La sorella di John Wayne e la “resistenza” degli stereotipi – Prima parte

L’approfondimento “La sorella di John Wayne e la “resistenza” degli stereotipi” è diviso in due parti. La seconda parte verrà pubblicata la prossima settimana


di Marco Antonio D’Aiutolo

In un’esilarante e famosissima scena del film Il vizietto (1978) di Edouard Molinaro, un grandioso e poliedrico Ugo Tognazzi e un superbo Michel Serrault impersonano Renato Baldi e Albin Mougeotte, una coppia omosessuale alle prese con la “virilizzazione dello zio”. Si tratta di una messinscena affinché Albin finga di essere uno zio, in quanto il figlio di Renato, frutto di una passata relazione eterosessuale, vorrebbe presentare i suoi parenti a quelli della fidanzata. Poiché questi ultimi appartengono al “Partito per l’ordine morale”, è necessario liquidare ogni comportamento ambiguo, tra cui quello femmineo di Albin: insomma, lo zio va reso più maschio.

Risultati immagini per il vizietto fotoLa scena si svolge nel privé di un locale: Renato e Albin, che convivono stabilmente oramai da vent’anni, sono ad un tavolino. Renato cerca di “educare” Albin a fare colazione con “maschia decisione”, ma non bruta: la fetta biscottata va tenuta come un macellaio, la marmellata spalmata come se si imburrasse un tacchino, il tè bevuto come un bracciante del Sud. Si tratta di impegnarsi a superare, appunto, modi di fare aggraziati da moine e leziosità e di impadronirsi di un virile controllo degli isterismi evitando di piagnucolare ad ogni contrarietà o qualora la fetta biscottata si sbricioli (come accade due volte ad Albin, nel fallimentare tentativo di tenerla in una stretta mascolina).

La conversazione si concentra, in particolare, sul dito mignolo: non va tenuto alzato – rimbecca Renato – come fa Albin, quando gira il tè o regge la tazza nel momento di sorseggiare. Dopo po’ però è lo stesso Albin a far notare a Renato che anche lui, mentre beve, alza automaticamente il ditino. Allora quest’ultimo osserva con nonchalance: “Uh! si alza da solo!” La resistenza alla virilizzazione giunge al massimo quando Renato insegna ad Albin a camminare “da duro”, ad imitazione del modello-John Wayne. Non appena Albin ci prova, scimmiottando goffamente l’attore statunitense, protagonista di tanti western, Renato esclama rassegnato: “Questa è la sorella di John Wayne!

Il successo de Il vizietto, adattamento cinematografico di una piéce di Jean Poiret, dal titolo La cage oux folles, è stato sicuramente testimoniato in molte occasioni. Nel 1983 venne realizzato un musical negli Stati Uniti con musica e testi di Jerry Herman e la sceneggiatura di Harvey Fierstein, che restò in cartellone fino al 1987 con ben 1761 repliche. Nel 1996 fu la volta del remake hollywoodiano, Piume di struzzo, diretto da Mike Nichols e in cui la parte di Tognazzi fu interpretata da un altro attore poliedrico, il compianto Robin Williams. La scena della virilizzazione è stata ripresa di recente da Gianmarco Tognazzi, figlio di Ugo, e Francesco Montanari nella prima puntata del programma di Rai2 Stasera Casa Mika. Al termine della scena viene osservato: “Queste fette biscottate e questo ditino, 39 anni fa, hanno sdoganato l’omosessualità”. Ed è stato proprio così. Ma in che modo è avvenuto questo “sdoganamento”?

Come osserva lo storico medievalista Jacques Le Goff, in quanto “mondo del riflesso profondo delle strutture della società, le mentalità…mutano lentamente”. Da questo punto di vista, sicuramente Il vizietto ha svolto un ruolo decisivo in direzione di questo mutamento esercitando la funzione che Roland Bourneuf e Réal Ouellet attribuiscono alla letteratura e al cinema: non solo riflettere i gusti e i valori del pubblico ma contribuire a crearli.

