“Identificazione di una donna” di Michelangelo Antonioni: il cinema della crisi

Noi sappiamo che sotto l’immagine rivelata ce n’è un’altra
più fedele alla realtà, e sotto questa un’altra ancora,
e di nuovo un’altra sotto quest’ultima. Fino alla vera immagine
di quella realtà, assoluta, misteriosa, che nessuno vedrà mai.

Michelangelo Antonioni

 

Risultati immagini per identificazione di una donnaNel 1976 Michelangelo Antonioni visitò l’Uzbekistan in compagnia dell’amico sceneggiatore Tonino Guerra. I due erano alla ricerca della location per un film tratto da L’aquilone, una favola esotica scritta da entrambi (il film non venne mai realizzato ma il libro venne pubblicato nel 1982 per i tipi Maggioli). Un giorno, mentre stavano percorrendo in automobile una strada che conduceva su per una  montagna, i due artisti diedero un passaggio a tre sacerdoti musulmani, abbigliati con splendidi paramenti. Antonioni scattò una foto dei tre signori con la sua Polaroid e la consegnò sorridendo ad uno di loro. Questi guardò la foto, ringraziò ma si schermì dicendo: “Perché hai voluto fermare il tempo?”. E restituì il regalo.

Risultati immagini per identificazione di una donnaPur ignorando chi fosse quel signore distinto ed educato che lo aveva immortalato insieme a due suoi confratelli, quel sacerdote aveva involontariamente còlto l’essenza stessa del cinema, quella cioè di essere un’arte capace di scolpire il tempo (secondo la celebre definizione coniata da Andrej Tarkovskij). Bisogna tenere ben presente questa definizione nel momento in cui ci si avvicina al cinema di Antonioni e ad un oggetto come Identificazione di una donna (1982), l’ultimo film girato dal maestro ferrarese prima dell’ictus che lo colpì poco dopo condannandolo a stare lontano dal set fino al 1995. In quell’anno, infatti, girò Al di là delle nuvole, grazie al fondamentale apporto di un suo nobile ammiratore, il cineasta tedesco Wim Wenders.

Risultati immagini per identificazione di una donnaIdentificazione di una donna è uno dei film più intensi di Antonioni, ma anche uno dei più sottostimati, essendo considerato nel migliore dei casi una semplice summa di buona parte del suo cinema precedente. Sebbene sia un’opera forse imperfetta, sbilanciata e non del tutto risolta, quest’opera resta comunque ricchissima e straordinaria, capace di gettare una luce tutta nuova sul mondo del regista ferrarese. Nel film infatti l’antico e pressoché onnipresente elemento della crisi dei sentimenti e dei rapporti amorosi (la famosa “incomunicabilità”) si salda perfettamente con la crisi artistica, professionale e creativa del personaggio principale, un regista, interpretato da un insolito e sorprendente Tomas Milian, alla ricerca del volto per il suo prossimo film oltre che della donna ideale. Niccolò (questo il nome del personaggio) ignora finanche la trama del film che vuole girare: l’unica cosa certa è che dovrà avere una protagonista femminile, per cui l’elemento esistenziale e quello artistico finiscono per formare un tutt’uno.

Risultati immagini per identificazione di una donnaPer questa ragione il regista conserva una serie di foto che sono allineate nel suo studio, come già accadeva al fotografo di Blow-up. Ma mentre il personaggio interpretato da David Hemmings ricercava nei suoi scatti una sorta di sequenza narrativa, Niccolò non può far altro che contemplare un puzzle confuso, un’accozzaglia di volti, nient’altro che immagini collezionate senza alcun ordine o logica prestabiliti. In questo senso, la sua ricerca  sembra compendiare alla perfezione il modus operandi di Antonioni e la caratteristica principale di tutto il suo cinema: il predominio dell’immagine sulla “storia” ed i dialoghi, che sono non a caso l’aspetto meno brillante dei suoi film.

Per questa ragione, in Identificazione di una donna assume grande importanza la straordinaria sequenza della nebbia, che non vuole rappresentare banalmente lo smarrimento dell’artista che vaga alla ricerca di un atto creativo “compiuto” (come nell’incipit di Otto e mezzo di Federico Fellini) quanto la sua incapacità di “vedere i fatti”. Probabilmente per paura di far la stessa fine del suo personaggio, Antonioni prova a prevenire il pericolo operando una costante duplicazione dell’immagine: il film abbonda infatti di specchi, finestre, superfici riflettenti, che moltiplicano la presenza “in campo” dei personaggi, forse nell’estremo tentativo di salvarli dal loro consueto destino di sparizione.

Perché il cinema di Antonioni è cinema di “pieni” che diventano “vuoti”, di eclissi, di corpi ed oggetti che scompaiono, di morti impressionati dalla pellicola ma invisibili allo sguardo umano. Sulla scena resta soltanto la macchina da presa cui il regista affida il difficile compito di supplire a questa sottrazione facendosi personaggio e testimone dell’umano passaggio terreno. Ma per far questo non c’è altro modo che “fermare il tempo”.

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