Il morbo di internet nel monologo di Luca Trezza

Sul monologo teatrale www.testamento.eacapo, di Luca Trezza

 

 

Francesco Tullio Altan ha scritto in Un uomo si siede sul water: “Eccomi interconnesso con l’internet fognario mondiale”. La questione delle dinamiche relazionali intime e collettive secondo il www non è l’affidabilità dello strumento, ma il rischio che non diventi il macchinario privilegiato per sottoporre la vita alle sedimentazioni dell’io verso un altro io.

Il monologo teatrale www.testamento.eacapo, scritto e interpretato da Luca Trezza, è una rappresentazione estemporanea del tormento dell’internauta che ripone nel web la speranza per la realizzazione di attese che la vita non può riservare attraverso il tasto invio.

L’autore realizza l’inquietudine di quella che sembra una maschera carnevalesca postmoderna, colta dalla sindrome del web, che in pena di sé confessa, in equilibrio precario su una linea di separazione tra la coscienza e l’incoscienza, gli effetti e i sintomi di una patologia che conduce al caos emotivo e cerebrale i suoi ricordi d’infanzia, le sovrastrutture sociali, le prescrizioni familiari e il nuovo metodo relazionale compresso dentro la sommatoria sentimentale che internet assorbe e archivia all’interno delle sue camere oscure, dalle quali l’impressione fotografica delude con dolore le aspirazioni di chi vi ripone l’ansia per la soddisfazione di un desiderio che registra, secondo nuovi linguaggi e nuove narcosi, l’ennesima idealizzazione di sé applicata a un destinatario ignoto. La “X” di Trezza è l’origine e la destinazione, il transfert pulsionale di un probabile fallimento, che diventa direzione inevitabile verso la faticosa e disperata ricerca di soluzioni per sfuggirne, ma col drammatico paradosso di rovistare là dentro, primo luogo da rimuovere. Il terzo millennio ha escogitato la formula per diffondere la dipendenza dell’io dall’io, e senza appagamenti di vanità.

Luca Trezza neutralizza le figure familiari, allontandadole da un tempo che pare trascorso da secoli, quando invece è soltanto la vittima sacrificale (o il passaggio) di una mutazione generazionale troppo rapida, che non riesce a contenere le ultime reminiscenze romantiche dall’uso e consumo dell’emozione davanti allo schermo che fa da specchio, senza rivelarlo a chi ne fa uso. Il venditore di rose che nel Testamento di Trezza fa da comparsa insistente a un appuntamento, è l’effetto di un corteggiamento virtuale, che si tramuta in guida allo strapiombo. Il ponte dell’appuntamento di Trezza è il transito delle direzioni che hanno condotto al baratro di latenti stati depressivi questo spericolato eccesso di modernità.

Rinunciarvi è arduo, nel disincanto che dall’esterno del tentativo ha il sapore di alienazione. La civiltà internauta ha smarrito prima di tutto questo. L’incapacità dell’isolamento inteso come regione di salvaguardia. Forse passa di qui l’indebolimento della personalizzazione della vita, a dispetto dell’urgenza di quel tanto agognato nuovo umanesimo. Il battito della tastiera entra, così, nella cardiologia del linguaggio di Trezza, che allunga parole e recitazione in un lamento a tratti dialettizzato, una koinè ad hoc tesa verso l’annuncio di una ipotetica richiesta di aiuto dentro un’emergenza  dove l’esseoesse non è previsto. Sopravvivono le canzoni fuorimoda, una mela mangiata rapidamente, una rosa, il latte, la vecchiaia, segni del precipitato di un manifesto che annuncia la parabola esistenziale. Tutti vengono riuniti nel cartello che descrive lo spreco di un tempo consumato con rapidità e la sessualità legata alle frammentarie nevrosi adolescenziali.

Edoardo Sanguineti nel suo “Testamentum” (il “Novissimum” di una sua poesia) “rinuncia per sempre all’universo”. Il monologo di Luca Trezza è dentro il labirinto di una simulazione dell’universo. Perdurarvi è una condanna che si origina da un’adesione. Sabotare questo sistema sembra impossibile. A questa vita, in fondo, manca il tasto invio.

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