Ora c’è da chiedersi quale sia la “creazione” di gusti, idee e valori operata da Il vizietto e quale direzione abbia seguito. Infatti, per quanto concerne l’immagine dell’omosessuale, bisogna chiedersi se il film abbia realmente sdoganato l’omosessualità, creando ex nihilo un’immagine, o se invece si sia limitata a riportarne quella più stereotipata e diffusa. Ad esempio, ritornando alla scena del “ditino” e delle fette biscottate, dopo una prima risata, si avverte l’impressione che, tutto sommato, Il vizietto abbia “viziato” l’immagine dell’omosessuale, presentandone un ritratto distorto, ridicolo e grottesco. Infatti il povero Albin, stella di punta de “La cage aux folles”, il locale gestito con Renato a Saint-Tropez, è conosciuta (mi si lasci passare il femminile) come la drag queen Zazà Napolì. Allo stesso modo, in altre scene viene presentato come un’isterica lagnosa, insicura e decadente. Insomma lei (come le altre drag queen e il, anzi la cameriera di colore) assume il tipico atteggiamento degli “invertiti” descritti da Malaparte nel romanzo La pelle: il loro amore “sarebbe un sentimento perfetto…, se non lo dominassero i capricci, gli isterismi, e certe meschine e tristi malvagità, naturali al loro animo di vecchie zitelle”.

Risultati immagini per john wayne fotoA coronare poi lo stereotipo è il fatto che, tra Albin e Renato, chi “porta i pantaloni” è il secondo, mentre il primo soffre alla sola idea di vestirsi da uomo. Non è, forse, l’idea diffusa di chi crede che, in una coppia gay, almeno uno dei due debba ricoprire il ruolo femminile? Mentre invece, come osserva Giuseppe Patroni Griffi ne La morte della bellezza, nell’unione di due uomini nessuno deve assumere “una posizione mentale…femminile, per dare all’altro il prestigio…di fare il maschietto”, presentando con sintesi perfetta uno degli aspetti non secondari del riconoscimento dell’omosessualità.

Volendo indagare un ulteriore aspetto della creazione degli stereotipi nella definizione dell’omosessualità, sarà utile fare riferimento a Sessualità e nazionalismo di George L. Mosse. In questo testo, lo storico tedesco presta attenzione agli usi e costumi, quali “parte del processo storico” e al comportamento sessuale come prodotto dell’ideale di virilità creato dalla società borghese nel suo tentativo di autodefinirsi. Secondo Mosse, per proteggere l’ordine costituito, ci si appellò contro la minaccia moderna che metteva in dubbio la chiara distinzione tra “normalità”e “anormalità”. Il simbolo della virilità spirituale e materiale della nazione “esortava alla forza fisica e mentale ma non bruta” e “le energie dell’individuo dovevano essere sempre tenute sotto controllo”. Non è, forse, il proposito che Renato impone ad Albin: l’autocontrollo virile, non bruto?

Inoltre, secondo Mosse, con la medicalizzazione dell’omosessualità, considerata come malattia nel corso del XIX secolo “la società borghese contribuì a tracciare un limite netto tra la sessualità normale e quella anormale”, “costruendo uno stereotipo” e definendo “la maniera stessa in cui la società percepiva l’omosessuale”: all’uomo-non-virile e alla masturbazione andavano attribuiti “cattivi pensieri” e “disturbi nervosi”. Non descrive, perfettamente, la “nevrotica” Albin? Non è allora quest’ultimo il trionfo dello stereotipo?

Il punto è proprio questo: pare che, ne Il vizietto, lo stereotipo non solo resista, ma voglia intenzionalmente farlo. Le ragioni della “resistenza” di questo stereotipo non potrebbero forse mostrare un aspetto “non negativo” dello stesso? Sarà il tema dell’articolo successivo, che verrà pubblicato nell’uscita successiva di questo mese.

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