta come una vera e propria gioia per gli occhi, un profluvio di immagini che, sia per gli interni che per gli esterni, ricostruiscono con grande meticolosità e precisione il periodo storico di ambientazione e se, con grande dispendio di mezzi, Lanthimos e i suoi assistenti si producono in movimenti di macchina vorticosi e avvolgenti (con invero un’abbondanza eccessiva e talvolta stucchevole del fish-eye) che restano attaccati alla retina, dall’altro il rischio è quello di realizzare un prodotto prevalentemente, se non esclusivamente, di confezione. Narrativamente infatti la storia funziona molto bene nella prima ora e tutto sommato il film tiene per due terzi ma è appesantito da una parte finale in cui la storia pare ingolfarsi, e dove la sceneggiatura costruisce alcune svolte narrative intriganti che vengono però abbandonate in maniera improvvisa perdendo più di una buona occasione. Se il rapporto Abigail-Anna e il modo in cui la domestica riesce man mano a conquistare la fiducia della sovrana rimandano inevitabilmente a Eva contro Eva, il capolavoro di Joseph Leo Mankiewicz, il binomio di partenza costituito da Sarah e Anna ricorda l’esempio recente del danese Royal Affair di Nicolaj Arcel, dove il debole di mente Cristiano VII finiva sotto la tutela del dottor Johann Friedrcih Struensee, che fagocitava facilmente tutto il suo potere. Degna di encomio resta comunque l’ottima prova delle tre attrici attorno alle quali ruota tutto il meccanismo: Olivia Colman riesce a attirare su di sé tutta l’empatia dello spettatore, affiancata dalla mascolina Sarah di Rachel Weisz e dalla spregiudicata e machiavellica Abigail della sempre più lanciata Emma Stone, che qui a Venezia conquistò due anni fa la Coppa Volpi per La La Land.

Atmosfere decisamente diverse animano invece ROMA, il nuovo film di Alfonso Cuarón, realizzato a cinque anni di distanza da Gravity, film di apertura della Mostra nel 2013, vincitore dell’Oscar per la regia. ​ROMA è il film più personale del regista messicano e ruota intorno a Cleo (l’esordiente Yalitza Aparicio, bravissima), una giovane domestica che lavora in casa di una famiglia borghese nel quartiere Roma di Città del Messico. Nel presentare il suo film, Cuarón ha parlato di una lettera d’amore alle donne che lo hanno cresciuto. ROMA è un racconto sull’infanzia dell’autore, che disegna un ritratto estremamente vivido del contesto storico-sociale di quel periodo. Nel pedinare la sua giovane protagonista, infatti, Cuarón ha modo di presentare anche un momento politico molto importante, seguito dall’elezione alla presidenza di Luis Echeverría Álvarez, contro il quale già dal 1968, quando Echeverría era Ministro dell’Interno, si erano sollevate le proteste studentesche del 1968. Ambientato poco dopo i Mondiali di calcio, tra il 1970 e il 1971, il film mostra infatti il drammatico massacro del Corpus Christi, episodio storico che vide un gruppo paramilitare appoggiato dal Governo, i Falchi, uccidere brutalmente 120 persone. ROMA è un film tecnicamente molto raffinato, con uno straordinario uso del fuori-campo e del piano-sequenza, e un sorprendente lavoro sul suono in una storia dove sono spesso gli elementi dell’acqua e del fuoco a segnare i momenti cruciali. Il personaggio di Cleo è sinora uno dei più potenti e commoventi visti al Lido, e la sua vicenda e il suo stato riportano alla mente il grande modello flaubertiano dello splendido Un cuore semplice, uno dei Tre racconti del grande scrittore francese, e il personaggio di Ah Tao in A Simple Life di Ann Hui, che nel 2011 proprio qui a Venezia fece conquistare la Coppa Volpi a una strepitosa Deannie Yip.

Sebbene antitetiche, può essere interessante notare come le due opere trovino però un intrigante e sorprendente punto di contatto attraverso il tema della maternità, i cui dettagli però preferiamo non rivelare per non guastare la visione dei film. A questo riguardo, per il film di Cuarón sarà necessario fare ricorso a Netflix, il che significa che anche il più evoluto apparecchio televisivo difficile potrà rendere l’effetto del mare e delle onde in una delle più potenti sequenze del film. Si spera dunque che, almeno in Italia, il film venga distribuito, come annunciato, anche in alcune sale selezionate.

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